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TESTO La Vita non finisce mai

don Alberto Brignoli  

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I) (02/11/2021)

Vangelo: Gv 6,37-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,37-40

37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

La tristezza, la melanconia e la nostalgia pervadono il nostro cuore, in una giornata come quella odierna. Giornate piovose, fredde e nebbiose (almeno, da noi qui al Nord) contribuiscono a creare un senso di noia esistenziale che ben si sposa con il clima interiore del nostro animo quando pensa a temi come quello della morte e del senso dell'esistenza.

Sì, perché questa celebrazione annuale in ricordo di tutti i Fedeli Defunti non è solo il momento privilegiato per pregare per loro (che ne hanno certamente bisogno, ma non tanto quanto noi, per cui forse è meglio dire che sono loro che pregano per noi...) o per depositare sulle loro tombe un gesto di affetto che spesso nel corso dell'anno sfugge ai nostri pensieri, ma è anche l'occasione perché ognuno di noi possa riflettere sul senso della propria vita, letta in prospettiva della sua conclusione. È senz'altro meglio pensare alla vita che alla morte; ma quando ci viene data l'opportunità di riflettere sulla fine (o meglio “sul” fine) della nostra esistenza terrena, credo che non ce la dobbiamo lasciare sfuggire.

Perché già di per sé la vita ci sfugge dalle mani; e perché, in fondo, a sfuggirci dalle mani è il tempo che ci viene regalato il giorno del nostro ingresso nel mondo. Un tempo che scorre e che, purtroppo o per fortuna, non ritorna più indietro. E se l'iconografia rappresenta spesso la morte con una clessidra nella mano, è segno che tempo e morte sono indissolubilmente legati. Il tempo scandisce ogni cosa, scandisce ogni nostra attività e ogni nostro passo: e la strada percorsa dai nostri passi sappiamo bene - senza che nessuno ce lo ricordi il 2 di novembre di ogni anno - dove sia indirizzata.

Ma non è solo il venire a contatto con la morte (quella degli altri, soprattutto, perché al momento del contatto con la nostra, tempo per pensarci ve n'è ben poco) che ci fa pensare a quanto sia limitata la nostra esistenza. Sono le continue piccole e grandi morti della vita di ogni giorno a darci il senso della nostra limitatezza; ma forse rappresentano pure la grande opportunità di riscatto per vivere meglio la nostra vita.

Di morti personali ne subiamo a centinaia, nell'arco della nostra esistenza; e non parlo, ovviamente, del termine della nostra vita terrena, ma della conclusione, a volte improvvisa e inattesa - e quindi ancor più dolorosa - di ciò in cui abbiamo maggiormente creduto e investito le nostre energie. Un lavoro intrapreso e concluso per cause di forza maggiore, spesso avulse dalla nostra volontà; un sogno legato a un progetto che non si può realizzare perché troppo oneroso; una storia d'amore che sembrava aver coinvolto tutta la nostra esistenza e invece si rivela un'illusione... quanti esempi ognuno di noi potrebbe citare per narrare le volte in cui si è sentito morire dentro. Spesso, queste situazioni ti fanno dire: “Ma chi me lo fa fare? Che senso ha continuare a vivere così?”.

Certo, a nessuno piace la precarietà e l'incertezza. Eppure, come dicevo prima, tutte queste piccole e grandi morti di ogni giorno rappresentano anche un'opportunità di riscatto per la nostra vita. La precarietà di ciò che facciamo e di ciò che realizziamo, infatti, ci fa sperimentare il limite delle nostre opportunità e delle bellezze che ne scaturiscono, ma pure degli insuccessi e delle mancate opportunità. Così come non sono eterni il successo, la salute e l'efficienza, altrettanto non lo sono le sconfitte, la malattia e il senso di inutilità nelle quali spesso cadiamo. E non parlo di speranze da riporre nell'aldilà, al quale spesso guardiamo con nostalgia ma anche, purtroppo, con senso di rassegnazione: parlo della nostra esistenza terrena, nella quale anche le tante piccole morti che sperimentiamo non sono eterne, ma passeggere.

C'è sempre, nella nostra vita, la possibilità di dare e di fare di più; c'è sempre una possibilità di riscatto dalle situazioni precarie e di inutilità; c'è sempre la possibilità che il dolore e la morte non siano la parola definitiva su ciò che facciamo!

Vivere intensamente ogni nostra giornata, come se fosse l'ultima nel senso della più bella, come l'opera d'arte della maturità di un artista che diviene un capolavoro, è certamente segno di una vita che va al di là della morte. Lasciarsi meravigliare dalla bellezza dei colori dell'autunno, che tra l'altro è per antonomasia la stagione del morire, vuole dire comprendere che anche in un episodio di morte c'è comunque un elemento di vitalità.

Generare una nuova vita è il segno evidente che non esiste solo il morire, e che se il morire c'è e ha un senso, è perché questo senso glielo dà il nascere. Svolgere un'attività, un compito, un lavoro, un progetto nel migliore dei modi, al di là di quella che sarà la sua durata, guardando invece alla sua bellezza, alla sua perfezione, alla sua intensità, dà certamente qualità alla nostra vita e senza ombra di dubbio, anche alla nostra morte.

Ricreare relazioni umane laddove si erano infrante; ridare speranza, calore, affetto a chi vede solo il buio della solitudine; ricostruire un tessuto sociale intorno a noi, a partire dagli affetti più cari, laddove spesso l'indifferenza e l'individualismo creano solo incomprensione e provocano la morte dell'anima: queste sono tutte opportunità che la vita ci offre per dire che la morte non ha mai l'ultima parola sulla nostra esistenza.

C'è qualcosa che va oltre la morte, fosse anche solo l'amore e il ricordo delle persone che abbiamo amato e dalle quali abbiamo ricevuto amore durante la loro vita: prova ne sono le manifestazioni di affetto, di decoro, di rispetto che abbiamo verso i luoghi in cui i nostri cari sono sepolti. Non sono gesti da scadenza di calendario, di umana ipocrisia o di circostanza come qualcuno pensa, perché li facciamo una volta l'anno. Per chi crede, sono - insieme a tutto ciò che ci siamo detti prima - l'espressione che la morte non è la parola “fine” sull'esistenza umana: Cristo ce ne ha dato una prova con la sua Resurrezione, e le nostre tante piccole e grandi resurrezioni di ogni giorno ne sono il segno visibile e concreto.

Forse, allora, la morte non fa più così paura. Forse, allora, davvero, possiamo dire che la vita non finisce mai.

 

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