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TESTO E alla fine stupirsi...

don Angelo Casati  

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XIII domenica dopo Pentecoste (Anno B) (22/08/2021)

Vangelo: Lc 7,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Volti di stranieri - e riflessioni sullo straniero - si affacciano dalle letture di questa domenica Ciro, il re di Persia, uno stranero, si sente come incaricato di costruire un tempio al Dio di Israele a Gerusalemme che è in Giuda. Paolo, nella lettera ai Romani, citando Isaia, mette sulle labbra di Dio parole, a dir poco, sorprendenti. Dio arriva a dire: "Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me". Il vangelo di Luca, alla fine del racconto della guarigione del servo del centurione romano, annota una riflessione di Gesù da far stropicciare gli occhi.

Pensate. All'udire le parole del centurione, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". Vi immaginate la reazione dei suoi oppositori, pronti a sbandierare l'appartenenza al popolo di Dio? Anni fa mi venne da immaginare la reazione di certe fasce cattoliche oggi, se un papa, dopo aver ricevuto una persona estranea alla fede, dalla finestra su piazza San Pietro dicesse di non aver mai trovato in tutta la cattolicità una fede più grande. Insorgerebbero non pochi a tacciarlo di violazione di verità irrinunciabili, dimenticando che a violarla per primo fu Gesù di Nazaret. Anche se poi nel tempo, per smemoratezza, si arrivò a dire che "fuori la chiesa non c'è salvezza".

I vangeli sembrano dire altro. Ma i vangeli, le parole e i gesti di Gesù, contano ancora o si va sbandierando una fede senza più vangelo? Prima di indugiare sul brano del vangelo, vorrei confessarvi che le mie parole oggi nascono alla luce anche di un commento di una suora teologa domenicana, suor Antonietta Potente, che dopo gli studi ha vissuto gran parte della sua vita in una famiglia Indios in Bolivia. Ricordo che in una sua premessa rimandava ai tempi più antichi quando l'ospitare lo straniero veniva considerato quasi atto spontaneo, perché le popolazioni erano nomadi e quindi pronte allo spostamento, al nuovo e dunque aperte allo stupore nei confronti di qualcuno che attraversasse i loro luoghi o transitasse nei loro caravanserragli, sulle loro stesse rotte.

Le condizioni sono profondamente mutate. Però mi incuriosiva quell'accenno: la condizione per essere aperto allo straniero è che tu sia pronto a uno spostamento. Se non viaggi, se non varchi soglie, se adori il bozzolo in cui sei racchiuso, non sarai mai aperto a nessuna forma di esistenza differente dalla tua. Dunque lo spostamento, l'apertura al nuovo, quasi una condizione. Peccato che lo spostarsi sia stato come sottaciuto, tagliando a metà il primo versetto del brano di vangelo. Che inizia così: "Quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao".

Voi mi capite quasi il desiderio di Gesù fosse di andare al di là della cerchia di coloro che ascoltano, ricercando lo spazio che non è di nessuno ed è di tutti, dove accadono le cose non programmate, quelle imprevedibili della vita. Cafarnao è zona aperta. Puoi incontrare anche il centurione, come chiunque. Mi fa bene pensare a Gesù che ama lo spostamento, ama lo spazio aperto di una strada di città. E ora, leggendo tra piega e piega del racconto, un altro atteggiamento mi sembra affiorare dai personaggi. L'importanza di uscire da categorie e ruoli che disegnano "alto" e "basso", e stare sulla stessa terra.

Un invito all'umiltà. Umiltà, parola che ha la stessa radice di "humus", di umidità, di umanità. Come a dire che essere umili, essere umani, è il segreto per una terra umida, e non scorza dura, per una terra che custodisca humus, un fermento di vita. Forse sono troppo critico ma sembrano non aver humus gli altolocati del nostro racconto, che quasi pretendono un segno da Gesù per via che il centurione ha costruito la sinagoga. Si fanno vivi dall'alto del loro ruolo e permangono in una logica mercantile: "Lui ci ha dato, noi gli diamo". Gesù non li segue. Ha occhi invece per il centurione che nella relazione con il servo ha dato spazio all'inedito: lui, dentro un rapporto di subalternità, ha disegnato il fascino della relazione, di un affetto.

Nel racconto è scritto: "Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro". Passano in secondo piano i ruoli. E Gesù non fa forse altrettanto? Supera ogni distanza, ogni presunta indegnità, si mette sul piano di una umanità dolente. Guarda il centurione, non dall'alto in basso, ma dalla medesima terra. Gli è caro, come il servo è caro al centurione. Penso che questo passaggio - dallo sguardo dall'alto in basso allo sguardo da una medesima terra - sia decisivo in ogni rapporto con l'altro, con l'altra, con un estraneo, con gli stranieri. Che spesso invece sono guardati, forse anche inconsapevolmente, dall'alto in basso.

Spostarsi, essere umili. E alla fine, come Gesù, stupirsi: "All'udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". Lo ammirò. Stupito. Grande Gesù! Lo straniero per lui non è solo uno da beneficare, è uno da ascoltare. Lui ascolta. Ascolta e scopre ricchezze. Che non ha trovato da nessuna altra parte: ""Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". Alludendo ai tempi di Gesù, Antonietta Potente scrive: "Allora, come oggi, la tentazione nella relazione con gli stranieri, non è solo quella del rifiuto, ma anche quella della beneficenza. Lo straniero, se accolto, è oggetto della nostra beneficenza, mentre resta oscura la bellezza e la ricchezza della sua sapienza".

Che bello, pensavo, se tu riandando alle vicende della tua vita, mi potessi raccontare anche solo un grumo di umanità, bella e sapiente, scoperta con sorpresa nello straniero, nella straniera. Che grazia, di questi tempi. Stupirsi e raccontare. Chissà se davanti al tragico, clamoroso, esito della strategia di un conflitto, non si debba fare sosta ad altri verbi: spostarsi, essere umili, stupirsi. E raccontare. Verbi che fanno il segreto per una terra umida, e non scorza dura, per una terra che custodisca humus, un fermento di vita.

 

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