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TESTO Il filo rosso lo avete negli occhi

don Angelo Casati  

4a domenica Tempo di Avvento (anno C) (05/12/2021)

Vangelo: Lc 19,28-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 19,28-38

28Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. 29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». 34Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.

37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38dicendo:

«Benedetto colui che viene,

il re, nel nome del Signore.

Pace in cielo

e gloria nel più alto dei cieli!».

Questa festa per le strade ce la teniamo negli occhi. Sì, perché fu ingresso di Gesù, ma fu anche festa. E non solo per le vie della città, ma da ben prima. Luca sembra raccontare la festa da cinque, sei, chilometri prima. Da quando, salendo da Gerico, erano giunti vicino a Betfage e Betania. Proprio lì Gesù, con una meticolosità sorprendente, aveva mandato due dei suoi a recuperare quel puledro legato: "Slegatelo e conducetelo a me". Anche questa una buona notizia, perché non riguarda solo gli asini, ma anche noi, che, per qualche verso, legati lo siamo. E lui ci vuole slegati. E ci vuole con il privilegio di portarlo.

Poi cominciò la discesa. Luca scrive: "Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto". Vi confesso che mi dà gioia pensare a quel tragitto lungo della festa. E alla gioia. E, sposato, l'entusiasmo. Voi direte - tutti i commentatori lo annotano - che la festa fu breve. Ebbene io penso che la festa, fosse pure solo un piccolo germoglio, è sempre preziosa. E mi sono immaginato che anche Gesù, al di là di tutto, abbia trovato bello quello che stava accadendo e che quelle invenzioni geniali e spontanee, dl mantelli e rami, lo abbiano fatto sorridere e che sia stato per lui un momento dl gioia. Quasi si sentisse immerso. E niente distanza. Lui la cosa l'aveva voluta e predisposta proprio così.

E chissà se l'dea del puledro gli si sia affacciata con maggiore vigore per quello che era accaduto mentre ancora erano in salita. Lo racconta Matteo. Racconta che la madre dei due figli di Zebedeo si era fatta avanti con Gesù a pretendere i primi posti nel regno per i suoi figli e gli altri dieci a indignarsi. Fu in quel preciso momento, proprio mentre ancora stavano salendo, che Gesù, senza se e senza ma, chiamò a sé i discepoli e disse: "Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mt 20, 25-28).

So di forzare il testo, ma mi si è affacciato il pensiero che quel discutere di posti lungo la salita abbia avuto come effetto quello di riaccendere, ancor più, nell'animo di Gesù l'immagine profetica di un Messia che viene cavalcando umile e mite, su groppa d'asino. Sovrastare, come chiedevano i due e la madre, o stare in gruppo e fare festa? Sopravanzare, come è tipico dell'impeto dei cavalli o accompagnare, passi lenti, forse un poco anche sgraziati, zoccolo dopo zoccolo, come è tipico degli asini? So di ridurre l'orizzonte, ma vorrei un poco indugiare con voi su questa dimensione dell'andare lento, quasi un bestemmia in un mondo dove giocoforza è andare sempre più veloci, dietro il mito ubriacante del tutto, tutto subito?

Mi sono nate così due connessioni. Una solo l'accenno, lascio a voi inoltrarvi. Riguarda la festa e da dove si sprigioni la festa. Mi verrebbe da dire che con i cavalli, con il sovrastare orgoglioso, nascono le parate militari. Con gli asini, gli asini nel passo di tutti, nasce nell'evangelo un andare spontaneo libero, un fare festa, la festa. Ma ora sosto con voi su una parola che potremmo legare all'asino, ma anche all'Avvento che stiamo vivendo, la parola "pazienza". Oggi la lettura di Isaia parlava di germoglio e suo riferimento era probabilmente il popolo, un popolo in fase di germogliare. Il germoglio chiede attesa; chiede anche pazienza. Voi mi capite, l'impazienza può avere solo l'effetto di gelare i germogli. Abbi cura, la vita è un germogliare continuo, non è mai fiore pieno. Saremo sempre in fase di germogli.

Abbi cura dei germogli. Ovunque. Donne, uomini, storia, terra. La tua pazienza sta a dire che tu hai cura. Vi confesso che a fami sostare sulla parola "pazienza" è stato anche il discorso tenuto da papa Francesco giovedì, nella Cattedrale Maronita di Nostra Signora delle Grazie, a Nicosia. Parlando di Barnaba, patrono dell'isola, volle evocare, come una delle qualità che lo contraddistinsero nella sua missione, la pazienza, la pazienza di chi sa aspettare. Sa aspettare che l'albero cresca. E aggiunse: "Barnaba ha soprattutto la pazienza dell'accompagnamento: lascia crescere, accompagnando. Non schiaccia la fede fragile dei nuovi arrivati con atteggiamenti rigorosi, inflessibili, o con richieste troppo esigenti in merito all'osservanza dei precetti. No. Li lascia crescere, li accompagna, li prende per mano, dialoga con loro. Barnaba non si scandalizza, come un papà e una mamma non si scandalizzano dei figli, li accompagnano, li aiutano a crescere.

Tenete a mente questo: le divisioni, il proselitismo dentro la Chiesa non vanno. Lascia crescere e accompagna. E se devi rimproverare qualcuno, rimprovera, ma con amore, con pace. È l'uomo della pazienza. Abbiamo bisogno di una Chiesa paziente, cari fratelli e sorelle". E rivolto ai preti disse:" A voi sacerdoti: per favore, non siate rigoristi nella confessione. Quando vedete che qualche persona è in difficoltà dite: "Ho capito, ho capito". Questo non vuol dire "manica larga", no. Vuol dire cuore di padre, come cuore di padre è Dio. L'opera che il Signore compie nella vita di ogni persona è una storia sacra: lasciamocene appassionare". Fin qui Papa Francesco. Ma, pensate, quasi a specchio della parole di Francesco il messaggio di una giovane donna, mia amica, che, guarda caso, l'altro ieri scrive:

"Mi è tornato un ricordo. Io piccola nel buio e nel silenzio di una chiesa della mia infanzia. E' pomeriggio, giorno di confessioni per i bambini. Io mi avvicino. Sulla panca. Non c'è bisogno di spazi chiusi. Ricordo la intensità e la mia voce. A volte mi sono dimenticata di Dio. Ricordo ancora la immensa dolcezza di un sorriso che restituiva una grandezza alla mia mancanza. Perché la mancanza è presenza. E io nella mancanza sento una presenza. Piccola e Grande fede. Sempre insieme su quella panca, alla luce dolce del Silenzio. A raccontarci. Ancora.".

Ho sconfinato. Ma un filo lega. E voi lo avete negli occhi.

 

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