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TESTO Sei atteso nel cantiere

don Angelo Casati  

Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno B) (17/10/2021)

Vangelo: Gv 10,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Forse sono sì inquiete, in modo particolare, queste giornate. Forse ogni giornata in qualche misura è inquieta, se stiamo all'aggettivo, "non quieta". Non è forse vero che sgusciamo ogni mattina dalla quiete, dalla quiete del riposo. Anche se è vero che per alcuni inquieta, senza quiete, può essere stata anche la notte. Ebbene anche le giornate inquiete hanno bisogno di soste. Una sosta è anche questa che ci stiamo dando ora. Per non morire di affanno, o di insensatezza. Una sosta è anche, in questa liturgia, la contemplazione, per noi oggi da lontano, del Duomo, il nostro Duomo, di cui oggi ricordiamo la dedicazione. Più volte nel tempo dedicato, quasi si volesse apporre una dedica ad ogni sua trasfigurazione. Come se si avvertisse qualcosa di nuovo e ti accendesse desiderio di dedicarlo, o di dedicarlo di nuovo, a Dio. Noi non sempre sostiamo a pensare alla bellezza di una dedica.

Bella per chi la appone: "Ti faccio una dedica quasi volessi il tuo nome su quello che è sgusciato dalle mie mani, dal mio cuore". Il nome di Dio su queste pietre che splendono, su queste guglie che bevono il cielo. Abbiamo fatto più volte, lungo i secoli, dediche a Dio, per il nostro Duomo. Volevamo dedicargli bellezza e attingere bellezza. Non so se poi in tutte la chiese che gli abbiamo dedicato respiri la bellezza, ma il desiderio era quello. E subito sconfino perché l'edificio da costruire e da dedicare non è solo quello di pietre ma va a simboleggiare costruzioni nell'orizzonte di tutta la vita, e così l'orizzonte del dedicare si amplia. E primario per Gesù sembra essere il cantiere dell'anima. Perché, come scrive Paolo: "Tempio di Dio siete voi".

Il brano di Giovanni parlava della ricorrenza della dedicazione del tempio di Gerusalemme, ma annota anche che quelli che in quell'ora lo stavano frequentando erano impermeabili all'incontro con la parola vivente di Dio, si opponevano aspramente a Gesù. Era inverno, soffiava un vento gelido. Ma ancor più gelido era l'inverno nell'anima. Chiusi al vento della vita, a Gesù di Nazaret, al pastore che fa migrare verso la vita. Pieni di sé, non lo ascoltavamo. Dice loro Gesù: "Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano".

Si può ripetere il dramma: incontrare le pietre di un edificio sacro, ma non incontrare il sacro, non respirare una presenza, non ascoltare la voce che ci parla. E uscire, come si è entrati. Mi sembra di capire che molti cantieri, che abbiamo aperto o stiamo aprendo, potrebbero correre il rischio di non generare altro che vecchie abitudini, se deserto per disavventura fosse il cantiere dell'anima. Se ad ispirarci saranno manovre di basso conto e non la verticalità, che sembra sedurci dalle pietre del nostro Duomo. Làsciati ispirare da una luce che piove dal'alto, poi esci e fa' la tua parte nel cantiere. Chiamiamo il Duomo cattedrale. Ti ispiri la vera cattedra. Sta In ascolto di parole alte, la parola di Dio su tutte o quella che ti viene dalla donna povera e vedova del vangelo, che fa scivolare nel tesoro del tempio pochi spiccioli, che Gesù, alla fine del vangelo, mette in cattedra, cattedrale.

Il suo gesto era limpido, veniva dall'alto. Perché tutto dipende da che cosa ti ispira, quale spirito ti conduce. La nostra cattedrale, un cantiere nei secoli. La chiamavano: "la Fabrica del Domm". Ebbene in questi giorni si sta approntando un cantiere anche nella chiesa. L'intento che ci appassiona è quello di dare vita a una chiesa "sinodale", una chiesa che, come allude la parola, "cammina insieme". "Cammina", non è ferma: se il cantiere è fermo, ti fa stretta al cuore. E' il contrario del fermento che dovrebbe abitarlo, dell'aria che vi si dovrebbe respirare. Chiesa sinodale, chiesa che cammina, ma "insieme": tutti chiamati al cantiere, non solo quelli che a lungo sono stati ritenuti gli "addetti al lavori".

Anzi con un riguardo a coloro che a lungo sono stati tenuti lontani dal programmare, dall'inventare, dal guidare: le donne per esempio e gli ultimi. Abbiamo bisogno degli occhi di tutti, della mani di tutti, del cuore di tutti. Abbiamo bisogno di coraggio per aprire vie nuove al vangelo, in ascolto dell'oggi della storia, l'oggi che ci è toccato. Occorre coraggio. Ce lo ricordava Papa Francesco nella Messa di inizio di questo cammino. Dicendo: "Ogni incontro - lo sappiamo - richiede apertura, coraggio, disponibilità a lasciarsi interpellare dal volto e dalla storia dell'altro. Mentre talvolta preferiamo ripararci in rapporti formali o indossare maschere di circostanza - lo spirito clericale e di corte: sono più 'monsieur l'abbé' che 'padre' -, l'incontro ci cambia e spesso ci suggerisce vie nuove che non pensavamo di percorrere".

Usciamo dalla cattedrale. Ad accenderci è la passione per il cantiere chiesa, ma non solo. Ci accende - anche in forza della fede che ci abita - passione per il cantiere della casa comune. Anche la casa comune è sempre in costruzione, anche la casa comune ha bisogno di visioni di grande respiro, della bellezza di un progetto che ci accenda gli occhi. Come sarebbe bello se, resistendo al vuoto disperante delle approssimazioni, alla ristrettezza soffocante degli interessi di parte, alle ubriacature degli slogan, al rimpianto troppo facile per ciò che è passato, ritornasse passione e - lasciatemi dire la parola - entusiasmo per la casa comune che ha bisogno degli occhi di tutti, delle mani di tutti, del cuore di tutti. Sì, le nostre mani. E altre più segrete, più ingegnose delle nostre. Che costruiscono con noi, e portano a compimento l'opera, le mani di Dio.

Non solo con noi a costruire, ma anche a custodire, secondo una parola imperdibile del vangelo di oggi, parola di Gesù a proposito delle sue pecore: "Nessuno le strapperà dalla mia mano". Niente, nessuno.

 

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