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TESTO Sdoganate i sogni!

don Angelo Casati  

1a domenica Tempo di Avvento (anno C) (14/11/2021)

Vangelo: Lc 21,5-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 21,5-28

5Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

20Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. 21Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; 22quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. 23In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. 24Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.

25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Anche quest'anno leggevo e mi mancava il fiato. Certo mi manca per via dell'età, ma mi mancava anche perché devastanti, raggelanti sono le immagini del brano di Luca. Di tanto in tanto ero tentato di fermarmi, mi dicevo: “basta”, ma il testo continuava, ce n'erano altre, ancora. Parlo delle immagini con cui è descritto il giorno del Signore, le stesse di Isaia che scrive: “E' vicino il giorno del Signore; esso viene come una devastazione da parte dell'Onnipotente”. Ma che cosa attendiamo, la devastazione? Si può forse “attendere” la devastazione? E' vero, di tanto in tanto una voce dentro mi avvertiva: “Ricorda che le parole appartengono a un genere letterario apocalittico, dove si mescolano, senza contorni precisi, immagini di eventi del passato, del presente del futuro: parole svelamento, per dire che cosa ha futuro e che cosa no. E dove mettere il cuore. Me lo dicevo.

Quest'anno poi tra le immagini, una su tutte, mi inquietava, mi turbava, quella riferita alle donne, lasciandomi sgomento: “In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano“. Le sentivo come un attentato, uno sfregio alle donne e al futuro: “portare in grembo, allattare” sono verbi della vita, del futuro, custodiscono una speranza. Poi d'improvviso mi attraversò un pensiero. So che ha una sua stranezza, ed è fuori da ogni esegesi corretta. Mi sono detto: “E se fosse che qui si annotano anche le cose peggiori per dire che non sarà loro la vittoria? Non per creare disfattismo - la parola “disfattismo” dice “resa delle mani”, delle mani che fanno - non per spingerci ad andare a capo chino e arresi, ma per svegliarci, per metterci su piste che hanno un futuro. E le donne non sono forse segno di tutto questo? Anche noi abbiamo patito qualcosa di tragico in accadimenti che hanno segnato i nostri giorni, questa nostra stagione.

Qualcosa di apocalittico non era stato forse avvistato, quando Luca scriveva il suo vangelo, nella caduta di Gerusalemme e nella distruzione del tempio? Sono segni da decifrare in ogni stagione. Ma distorceremmo, penso, il pensiero di Gesù se gli occhi rimanessero fatalisticamente impigliati a queste immagini terrificanti. Altra infatti l‘immagine che chiude il brano, e dunque la storia: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Sì, quando accadono le cose peggiori - certo cerchiamone fin dove è possibile, e se possibile, una interpretazione - ma guardiamoci dall'abbatterci, dal concludere con una resa: “risollevatevi e alzate il capo”. In ogni ora della storia. Anche in questa.

“Risollevatevi e alzate il capo”. Sino all'ultima ora, quando il Signore Gesù - sono immagini - lo vedremo tornare da dietro le nubi. Che ce lo hanno nascosto. E sono tante le nubi che ce lo hanno nascosto e che ancora, impietosamente, ce lo nascondono. Ce lo nascondono e ci fanno pregare, come i cristiani della prima generazione. Pensate, l'invocazione è custodita nel nuovo Testamento ed ha conservato suggestivamente il sapore dell'aramaico, la lingua di Gesù: “Marana tha”, “Signore, vieni!”. O, se volete:”Il Signore viene”. Sollevatevi e alzate la testa. Tenete salda la speranza: l'immagine del ritorno del Signore sia spinta segreta ai vostri sogni, sia spinta irrefrenabile alle vostre mani, sia passione inestinguibile per ogni attesa. Ogni vivente infatti attende una venuta.

Voi mi capite, attendere il ritorno non è spegnere, ma tenere accesi i desideri; non è contenere, ma dare spazio, dilatare i sogni. E questo è - checché ne dicano - realismo. Parlo di realismo dei sogni, e, se volete, della poesia. Sono rimasto molto colpito, affascinato, lo scorso ottobre, da un videomessaggio di Papa Francesco, in occasione del quarto incontro mondiale dei movimenti popolari. Messaggio dunque a una platea di donne e uomini che la denuncia puntuale delle ingiustizie e l'impegno per mondi nuovi l'hanno come nel sangue. Anche loro donne e uomini di un sano realismo. Ebbene il Papa aprì loro il suo cuore - pure lui è un poeta - e li invitò a persistere a sognare, a fare poesie. Sentite, è l'inizio: “Così mi piace chiamarvi, “poeti sociali”. Perché voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza.

Con le vostre mani sapete forgiare la dignità di ciascuno, quella delle famiglie e quella dell'intera società con la terra, la casa e il lavoro, la cura e la comunità. Grazie perché la vostra dedizione è parola autorevole, capace di smentire i rinvii, silenziosi e tante volte “educati”, a cui siete stati sottoposti, o a cui sono sottoposti tanti nostri fratelli. Ma pensando a voi credo che la vostra dedizione sia principalmente un annuncio di speranza. Vedervi mi ricorda che non siamo condannati a ripetere né a costruire un futuro basato sull'esclusione e la disuguaglianza, sullo scarto o sull'indifferenza; dove la cultura del privilegio sia un potere invisibile e insopprimibile e lo sfruttamento e l'abuso siano come un metodo abituale di sopravvivenza. No! Questo voi lo sapete annunciare molto bene. Grazie.”.

Io mi sto chiedendo se, in giorni come i nostri, non occorra proprio questo sussulto, per liberare fantasia, energia, passione, voglia di ricostruire. E se non è prezioso questo invito del papa a sdoganare i sogni, a diventare poeti sociali. Proprio ieri l'altro un'amica mi ricordava una frase, scritta anni fa, probabilmente da un ragazzo, sul parapetto di sasso della Darsena: “Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo”. “Al vento...”. Sembra un azzardo. Farà fiorire il cielo. Anche la terra.

Risollevatevi e alzate il capo.

 

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