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TESTO Prima e soprattutto “Amare” e solo “Amare”

padre Antonio Rungi

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XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (31/10/2021)

Vangelo: Mc 12,28-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,28-34

28Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». 32Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; 33amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Tre sono gli avvenimenti dei prossimi giorni che ci aiutano a riflettere e meditare in questi giorni: la domenica XXXI del tempo ordinario, la solennità di Tutti i santi, il 1 novembre e l'annuale specifica commemorazione dei fedeli defunti del 2 novembre.
Tre celebrazioni che ci fanno riflettere sul senso della vita e su come camminare e dove indirizzare i nostri passi. Ci aiuta a vivere santamente questo triduo di riflessione e di preghiera il vangelo di questa domenica, incentrato sul comandamento dell'amore, nel quale ci viene narrato come uno degli scribi si avvicinò a Gesù (e siamo a Gerusalemme) per domandargli: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù a questa richiesta di delucidazione, poteva benissimo fare tutto un suo discorso ed elaborare una nuova teoria sul tema tanto caro ad ogni essere umano che è quello dell'amare o dell'amore. Invece non fa altro che richiamare quello che era noto e conosciuto come l'inno per eccellenza, il canto dell'amore di Israele e ripete il testo della sacra scrittura, commentato dagli stessi dottori della legge e dagli scribi nelle loro istruzioni bibliche, Gesù va nel cuore dei testi sacri e rilancia il testo dell'Ascolta Isarale, circa i comandamenti: «Il primo è: "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza". Questa testo che ascoltiamo nel brano della prima lettura di oggi, tratta dal Deuteronomio.
Sempre citando il testo sacro, Gesù ricorda che il secondo comandamento è questo: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Citati i due comandamenti, alla fine, chiude il discorso dicendo che oltre queste due fondamentali norme non ce ne sono altre più grandi di queste.
L'esposizione di Gesù dovette piacere allo scriba, intuendo perfettamente che il Maestro era a conoscenza dei testi sacri e come tali li presenta senza aggiungere altro, al punto tale che lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui. Lo scriba che si congratula con Gesù, per la riposta data e per la verifica superata. Lo stesso scriva nel ribadire quello che aveva detto Gesù recupera la parte introduttiva dei precetti dell'amore che si fondano su Dio Uno e sulla fede monoteistica. Per cui l'amore verso Dio non può essere che unico ed esclusivo: amarlo, quindi, con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza è un fatto naturale, della creatura verso il creatore. Ma questo amore va anche manifestato ed esplicitato nei confronti delle creature che qui assumono in nome di prossimo. Di conseguenza amare il prossimo come se stessi fa parte del comandamento unico dell'amore.
La legge dell'amore e dell'amare supera perciò tutti gli olocausti e i sacrifici. Chi ama Dio e i fratelli è sulla via della salvezza e della vera redenzione. Lo conferma Gesù stesso, a conclusione del breve dialogo intercorso tra lui e lo scriba, al quale rivolge parole di stima, fiducia ed incoraggiamento, in quanto nota in questo uomo della legge il desiderio del sapere il vero e di ricercare il vero bene. Da interrogato Gesù passa ad essere il giudicante, dicendo allo scriba «Non sei lontano dal regno di Dio».
Chi vive nell'amore è sulla strada del Regno e della salvezza eterna. Di fronte a questo lezione di sacra scrittura e di teologia, tutti gli altri che avevano ascoltato il dialogo tra Gesù e lo scriba non ebbero il coraggio di approfondire l'argomento, visto che aveva risposto bene la tematica e quindi non c'era nulla da obiettare in merito alla questione del precetto dell'amore.

