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TESTO Parlare ovvero parabolare

don Angelo Casati  

I domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno B) (05/09/2021)

Vangelo: Gv 3,25-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».

31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. 33Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. 34Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. 35Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. 36Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.

No so dirvi perché e se c'è un filo che annodi. So che, leggendo in questi giorni i testi di questa domenica, mi veniva spontaneo pensare a un nostro esercizio quotidiano, quello del parlare, parlare ed ascoltare. Oggi - ma forse è stato così in ogni stagione - tanto parlare e - così mi sembra - meno, meno purtroppo, ascoltare. Parlava Isaia a nome di Dio al suo popolo. Ascoltava, il popolo? Parlava Giovanni di Gesù volgendosi ai suoi discepoli. Ascoltavano? Certo, c'è parlare a parlare, come c'è ascoltare ed ascoltare.

Parlare: forse è una mia fissazione, devo confessare che rimango spesso colpito dal tono delle parole. Le parole del libro di Isaia, da un lato mi sono apparse accorate. Accorate, "con dentro un cuore", vengono dal cuore. Le parole di Dio non possono se non venire da un cuore. Che batte. E subito emerge nel testo un richiamo su cui dovremmo porre attenzione: le parole, le nostre, anche quelle rivolte a Dio, a rischio di assenza di cuore, senza battere di cuore. Leggo: "Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani, perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo". "Mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano".

Voi mi capite, dovrei vegliare più spesso sulle mie parole e più di frequente chiedermi, se sono abitate, abitate da umanità: da un cuore o senza cuore? E, ancora, per quanto riguarda le parole di Dio, vorrei dire che spesso sono abitate da una sorpresa, come accade all'inizio di questo piccolo brano dove - diciamocelo - posta la premessa, "voi mi onorate con le labbra... un imparaticcio di precetti", ci aspetteremmo, come conseguenza logica, un ritrarsi di Dio: "Siete così, perciò...". E invece, incredibile: "perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo". Inaudito! Non si ritira: "Eccomi". Continua: continua a operare meraviglie. Questo lo straordinario di Dio. Vorrei dire, lo straordinario che potrebbe abitare le nostre parole.

Straordinarie se, a fronte di mille ragioni a ritirarsi, confermano una presenza, "eccomi" e un desiderio di gesti di vita, di rinascimento, di meraviglia. Operare meraviglie. Succede. Succede quando ti rendi conto che non stai davanti a parole vuote o a un imparaticcio. Vorrei pregare perché ciò accada, accada più spesso, nella mia vita. Vorrei ora sfiorare il brano di vangelo sostando sulla parole, quelle del Battista e quelle aggiunte, un commento, parole che molto probabilmente sono un monito per i discepoli di Giovanni, il Battista. Vorrei iniziare osservando che nel vivere quotidiano ci sono parole cui non dare peso: "Lascia perdere, non ci perdere tempo!". Accade quando a parlare sono coloro la cui ossessione, quella dominante, sono i sondaggi: e chi battezza di più e chi battezza di meno: "E tu, Giovanni - noi siamo tuoi discepoli - hai sentito che Gesù battezza più di te? Come mai?".

Giovanni è fuori da queste logiche, non gli interessano i numero, gli interessa Gesù. Ha una passione dentro. Che arde anche nelle parole. La sua passione è per Gesù. Quando si è appassionati - voi lo sapete - le parole si accendono e ti accendono. Sino al punto di creare sorpresa, stupore. Lo ricordavamo. E' quello che è capitato e capita, penso, a ognuno di noi, quando sostiamo, come abbiamo fatto oggi, su queste parole del Battista. Non ce le saremmo aspettate. Noi di lui portiamo, come prevalente, l'immagine di un profeta roccioso, un asceta del deserto, a lui associamo quasi esclusivamente parole ruvide, di minaccia e di fuoco, quasi impigliate al suo vestito di peli di cammello, al suo cibo di locuste e miele selvatico.

E ora scopriamo sentimenti di tenerezza e delicatezza: parole come "amico", "sposo", "sposa". Racconta di Gesù non nell'immagine di chi brucia la pula con fuoco inestinguibile, ma nell'immagine di uno sposo consumato di amore per la sua sposa, per l'umanità. Riudiamo le parole: "Non sono io il Cristo, ma: 'Sono stato mandato avanti a lui'. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire". L'amico dello sposo prepara l'evento, fa spazio per le nozze, ma poi non invade, assiste all'evento con gioia, in primo piano mette l'altro, non attira l'attenzione su di sé e da uomo della parola, anche forte, diventa uomo dell'ascolto: è presente e l'ascolta, e nell'ascoltarlo la sua gioia è piena.

Perdonate, questa non dovrebbe essere forse la vocazione della chiesa? Quella di guardarsi dall'essere in primo piano, di togliersi dai riflettori, non interessata a che si parli di lei, ma di Lui? A volte con tristezza vai constatando che si è sì partiti parlando di Gesù e si è finiti a parlare solo di se stessi. Un pericolo, confesso, che mi riguarda. Ma ora vorrei concludere ringraziando Giovanni per la sua parabola, per la sua immagine dello Sposo. E nella immagine un racconto, una storia di amore. Poter leggere così la storia dell'umanità. Qualche dizionario scrive che "parlare" viene da "parabolare".

A risvegliare le parole sono le parabole. L'amore dello sposo ha le sue delicatezze, le sue tenerezze. Ebbene, ma solo sfiorando, mi è venuto spontaneo annodare l'immagine dello sposo e della sposa a quella che mi è molto cara di Isaia, quella del vasaio e della creta. Penso a quelle mani che modellano e rimodellano, perché io sono creta che perde forma. Ma sento le mani, la dolcezza delle mani. Qualcuno ha scritto che Dio è una carezza, Certo non solo. Ma anche, anche smisurato amore. Sposo e vasaio.

 

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