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TESTO Fuori gli idoli, dentro il Maestro!

don Angelo Casati  

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5a domenica Tempo di Avvento (anno C) (12/12/2021)

Vangelo: Gv 3,23-32a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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23Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. 24Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.

25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».

31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza.

Ho letto le parole tratte dal rotolo di Isaia e una domanda mi è passata nel cuore: quando un profeta annuncia al suo popolo giorni in cui ci sarà pioggia per il seme nascosto nel terreno e abbondante sarà il pane, e le stalle floride, e luce della luna come la luce del sole e la luce del sole per sette giorni, usa parole accecate di bellezza per segnalare, a breve, un tempo definitivo di bene? O forse lui per il primo è cosciente che le immagini vanno a suggerire solo squarci di cielo e di terra e di umanità per cui dare corpo ed anima e passione? I profeti non indulgono a ingenui ottimismi, infondono in chi lo ascolta il brivido della speranza.

Guai a dissacrare la speranza riducendola a ottimismo di maniera. C'è una irriducibile differenza. Un ottimismo ingenuo ci fa stare con le mani in mano, nella fiducia a che Dio ce la mandi buona, la speranza al contrario genera coraggio per i giorni che viviamo e oltre. Si sposa al coraggio. E coraggio è parola che sa di progetti, sia pure parziali, sa di mani, sa di bene. Ce lo ha ripetuto con forza, la scorsa domenica, papa Francesco, ribadendo che "la speranza che nasce dal Vangelo non consiste nell'aspettare passivamente che un domani le cose vadano meglio, ma nel rendere oggi concreta la promessa di salvezza di Dio.

Oggi, ogni giorno. La speranza cristiana non è infatti l'ottimismo beato di chi spera che le cose cambino e nel frattempo continua a farsi la sua vita, ma è costruire ogni giorno, con gesti concreti, il Regno dell'amore, della giustizia e della fraternità che Gesù ha inaugurato. A noi è chiesto questo: di essere, tra le quotidiane rovine del mondo, instancabili costruttori di speranza; di essere luce mentre il sole si oscura; di essere testimoni di compassione mentre attorno regna la distrazione; di essere presenze attente nell'indifferenza diffusa". Ebbene le parole del profeta suonavano, come spesso accade, come un appello urgente al cambiamento: dagli idoli vani a colui che è maestro di vita.

Forse ha colpito anche voi quel grido "fuori!". E a chi e a che cosa dico "fuori" nella mia vita? Fuori gli idoli. Ne abbiamo costruiti tanti e non abbiamo ancora finito di costruirli ai nostri giorni. Riascoltiamo le parole: "Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d'argento; i tuoi idoli rivestiti d'oro getterai via come un oggetto immondo. 'Fuori!', tu dirai loro". Fuori perché fanno la rovina dell'anima e della terra. E quale il criterio per dire "fuori"? Il profeta parla di un maestro. Riascoltiamo: "Non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: 'Questa è la strada, percorretela'". Il pensiero mi corre al vangelo, a Giovanni, il Battista, era un profeta, il più grande dei profeti. Ebbene invita a guardare a un altro. Riascoltiamolo: "Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: "Non sono io il Cristo", ma: "Sono stato mandato avanti a lui".

Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire". C'è una voce da ascoltare, quella di Gesù che per Giovanni è maestro e sposo a un tempo. II contesto profuma di intimità. Lui è anche uno sposo. E tu sai che cosa passa tra coloro che si sono detti e si dicono amore. Oserei dire che il maestro non è più in cattedra, è in casa. E' disceso: stiamo per rivivere la discesa del Maestro, l'avvicinamento dello Sposo. E dunque non è un ascolto a distanza. Chi lo ascolta, come Giovanni, "esulta di gioia alla voce dello sposo". E' come se Giovanni dicesse: "Non sono io la via, la via porta il nome di un altro: Gesù. Mi si affollano pensieri.

Ne condivido con voi due. Il primo. E' accaduto e ancora accade che ci facciamo maestri noi, maestri in assoluto, mentre noi avremmo dovuto predicare, come scrive Paolo, "lo splendore del vangelo". Non poche volte, invece, abbiamo predicato noi stessi, le nostre verità che erano solo opinioni, a volte case di carta, edifici su sabbie mobili. E mi segue una domanda: "Come è stato possibile dimenticare le parole di Gesù, parole sue, scritte non chissà dove, ma nel vangelo: "E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo"? (Mt 23,10). Il richiamo urgente dunque è a dare il nostro ascolto non agli idoli del tempo, ma Gesù.

Ed ecco il secondo pensiero: il mio sguardo, al bussare di pensieri, usciva da queste pareti, navigava questo paese che amo, e tutti i paesi del mondo e mi chiedevo di Gesù, il Maestro. A volte pensiamo, o facciamo, come se fossimo il mondo intero. Ci ha ricordato questo, ma anche altro, dalle pagine di un quotidiano in questi giorni Gabriella Caramore, carissima amica, in una sua intervista che prende finalmente al cuore il problema: "Poiché - dice - di fatto viviamo in un'epoca che - come afferma lo stesso Bergoglio, e come affermava lucidamente il cardinal Martini - ha decretato la fine della cristianità, poiché la fede non costituisce più il presupposto della vita comunitaria, se si vuole salvare qualcosa del cristianesimo occorre gettarlo fuori dai luoghi chiusi, dai tabernacoli come dalle dottrine, e farlo rivivere come piccolo seme di cose buone gettato in mezzo alle sterpaglie del mondo". Fin qui Gabriella.

La seguo: il Maestro - penso - è sceso, è nella casa. E casa è ogni donna e ogni uomo. In ascolto della coscienza. E allora mi ritornano le parole del card. Martini, che più volte vi ho ricordato, e la sua convinzione "che lo Spirito c'è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c'è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C'è e non si è mai perso d'animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato".

Fuori gli idoli, dentro il Maestro.

 

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