Alla luce di questo brano evangelico possiamo capire il perché la Chiesa ogni 1 novembre ci fa ricordare nella preghiera e nella liturgia tutti coloro che hanno raggiunto il paradiso ed ora e per tutta l'eternità godono della visione beatifica di Dio: i santi sono persone che hanno portato al massimo grado della loro esperienza umana il precetto dell'amore verso Dio e dei fratelli.
Non sono solo i santi della carità, ma tutti i santi hanno vissuto nell'amore. A ciascuno di loro, quelli noti e quelli non conosciuti, i cosiddetti santi della porta accanto, come li ha definiti Papa Francesco in una sua recente esortazione apostolica, Gaudete et exultate; “siamo «circondati da una moltitudine di testimoni» che ci spronano a non fermarci lungo la strada, ci stimolano a continuare a camminare verso la meta. E tra di loro può esserci la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine. Forse la loro vita non è stata sempre perfetta, però, anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore. Nessun santo è nato già santo, ma lo è diventato piano piano lungo tutto il suo itinerario di vita, non sempre facile e segnato dalla grazia, ma anche da fragilità, dalle cadute e dal peccato.

Nella seconda lettura di questa domenica, tratta dalla Lettera agli Ebrei ci viene rammentato il mistero centrale della nostra fede. Cristo Salvatore e Redentore. E il brano usa un linguaggio non di facile comprensione, ma che va nel cuore della nostra stessa religione: “Cristo poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore”. Gesù il sacerdote vero sommo ed eterno, quello che occorreva all'umanità: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli”. Diverso da ogno altro sacerdote dell'Antico Testamento e della Chiesa, Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso”. Sappiamo della debolezza e della fragilità di ogni sacerdozio di persone chiamate a questa missione. “La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre”. In Cristo comprendiamo il senso di ogni sacerdote scelto da Dio per elevale al cielo preghiere e suppliche per se stesso e per i fedeli. Non a caso, quindi, che la chiesa affida il compito ai sacerdoti di ricorda il due novembre tutti i defunti e tutti i nostri cari, con la celebrazione di tre sante messe di suffragio. Tuttavia, non basta un solo giorno per ricordarci di loro e soprattutto pregare per loro, per quanti sono ancora in attesa di salire in paradiso. Molte anime sono a purificarsi oltre il tempo, visto che forse la purificazione non è stata completata sulla terra. Per cui le anime sante del purgatorio le più dimenticate ed abbandonate devono essere costantemente nelle nostre preghiere e nelle opere di bene.

Per questo motivo sette anni fa scrissi una preghiera per i defunti che poi Papa Francesco, a mia insaputa e con grande mia sorpresa e gioia interiore, volle inserire nell'Angelus del 2 novembre del 2014.
Preghiera che vi ripropongo, a conclusione di questa riflessione e che vi invito a recitare in questi giorni e per tutto il mese di novembre, avendo davanti al mio sguardo soprattutto i tanti morti, sia in Italia che nel resto del mondo, a causa della pandemia.
«Dio di infinita misericordia, affidiamo alla tua immensa bontà quanti hanno lasciato questo mondo per l'eternità, dove tu attendi l'intera umanità, redenta dal sangue prezioso di Cristo, tuo Figlio, morto in riscatto per i nostri peccati. Non guardare, Signore, alle tante povertà, miserie e debolezze umane, quando ci presenteremo davanti al tuo tribunale, per essere giudicati per la felicità o la condanna. Volgi su di noi il tuo sguardo pietoso, che nasce dalla tenerezza del tuo cuore, e aiutaci a camminare sulla strada di una completa purificazione. Nessuno dei tuoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell'inferno, dove non ci può essere più pentimento. Ti affidiamo Signore le anime dei nostri cari, delle persone che sono morte senza il conforto sacramentale, o non hanno avuto modo di pentirsi nemmeno al temine della loro vita. Nessun abbia da temere di incontrare Te, dopo il pellegrinaggio terreno, nella speranza di essere accolto nelle braccia della tua infinita misericordia. Sorella morte corporale ci trovi vigilanti nella preghiera e carichi di ogni bene fatto nel corso della nostra breve o lunga esistenza. Signore, niente ci allontani da Te su questa terra, ma tutto e tutti ci sostengano nell'ardente desiderio di riposare serenamente ed eternamente in Te. Amen»

 

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