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TESTO Apriti!

Paolo De Martino  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (05/09/2021)

Vangelo: Mc 7,31-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Dopo essersi scontrato con scribi e farisei su questioni religiose e aver constatato la chiusura mentale e la rigidità di pensiero di questa gente che si definiva religiosa, Gesù se ne va altrove. Si ritrova in terra pagana, a Tiro e Sidone. E proprio qui, e non tra gli ebrei, Gesù trova una fede grande. Marco sembra dire che c'è molta più fede, a volte, tra chi non crede piuttosto che nelle persone cosiddette religiose. La religione sono le pratiche di pietà, ma la fede è ciò che viviamo dentro, l'amore che pulsa nelle nostre fibre.

Interessante: il miracolo avviene per una persona che avrebbe dovuto essere esclusa ma il Maestro non tiene conto di privilegi, di appartenenze, di precedenze. Il suo dono è gratis, per tutti, nessuno escluso.

E' incredibile la libertà di Gesù: non si faceva impressionare da nulla. La posizione sociale e religiosa delle persone non aveva nessun influsso su di lui. A Gesù, che fossero “i sacerdoti del tempo” non interessava affatto. Tutti erano semplicemente degli uomini ai suoi occhi. Gesù guardava il cuore, quello che avevano dentro perché Dio guarda solo il cuore dell'uomo.

A Gesù portano un sordomuto e lo pregano di toccarlo (ancora una volta dei pagani hanno più fede dei religiosi ebrei).

Il problema di quest'uomo è un problema di comunicazione. Quando non siamo in grado di comunicare ci isoliamo. Uno dei sintomi del male di vivere è proprio l'isolamento, soprattutto l'isolamento dagli altri e dalla realtà. Ci rinchiudiamo nei nostri pensieri, nelle nostre elucubrazioni confondendo la realtà con ciò che invece è solo dentro la nostra testa. Il guaio è che spesso non riusciamo nemmeno a chiedere aiuto, per uscire da questo isolamento.

Osserviamo cosa fa Gesù, perché ogni particolare, ogni dettaglio è importante.

Innanzitutto “lo portano”: spesso siamo così sordi, così chiusi che certe situazioni proprio non le sentiamo, non ce ne rendiamo conto. Allora è importante lasciare che gli altri ci aiutino. Permettiamo a chi ci è vicino di condurci da Gesù, verso la luce, di aprirci gli occhi sulla realtà.
Gesù lo prende e che fa? Porta l'uomo lontano dalla folla.

Gesù cerca una relazione, un incontro personale vero, non una dimostrazione in piazza. E' proprio vero, l'ho sperimentato molte volte sulla mia pelle: per incontrare il Signore Gesù bisogna avere il coraggio di sottrarsi alla folla, di ritagliare uno spazio (a volte anche fisico) per lasciarsi incontrare e farsi raggiungere. Non parlo solo di fughe in qualche monastero o luogo isolato sui monti. Basta un angolo della casa, la chiesa più vicina, il cellulare spento e un po' di tempo (ogni giorno!) per lasciarsi nutrire dalla Parola.

Gesù spesso portava le persone lontano dalla folla, cioè dai condizionamenti dell'ambiente circostante. La folla è il giudizio delle persone che ci sono vicine e che magari amiamo. Finché siamo attaccati al loro giudizio, non possiamo guarire.

La terapia di Gesù con il sordomuto avviene a più riprese. Deve mettergli le dita nelle orecchie, cioè deve stappargliele, deve togliergli i tappi che gli impediscono di sentire.

Marco ci sta dicendo: se non senti che stai male, come fai a guarire? Se non senti la tua insoddisfazione, come fai a toglierla? Se non senti il tuo dolore, come fai a farlo uscire? Se non senti che stai morendo, come puoi vivere?

Forse non è un caso che la nostra società sia piena di psicofarmaci e anestetizzanti; le persone corrono sempre senza mai fermarsi; non è un caso che non si sappia più stare in silenzio e che il rumore ci accompagni sempre. Sapete perché avviene questo? Per non sentire.

E poi Gesù gli tocca la lingua con la saliva. Deve insegnargli a parlare, ad esprimersi.

Marco sembra dire: “Tira fuori quello che hai dentro, dai un nome a ciò che provi. Definisci la tua gioia, la tua emozione, la tua rabbia, il tuo dolore. Raccontati, tira fuori chi sei”.

Poi Gesù guarda in cielo ed emette un forte sospiro, un urlo, e gli dice: “Apriti”.

I primi due gesti ci aiutano a cogliere la fatica di Gesù: questo uomo non voleva saperne di aprirsi. Gesù lo scuote, lo strattona, è quasi arrabbiato, urla perché questo uomo si è rinchiuso e non vuole fare nessuno sforzo per tornare a vivere. Non vuole aprirsi, stava bene così.

L'apertura è una dimensione della vita. Aprirsi vuol dire far entrare e incontrare il nuovo. Ogni giorno mangiamo nuovo cibo e inspiriamo nuova aria. Aprirsi è vivere. Chiudersi è morire.-

Cosa ha fatto Gesù? Ha riaperto i sensi, le vie di comunicazione con la realtà. Ha fatto tornare quest'uomo con i piedi per terra. Ecco cosa fa Gesù con la nostra vita: ridà valore alle cose che esistono e non ai nostri mille pensieri che sono l'anticamera delle nostre depressioni.

Oggi Gesù pronuncia “Effata” cioè “Apriti” su tutte le nostre chiusure e lo fa fisicamente: dita, saliva, lingua, toccare, sono cose di una concretezza estrema. È il contatto con la realtà quotidiana l'occasione che spesso il Signore ci dà per guarire. La guarigione spirituale la troviamo nel lasciarci “toccare” dalla realtà che viviamo, non nei ragionamenti. Insomma, a volte non basta mettere in ordine le idee ma abbiamo bisogno dell'incontro/scontro con la quotidianità.

In questi ultimi anni, ho scoperto che la cosa più difficile non è guarire, ma dare nome al dolore, alle fragilità, alle ferite. E' da questo riconoscimento che parte la possibilità della guarigione. Il Signore, oggi, ci ridona questa possibilità. Possiamo guarire, se lo vogliamo. Possiamo liberarci dalle schiavitù che ci imprigionano, se lo desideriamo. Possiamo essere uomini nuovi, se ci lasciamo rinnovare dall'amore.

Vivere è percorrere lo stesso cammino del sordomuto della Decapoli: Dal silenzio alla parola.

«Il primo servizio che dobbiamo rendere ai fratelli è quello dell'ascolto. Chi non sa ascoltare il proprio fratello presto non saprà neppure ascoltare Dio, sarà sempre lui a parlare, anche con il Signore» (Bonhoffer).

In molte famiglie si parla tra sordi diventando culle di silenzio e solitudini. Chi non ascolta perde la parola, perché parla senza toccare il cuore dell'altro. Si guarisce dalla povertà delle parole solo quando si ha un cuore che ascolta.

La bella notizia di questa Domenica? Il Signore non si stanca delle nostre chiusure, viene ancora a cercarci nelle regioni delle nostre fragilità, ci invita a stare in disparte e gustare la Sua presenza.

E' appena uscito il mio ultimo libro: "IL DISCEPOLO. Anche noi come Pietro, in cammino con le nostre fragilità"

 

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