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TESTO Limpidezza di un gesto

don Angelo Casati  

II domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (12/09/2021)

Vangelo: Gv 5,37-47 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. 40Ma voi non volete venire a me per avere vita.

41Io non ricevo gloria dagli uomini. 42Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. 43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?

45Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

L'accusa è pesante. Da inquietare i volti. Rivolta ai capi religiosi del tempo: "Anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi". Mai ascoltato, mai visto! Quasi dicesse: "Avete orecchi e non udite, avete occhi e non vedete, non avete cuore". Ma forse l'aspetto più inquietante di questo indurimento, indurimento del cuore, è che nemmeno la bellezza più tersa, la bellezza delle opere di Gesù, il rabbi di Nazaret, l'inviato, il figlio di Dio, riusciva a scalfire - ma nemmeno di un grumo! - la barriera opaca dei cuori induriti. Il mistero dunque dell'indurimento del cuore.

Proprio un mistero, perché l'accecamento è contiguo - nessuna cesura di tempo - alla limpidezza di un gesto: quelli cui si rivolge Gesù sono quelli che pochi minuti prima erano stati spettatori di un gesto di una tenerezza infinita. Pensate, pochi istanti prima, alla piscina chiamata Betzaetà, presso la porta delle Pecore, dove il ribollire dell'acqua aveva qualcosa di miracoloso per una folla di disperati. Scrive Giovanni. "Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: "Vuoi guarire?". Gli rispose il malato: "Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me". Gesù gli disse: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina". E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato".

Però era un sabato. E il sabato - pensate - cancellò la bellezza. La bellezza degli occhi di Gesù: "vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così". Cancellò la bellezza di quella voce che apriva futuro: "Vuoi guarire?", "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina". Il colore della voce. Era un sabato. E bastava il fatto che fosse di sabato per fare di Gesù un giudeo blasfemo, falso profeta, da rigettare. Che fosse di sabato. E che si dicesse figlio di Dio. Il vangelo annota: "Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio". Perché Dio lo puoi testimoniare facendone memoria o anche prolungando nel tempo le sue azioni.

Quali le azioni di Dio da ricordare, da dissequestrare da smemoratezza e quali i suoi gesti da prolungare nel tempo? I profeti sentirono l'urgenza di ricordare questa presenza, non percepibile agli occhi, ma altrettanto vera, reale, quella di Dio nel cammino di un popolo. Sentirono questa urgenza soprattutto nei giorni della smemoratezza - e i nostri sono, sì o no, giorni di smemoratezze? -. Isaia, quando il popolo fu preso da smemoratezza, si alzò lui a ricordare. A ricordare eventi che non potevano essere frutto solo di mani umane, ma anche del braccio di Dio.

In quei giorni, Isaia parlò, dicendo: "Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa d'Israele. Egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia". E ricordò al popolo un passato, i giorni di Mosè. Mi colpiva nel brano il ritorno insistente di un aggettivo attribuito a Dio "grande" - grande Dio! - usato per dire che fu ed è grande nella misericordia, nella compassione, nell'amore. E, insieme, mi colpiva che Dio rivendicasse a sé un intervento, un gesto, non da lontano attraverso mediatori o vicari, ad agire era lui stesso, lui in prima persona: "Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato".

"Li ha sollevati", bellissimo verbo. E bellissimo sarebbe stare in silenzio e in silenzio ricordare, riconoscere: "Là, in quell'ora mi ha sollevato. Là, in quell'ora, come chiesa, come popolo, ci ha sollevati. E ora ci solleva". Voi mi capite, leggere, ma con umiltà, il cammino che sta alle spalle e riconoscere tracce, orme, quasi invisibili. E se Dio solleva, il Figlio, che ha imparato dal Padre, davanti a una piscina gremita, ultima spiaggia per folle di disperati, davanti a un paralitico che è disteso da trentotto anni - disteso - che cosa può fare per dare testimonianza, del padre e di sé, se non sollevare? Sollevare i distesi: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina". Il colore della voce. E la mia voce che colore ha?

Certo, ci sono anche giorni in cui sembra batterci in cuore l'assenza di Dio. A questo proposito vorrei leggervi la testimonianza di Jadwiga Pinderska Lech, presidente della Fondazione vittime di Auschwitz-Birkenau. Le viene chiesto: quale delle terribili vicende avvenute ad Auschwitz l'ha turbata di più? "Quella che un prigioniero osservò dalla finestra di un block che dava sul cosiddetto "muro della morte", il luogo dove venivano fucilati i detenuti politici e le famiglie dei partigiani polacchi. Un giorno vi furono condotti un padre, una madre con un piccino fra le braccia e una figlia di 10-11 anni. Mentre aspettavano di morire, la bambina, ben vestita e ben pettinata, si accorse di avere una macchia di fango su una scarpa. Allora s'inumidì un dito con la saliva e la pulì.

In quell'istante arrivò Gerhard Palitzsch, primo Rapportführer di Auschwitz, che li uccise uno alla volta a colpi di pistola". È credente, signora Pinderska Lech? "Sì. Sono cristiana cattolica". Quindi si sarà posta la domanda delle domande: dov'era Dio ad Auschwitz? "Più volte. E non riuscivo a trovare risposta, come gli innumerevoli israeliti, cattolici e protestanti che in questo inferno sulla terra persero, tra patimenti inenarrabili, non solo la vita ma prim'ancora la fede. Finché un giorno mi sono fermata ad osservare uno strano oggetto rinvenuto nel nostro archivio. Lo costruì un prigioniero, inanellando minuscole palline fatte con la mollica del pane. Un rosario. Mi ha sconvolto. Chi mai ad Auschwitz si sarebbe privato del razionatissimo cibo per il corpo allo scopo di alimentare la sua anima, se non avesse creduto in Dio e nella vita eterna".

 

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