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TESTO Soffici tentazioni

don Fulvio Bertellini

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (30/10/2005)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Tinte forti ma irreali

Chi ha visto l'ultima fiction su San Pietro ha avuto un quadro interessante - al di là della valutazione artistica dell'operazione - riguardo alla primitiva comunità cristiana e ai problemi che dovette affrontare. Grandi scelte, grandi tentazioni. La ragazza che deve decidere tra seguire l'innamorato e conservare la sua fede. L'innamorato chiamato a scegliere tra l'affetto di lei e una probabile luminosa carriera nel senato di Roma. Il gladiatore che rischia di farsi uccidere, per testimoniare la verità di Cristo. Alternative radicali, in cui tutta l'esistenza, con le sue scelte di fondo, è messa drammaticamente in discussione. A dire il vero non so se proprio questa fosse la situazione dei primi cristiani, o se è un nostro bisogno di idealizzare il quadro, e renderlo a tinte più forti per un maggior effetto televisivo. Non mi pare però la situazione del nostro tempo. Che potremmo così riassumere: piccole scelte, piccole tentazioni.

Deboli luci, ombre inquietanti

Le alternative della vita quotidiana possono sembrare insignificanti, al limite irrilevanti. La strada che molti cristiani percorrono sembra una strada obbligata, un binario senza scambi, in cui ogni tanto il percorso non appare il più lineare possibile, e però sembra non avere altri sbocchi. A meno di non saltare giù dal treno. Cosa che sembra riservata ai superman, più che ai semplici fedeli.

Non esiste più la tentazione di una volta, e neanche il martirio di un tempo. Le tentazioni si sono rapidamente adeguate, perdendo ogni aspetto eroico e ogni connotazione minacciosa. Una tentazione diffusa ad esempio è quella della comodità: ma che male c'è a desiderare una vita comoda? Oppure quella dell'esibizione, dell'immagine, dell'apparenza: ma che male c'è a desiderare di apparire, visto che siamo nella civiltà dell'immagine? C'è da stupirsi se una bambina solleva maliziosamente la gonna per imitare la velina televisiva, che anche suo padre (o il compagno di sua madre) ammira? Qualcuno dirà che non c'è neppure da arrabbiarsi per cose simili, che i tempi vanno così, e forse ha ragione. Non sono neppure queste le insidie più pericolose. E non sono neanche tanto nuove.

Erosione e livellamento

Rileggendo attentamente il Vangelo scopriamo infatti che la tentazione della vita comoda è stata sempre presente, e ha mietuto vittime illustri. E anche quella dell'apparenza. Nelle sue dispute con i farisei e i capi del popolo Gesù ha più volte modo di sottolineare l'incoerenza tra il loro incarico ricevuto da Dio e l'interesse personale, che si fa strada al di là delle buone intenzioni. Potremmo chiederci come mai tutti gli evangelisti diano ampio spazio a simili dispute. Tutto il capitolo 23 di Matteo è dedicato all'invettiva contro i farisei e gli scribi, e non solo come preparazione al grande discorso escatologico; non solo perché il contrasto fu uno dei motivi che probabilmente portarono alla condanna di Gesù: l'evangelista sembra avere di mira alcuni atteggiamenti che stanno coinvolgendo e minando la Chiesa. Lo dimostra l'apertura del brano (Gesù si rivolge "alla folla e ai discepoli", non ai farisei); lo mostrano i versetti 8-12 ("Ma voi non fatevi chiamare rabbi, perché uno solo è il vostro maestro..."), in cui il rimprovero diviene avvertimento per la comunità. Ci sono atteggiamenti e comportamenti che erodono, giorno dopo giorno, la nostra fede, il tessuto affettivo della comunità, la sua adesione a Cristo. E' un fatto insensibile, che avviene giorno per giorno, e che solo ad un certo punto diviene una frana. Dopo la frana, tutto si livella, e il sedicente discepolo si ritrova al livello degli altri uomini.

La comodità - dire e non fare

La prima tentazione farisaica è quella del dire e non fare. Io la reinterpreto come tentazione della "comodità". Che cosa infatti ci trattiene dal fare? La constatazione, o la previsione, o la sensazione che il "fare" sia fastidioso. Tutti hanno buon gioco a denunciare le malefatte dei politici, a lamentarsi delle tasse, a recriminare contro le ingiustizie palesi del nostro mondo. Molti hanno anche delle ricette da proporre. Agire è "scomodo". Per chi fa', per chi lo vede, per chi è il destinatario del fare. Anche per me ora è molto semplice digitare sulla tastiera e riempire lo schermo del computer di parole, che poi saranno trasferite sulla carta. Può darsi anche che qualcuno trovi piacevole leggerle. Ma lasciarsi guidare dalla Parola di Dio è un altro conto.

