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TESTO Le cose che contano

don Alberto Brignoli  

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XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (11/07/2021)

Vangelo: Mc 6,7-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,7-13

7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Siamo in estate: per molti, tempo di vacanze. Di per sé la vacanza è un momento di relax e spensieratezza, ma spesso si trasforma in un momento di stress e di ansia. A partire dal fatidico momento della preparazione dei bagagli: per qualcuno, un vero e proprio Calvario! Ancor più, se si viaggia con famiglia (e mascotte) al seguito: non può - e non deve - mancare nulla! Ormai si parte per vacanze brevi, una settimana, o quando va bene quindici giorni: ma i bagagli stipati nel baule, sulla cappelliera e sui sedili dell'auto corrispondono ad almeno due mesi di assenza da casa... Se poi si prende il treno, è necessario portarsi in stazione almeno due ore prima, non tanto per i controlli, quanto per la fatica del trascinamento e del collocamento bagagli nello scompartimento del treno, sempre rigorosamente inadeguato rispetto al volume delle valigie. L'aereo, alla fine, è quello che crea minori difficoltà a livello fisico: ti portano tutto quello che vuoi, ci pensano loro e il tuo portafoglio... soprattutto se si tratta di voli “low-cost” (molto “cost” e poco “low”...). E notare che la preparazione dei bagagli inizia quasi sempre con la frase: “Ah, quest'anno porto poco o niente, non voglio tirarmi dietro tutta la casa come gli altri anni!”. Giuramento prontamente infranto dopo il primo strato di indumenti collocato in valigia... eh, sì, perché di solito, dove andiamo in vacanza non esiste nulla, casomai dovessimo avere necessità di qualcosa: non un negozio, non un bar, non un ristorante, non un servizio, non una farmacia... niente di niente! Al che, mi viene da pensare che - se fosse veramente così - ci si poteva pensare prima di prenotare... però a molti piace l'avventura, piace andare allo sbaraglio, piacciono i luoghi ameni e solitari, indice di una ricerca di essenzialità: puntualmente smentita dai bagagli che ci portiamo dietro. Abbiamo, infatti, voglia di essenzialità... purché non ci manchi nulla! Apriti cielo, poi, se scopriamo che in queste amene località non c'è campo per il cellulare!

Ho voluto fare questa introduzione poco liturgica - e ancor meno spirituale - perché credo ci aiuti a contestualizzare meglio il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato, il quale ci parla davvero di “essenzialità”: e ce ne parla nel migliore dei modi, riferendosi a un argomento certamente più importante e profondo che quello delle vacanze, vale a dire l'essenzialità nell'annuncio del Vangelo, nella testimonianza cristiana. Anche Gesù si trova intento ad aiutare i Dodici nel “preparare i bagagli” per la loro prima partenza missionaria: e li aiuta esortando loro ad avere uno stile sobrio ed essenziale, uno stile che dica molto di più delle parole; uno stile che aiuti la gente a “convertirsi”, che scacci i demoni e che guarisca i malati molto più di tante prediche, di tanti esorcismi e di tanti miracoli.

Perché la gente “si converta”, infatti, non c'è bisogno di omelie roboanti o di discorsi incantatori (che tra l'altro vengono dimenticati dall'uditorio dopo pochi minuti): si aiutano le persone a “cambiare mentalità” (questo il significato di “conversione”) dimostrando loro che è possibile uno stile di vita fatto di una testimonianza alternativa a quel sentire comune che si preoccupa solo “del pane, della sacca e del denaro nella cintura” senza andare alla ricerca delle cose che contano veramente nella vita, ovvero stare con la gente e condividerne le gioie e le fatiche, “rimanendo in una casa”, ci dice il Vangelo, con le bellezze e le difficoltà che questo comporta.

“Scacciare i demoni” (“avere potere sugli spiriti impuri”, dice anche Marco) non significa certo mettersi a fare esorcismi o autoproclamarsi “santoni” che risolvono anche le situazioni più complesse con preghiere di chissà quale natura: significa invece fare in modo che ci sia un solo Spirito a regnare nel mondo, lo Spirito di Dio, quello che Paolo chiama nella seconda lettura “caparra della nostra eredità”, ovvero un anticipo di quel Cielo che ci attende ma che dobbiamo essere capaci di portare qui, sulla terra, nella vita di ogni giorno, lottando contro quel male definito “spirito impuro”, che altro non è se non tutto ciò che punta a metterci contro Dio e in contrapposizione gli uni contro gli altri. E di spirito di contrapposizione e di contraddizione è veramente piena la nostra società, dove persone senza alcun valore umano e quindi senza alcun senso di Dio fanno di tutto per creare divisioni, differenze, diversità che poi generano conflitti.

“Ungere con olio gli infermi e guarirli” è proprio l'opposto di quello che noi intendiamo con “guarigione” per intervento divino. Quando una persona si ammala, anche in modo grave, da buoni cristiani (magari anche con le migliori intenzioni, e in buona fede) ci affidiamo alla potente intercessione di Dio, o della Beata Vergine Maria o dei Santi, perché compiano un miracolo e facciano guarire chi soffre per la malattia. Pregare per la guarigione di un malato è sempre una cosa nobile e doverosa, per un cristiano: ma Gesù ai Dodici chiede di “ungere con olio gli infermi e guarirli”. Oli e unguenti erano le uniche medicine che si conoscevano nell'antichità, per cui il Maestro chiede ai suoi discepoli di farsi carico dei malati e delle loro malattie prendendosi cura di loro anche da un punto di vista medico, assistenziale. È chiaro che ognuno ha le proprie competenze e che per guarire i malati occorrano competenze: ma farsi vicini alle persone che soffrono è una competenza che tutti possiamo avere. Farsi vicini a persone malate e ai loro cari che li assistono è una cosa che tutti possiamo fare. Farsi vicini a un'intera umanità che soffre da ormai due anni questa snervante situazione della pandemia, è una cosa che tutti possiamo fare a partire da atteggiamenti e comportamenti che aiutino la scienza a sconfiggere questo male, evitando personalismi sterili o ragionamenti basati sul “chi se ne frega anche se mi ammalo”. Il mondo e la sua salute sono una nostra responsabilità, in primis come cristiani.

Forse dovremmo perdere meno tempo a preoccuparci di dove andare a trascorrere le nostre meritate vacanze, o a pensare cosa ci serve per viverle serenamente: le cose che contano veramente nella vita sono altre, e cercare l'essenzialità senza assillarci per tante cose inutili ci aiuta a rilassarci e a trovare riposo molto più che la più esotica delle mete.

 

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