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TESTO O cieli stillate rugiada dall'alto. La terra si apra e faccia germogliare il Salvatore

don Angelo Casati  

Natale del Signore - messa nella notte (25/12/2021)

Vangelo: Gv 1,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,9-14

9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

Mi risuona nel cuore una antica antifona della liturgia dell'avvento. A ondate di luce in questi giorni. A risvegliarmi, se pur carico di anni, allo stupore della nascita, della nascita di Gesù. L'antifona l'ho riascoltata - e fu brivido - dal nostro coro, nel suo testo latino, in queste domeniche di Avvento: "Rorate coeli desuper. Aperiatur terra et germinet Salvatorem"."O cieli, stillate rugiada dall'alto. Si apra la terra e faccia germogliare il Salvatore". Sì, io ho bisogno di questa rugiada.

E' vero, ci sono amici che vanno dicendo che Natale deve essere ogni giorno, e non si può ridurlo a un solo giorno, e il giorno dopo rimettere tutto in scatoloni, statuine, e addobbi e muschio, tutto finito. Ricordo che ce ne metteva in guardia quarant'anni fa, con una scritta sulla lavagna della sua classe del liceo, una ragazza, Laura, che poi avrebbe fatto strada: "Santo Stefano, tutto è finito, tutto come prima". E' vero Natale deve essere tutti i giorni.

Ma - ve lo confesso - a me capita, nello scorrere dei giorni, di inaridirmi: divento come terra rappresa, ho bisogno di rugiada, di imbevermi di rugiada luminosa E la memoria della nascita di Gesù mi diventa, per grazia, rugiada. Grazia, rugiada, questo racconto: E - vi siete accorti - non una parola che è una, di noi umani, nel racconto, né di Maria né di Giuseppe, né dei pastori. Il bambino? Forse piangeva in sete di latte. Come a dire che per questo evento, forse per tutti, più delle parole fanno gli sguardi...

Ascolto la narrazione di Luca ed è come se sentissi, ma leggero, un rumore di passi. Ce li ricorda Luca scrivendo che "anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme". Betlemme - voi lo sapete - non era dietro l'angolo, centocinquanta e più chilometri, quattro o cinque giorni, a piedi, di cammino. E chissà se, per tratti, o per l'intero cammino, Giuseppe aveva rimediato un asino per la sua sposa incinta, al nono mese. I passi. Chissà se in una carovana. E a tratti - lo possiamo immaginare - quel parlarsi sottovoce, le confidenze di Maria a Giuseppe, quel raccontargli sottovoce dei passi del bambino nel grembo. E farglieli toccare trepidante in quel gonfiore.

Cammino faticoso. Faticoso forse anche nei pensieri. Il venire del Figlio dell'Altissimo, celebrato nelle parole scintillanti dell'angelo con immagini di troni e di regno, proprio non risparmiava nulla ai passi della ragazza incinta, sulla strada in salita, la strada che saliva dalla Galilea alla Giudea, da Nazaret a Betlemme. Ecco Natale è stare con questi passi. E' stare con le storie dell'esclusione, stare con l'amarezza per le parole dell'esclusione. Perché, dopo tanta fatica, te lo saresti aspettato, come cosa sacrosanta, trovare riposo e non parole come queste: "Non c'è posto per voi". Ma come? E' il venire di Dio! E questa parola "non c'è posto", che mi si dilata. Come fosse scritta su porte e confini: "No, non c'è posto".

Chissà, sul mio cuore: "Non c'è posto". Penso agli occhi di Maria, penso agli occhi di Giuseppe. E ricordatelo, che il Natale fu questo, non cambiategli colore. La madre - penso - stringesse dentro ancora più teneramente il bambino. Quasi a non fargli sentire il rifiuto. E Giuseppe, giovane più di quanto lo immaginiamo, ecco lo vedi accendersi di fantasia e ingegnarsi a trovare un rifugio, troppo l'amore per Maria e per il bambino che ormai bussava da dentro. Perché Dio - vedete - bussa dal di dentro e vuole uscire. Per toccare donne e uomini e terra. Fu un subbuglio quella nascita. E Giuseppe la lanterna l'aveva messa a viso di donna e poi forse in alto. Per vegliare allo sgusciare di Dio. E poi la mangiatoia quella dei pastori e poi le bende.

Capite che era un rincorrersi di gesti di tenerezza. Noi l'alloggio di fortuna l'abbiamo come congelato in una donna che mostra il bambino. Ma quando nella notte arrivarono, per segno dato da un angelo, i pastori, la donna non era di certo immobile sulla porta a mostrarlo. Chissà forse dava latte al bambino e Giuseppe la abbracciava dolcemente al collo. Tengo in casa una piccola icona di una monaca del monastero di Bose, dipinta su un piccolo tronco di albero, dove Giuseppe cinge teneramente Maria nel presepe. I pastori vennero con il segno della mangiatoia e delle bende negli occhi, fecero ritorno con quel segno negli occhi. Il segno non cambia.

Don Enrico, facendo quest'anno gli auguri di Natale alla comunità, ha sposato due immagini: quella del bambino Gesù nella mangiatoia e quella di un bambino di migranti che sbuca a malapena da una valigia portata da una madre, che cerca disperatamente di fare ancora qualche passo. Mangiatoia e valigia. E ha scritto: "In quella mangiatoia e in quella valigia c'è il messaggio di Gesù". E' in questa concretezza che viene Dio. Ed è solo contemplando mangiatoia e bende che si risveglia il cuore. Provate ad immaginare: se Dio fosse sceso con un'apparizione spettacolare dall'alto, ci saremmo chiesti che cosa provare se non meraviglia per lui.

Qui sostiamo all'amore per noi. Quanto di umano in questo scendere di Dio: il silenzio, gli sguardi, gli affetti, l'abbracciarsi, l'incoraggiarsi, l'inventare quello che si può, dare una piccola luce, dare un po' di latte, quanta tenerezza, quanta bellezza, quanta umanità. A sfida della disumanità del "non c'è posto". Vorrei fermarmi qui. E invitarvi al racconto di Luca. Fare sosta. Respirare quest'aria che ci fa umani. Perché Dio si è fatto umano. Ritorno all'inizio. E' questa la rugiada che ci danno i cieli, la rugiada di Dio che ci ha donato il suo Figlio. La rugiada è silenziosa, al mattino la vedi imperlare il prato, gli alberi, i fiori, assetati. Vi auguro un Natale di rugiada.

Lo auguro al mio cuore che rischia, come terra, di inaridire, di non aprirsi a germogli di inedito: "O cieli stillate rugiada dall'alto. La terra si apra e faccia germogliare il Salvatore".

 

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