L'apparenza - farsi vedere

La seconda tentazione farisaica è quella dell'essere ammirati dagli uomini. La nostra civiltà televisiva non ha inventato nulla: ha solo potenziato tecnicamente l'istinto umanissimo a farsi ammirare. Perché troppo spesso una persona non ha consistenza in se stessa, e deve ricorrere all'approvazione altrui per sentirsi qualcuno. Nei farisei che Gesù prende di mira, il farsi vedere si salda con la pratica religiosa impeccabile, con l'osservanza minuziosa dei comandamenti. Avviene un rovesciamento radicale di valori: colui che sembra esemplare esteriormente, risulta inconsistente, se non marcio, all'interno. Ma l'evangelista ha di mira i suoi cristiani, che ripercorrono le stesse orme. Anche per noi oggi è molto facile uscire dalla strada stretta della convinzione e della testimonianza, per innestarci sull'autostrada dell'esibizione e dell'apparenza.

La sostanza: uno solo è il vostro maestro

Dopo la denuncia, comincia l'esortazione ad uno stile differente, non ricalcato sulla tentazione umana ma sull'agire di Dio. Essa è scandita da tre ripetizioni del numerale "uno solo". Uno solo è il maestro, uno il padre celeste, uno solo il maestro (che spiega come arrivare al Padre). Contro la dispersione delle molte parole e delle molte buone intenzioni, contro la doppiezza dell'apparenza, lo stile della comunità dei fratelli in Cristo nasce dalla riscoperta dell'essenziale, dal fondare la propria consistenza su ciò che vale veramente. Si parla di fraternità, si parla di uguaglianza: nessuno dovrebbe aver bisogno di prevalere sugli altri, né di apparire al di sopra degli altri. Ma non si tratta di una fraternità e uguaglianza intese in maniera puramente umana. Sono fondate sul riconoscimento dell'unico Padre, e dell'unico che mostra l'amore del Padre, facendosi "servo". Chi vuole essere "grande", deve "abbassarsi". E nell'abbassamento sta il segreto della vita cristiana. Chi vive l'umiltà sa dare valore alle cose che sembrano piccole. Per chi vive lo stile di Gesù, non esistono più alternative irrilevanti. L'occhio si fa attento alle soffici tentazioni, che giorno per giorno si insinuano e minano la nostra fede, e al di là del binario obbligato, in cui sembra consistere la nostra vita, sa riconoscere che si aprono altri sentieri, più difficili e più impervi. E prima che il binario conduca a un burrone, capisce che è meglio saltare giù dal treno...

Flash sulla Prima lettura

"Ora a voi questo monito, o sacerdoti...": la parola del profeta si rivolge contro i sacerdoti, che dovrebbero essere le sue guide fidate, e seguono invece tutto un altro orientamento.

"Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, [...] manderò su di voi la maledizione": riprendendo le minacce dei profeti più antichi, Malachia si scaglia con forza contro la profanazione del nome di Dio. Solo che per profanare il nome di Dio non è necessario bestemmiarlo esplicitamente: anche solo trascurare di "dar gloria" a Dio è già in qualche modo rinnegarlo.

"Perché dunque agire con perfidia l'uno contro l'altro profanando l'alleanza dei nostri padri?": il delitto tanto grave che viene condannato è la "perfidia", ovvero l'inganno reciproco. Venir meno alla parola data, agli impegni presi, venir meno alla lealtà e alla fiducia. Ciò che il profeta condanna non sono grandi atti di tradimento, ma i piccoli inganni quotidiani, in cui con furbizia si inganna la fiducia del prossimo. La parola del profeta diventa necessaria perché si tratta di cose che rischiano di sfuggire alla coscienza comune. Perfino i sacerdoti si sono lasciati trascinare nella rete, e non si rendono più conto di che cosa comportano le loro piccole infedeltà, che divengono motivo di inciampo per tutto il popolo.

Flash sulla Seconda lettura

"... siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre nutre e ha cura delle proprie creature": possiamo leggere come un dittico la prima e la seconda lettura: nell'una abbiamo il quadro negativo, nell'altra quello positivo. Il tema comune è quello del sacerdozio, del modo di svolgere un incarico di responsabilità affidato da Dio. Da una parte i sacerdoti del tempo di Malachia, rilassati e affaristi; dall'altra parte abbiamo Paolo, completamente assorbito dall'attenzione e dalla cura nei confronti della comunità di Tessalonica appena formata.

"Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita...": è una lettura riservata ai preti? No (anche se ovviamente non farà loro male meditarla attentamente...), perché ogni cristiano ha ricevuto con il Battesimo una dignità sacerdotale e una responsabilità per il Regno di Dio. Tutti sono dunque invitati a confrontarsi con l'atteggiamento di Paolo, per non divenire cristiani solo di facciata. Ciò che Paolo può trasmettere anche a noi oggi è proprio la dedizione autentica, l'affetto personale che scaturisce dalla fede. La capacità di attenzione, di apertura, di dialogo a tu per tu, è la vera risorsa della fede, in un mondo dominato da rapporti artificiali, relazioni di tipo commerciale, tendenza alla spersonalizzazione.

 

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