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TESTO Le liturgie del cuore

don Angelo Casati  

Tutti i Santi (01/11/2021)

Vangelo: Mt 5,1-12a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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Non è stato specificata nessuna citazione

Questa è una festa che ci è cara, una di quelle feste che ci è entrata nel cuore. E io non so, proprio non so, se noi la sapremo trasmettere con questa intensità di sentimenti alle generazioni future. Penso ne valga la pena. In passato, per certi dettagli - che dettagli non sono - mi era sin parso che la festa di tutti i santi la volessimo quasi preservare da un linguaggio troppo ecclesiastico e le volessimo quasi lasciare l'intimità dei riti di casa, delle liturgie del cuore. Più vicina alle foto di casa che alla vistosità di certe celebrazioni, più vicina a quei ricordi che accarezziamo con le mani, perché raccontano. Raccontano di persone e cose vive, amate e non spente.

Liturgie di mani nelle case. E dunque la celebrazione deve preservare anche questi passaggi di intimità. Festa dei santi, respirare presenze. E la bellezza oggi di respirarle insieme. I santi, come suole ripetere Francesco, "della porta accanto": un'immagine che mi è diventata cara, ci è diventata cara. Visi impigliati a una porta, a una porta accanto. Sono presenze da vivere sempre. Oserei dire da colorire ancor più quando eventi catastrofici o tristezze dall'anima quasi ci tolgono il respiro. Va' a dirlo, ma senza enfasi, che vince il bene. Questa festa ce lo dice senza arroganze, ce lo ricorda con la visione dell'Apocalisse. A volte abbiamo bisogno di visioni, Per continuare, per continuare a resistere. C'è un futuro. Ed è già in atto oggi.

"Nel giorno del Signore" - racconta il libro dell'apocalisse -"vidi un angelo". Quando ci raduniamo è il giorno del Signore e vediamo l'angelo. L'angelo che ha messo il sigillo, un sigillo di luce. Lo mise in un'alba lontana in un giardino, dove una donna piangeva. Piangeva il suo maestro e amico, sepolto in quel giardino. Per connessioni il pensiero mi va alla parola "paradiso" che dal persiano significherebbe "giardino recintato". Mentre qui l'angelo non è più in uno spazio recintato: la bellezza deborda e mette sigillo di luce, di appartenenza alla risurrezione, non su pochi, ma su una moltitudine. E non ci sono solo le tribù di Israele, ma folle, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. E c'è la bellezza di un canto corale. Dove allargare non vuol dire perdere intimità.

Perdonate lo sconfinamento di un pensiero: ora che l'affaccio alla visione della moltitudine in canto si fa sempre più vicino a me, sento come un dono per me questa coralità del canto. E' come se mi prendesse desiderio di ringraziare perdutamente, per la dismisura di quanto ho ricevuto. Ed è come se mi ritrovassi con la mia piccola voce, flebile, debole come una fiamma da stoppino e allora chiamo la moltitudine a dare armonia, bellezza - quella bellezza che non ho - a dare voce al canto della gratitudine. Un po' come succede in questa messa quando al canto del solista, che intenerisce le parole del salmo, tutti veniamo chiamati a rispondere con il responsorio. O come quando l'organista, dopo avere fraseggiato con partiture di rara suggestione, allarga in un finale disteso, chiamando al raduno la coralità di note e melodie.

lo sento, avrò bisogno di voci, di un canto corale, universale. Per ringraziare. Io sono come un granellino. La visione dell'Apocalisse potrebbe lasciare alla mia mente qualche abbaglio di trionfalismo, ma è solo genere letterario. Allora lasciatemi dire che un angelo richiama un altro, in un contesto forse più intimo, l'angelo di una poesia di David Maria Turoldo, lui, un amico e il suo sogno. Scrive: "Sogno fontane di acque fiumi a cascate d'acque e praterie sconfinate ove la luce danzi col suo abito da sposa e un angelo che suoni il flauto nel silenzio di una dolcissima aurora. ma non è che un pallido sogno: altra è l'Aurora che attendo. pure in timore e tremore". Non mi incanta - vi dicevo - la vistosità, mi incanta l'intimità.

E così faccio ritorno alle nostre case, alle nostre strade. E mi nasce un aggancio al vangelo. Per parlare di santi. O se volete di beati. Perché Gesù anche lui ha fatto le sue beatificazioni. E - non possiamo negarlo - sono più sicure delle nostre. Ha fatto dei beati. Li ha fatti sul monte, senza cerimonie ufficiali. Gli venne una beatificazione sul monte. Sul monte lo avevano seguito folle, non certo i centoquarantaquattromila dell'Apocalisse. Li vedete sul monte? Beatificava categorie, ma anche visi concreti, lui non parlava mai in astratto. Erano quelli. E diceva: "Beati i poveri in spirito". E poi ancora "beati". Ancora per sette volte: "beati...". Poi alla fine li guardò in faccia e disse "Beati voi...".

La parola "santo" è bella. Anche se poi nella Bibbia è scritto che santo è solo Dio, e noi lo siamo per piccoli riflessi. Ma, come tante altre parole, la abbiamo scolorita confinandola nella vistosità del miracolo. Così che, se uno ti chiedesse se hai avuto la fortuna di conoscere un santo, lì per lì rimarresti con qualche incertezza. Io non ho visto santi canonizzati. Se non da lontano. Non ho visto lo straordinario dei segni. Ho visto lo straordinario dell'ordinario. Ho visto, ho incrociato i poveri in spirito. Ho visto, ho incrociato, quelli che sono nel pianto. Ho visto, ho incrociato, i miti. Ho visto, ho incrociato, quelli che hanno fame e sete della giustizia. Ho visto, ho incrociato, i misericordiosi. Ho visto ho incrociato, i puri di cuore. Ho visto, ho incrociato, gli operatori di pace.

Ho visto, ho incrociato, i perseguitati per la giustizia. Ho visto, ho incrociato, gente insultata, diffamata con menzogne e con ogni sorta di male. Anche tu hai visto, anche tu hai incrociato. I santi in paradiso non sono una nebulosa, sono questi, hanno lo splendore di questa concretezza. Che da un lato affascina e dall'altro ci seduce a seguire. A seguire la strada aperta da Gesù, aperta sul monte. E rimangono - lasciatemi dire - compagni di cammini. Se fai silenzio li senti camminare. Come allude Christian Bobin. Che scrive: "Tra la mia vita e la mia morte, una semplice parete di carta. Io ti sento camminare dietro".

Noi li sentiamo camminare. Dietro.

 

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