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TESTO La fede è la chiave di volta

padre Gian Franco Scarpitta  

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/07/2021)

Vangelo: Mc 6,7-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,1-6

1Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Essere sacerdote è senz'altro affascinante e gratificante perché, fedeli alla propria scelta vocazionale, è possibile conseguire grandi benefici e notevole fecondità nel ministero. E così è capitato al sottoscritto: nelle zone in cui mi sono trovato a vivere e ad operare negli ultimi dieci anni mi sono sempre trovato molto bene con la gente e modestamente ho avuto anche le mie soddisfazioni pastorali, accanto alle difficoltà. Lamento tuttavia che non sempre provo la gioia e la soddisfazione di essere trattato con familiarità e immediatezza, senza eccessiva riverenza da parte di parecchie persone. Mi sono ormai arreso all'idea di dover accettare non di rado anche il baciamano, la riverenza sproporzionata e altre forme di esaltazione spropositata che mortificano e mettono in grande imbarazzo. Specialmente se ricopre una carica particolare, il sacerdote è visto spesso come un'istituzione e questo non sempre facilita il lavoro pastorale perché crea quasi un ostacolo nei rapporti con la gente. Vorrei tanto che si usasse spontaneità, disinvoltura e familiarità.

Questa è solamente una delle tante difficoltà che ci si trova a fronteggiare nel ministero. Come già si rileva a proposito dei profeti dell'Antico Testamento, essere latori di un messaggio di provenienza divina comporta problemi e difficoltà ancora più insormontabili, perché impone di dover essere di fastidio agli altri o comunque di deludere le attese di chi non vorrebbe ascoltare determinati argomenti scomodi e provocatori, come in un certo qual modo si trovano ad essere quelli di scaturigine divina.

Ezechiele si trova a dover affrontare un popolo con il quale Dio non ha mai successo per colpa della durezza del suo cuore e della refrattarietà che lo caratterizza. Proprio a un popolo di dura cervice e a una genia di ribelli viene mandato un emissario di divini annunci e proprio in Galilea Gesù, Dio stesso fatto uomo, si trova a iniziare il suo itinerario di predicazione: in un popolo di tendenza pagana e miscredente. Ancora oggi esattamente come allora, ci si trova non soltanto in una situazione di ostinata refrattarietà alla Parola di Dio, ma anche a dover lottare con una cultura religiosa solo presunta: nel mondo della pastorale odierna si è riscontrato più volte che è necessario rievangelizzare anche i battezzati e non di rado anche i membri del clero, poiché la durezza di cervice non contrassegna solamente gli atei o i miscredenti, ma non di rado gli stessi cristiani che si comportano come tali. Talora la difficoltà dell'apostolo odierno è proprio quella di trovar terreno sterile nei sedicenti credenti e devoti, che invece si atteggiano non di rado da veri pagani.

Ci si aspetterebbe che le cose vadano meglio quando si parla a casa propria, nella propria terra di provenienza, e invece come ci spiega la pagina del vangelo di oggi, le avversioni dei compatrioti sono ancora più pungenti che in luoghi sconosciuti: il profeta che reca il messaggio divino nel suo luogo di origine viene infatti ascoltato ancor meno che altrove e le sue parole vengono osteggiate più che nelle terre lontane. Leggendo con attenzione il famoso epiteto di Gesù, si riscontrerà che esso esclude già a priori che un profeta venga accolto come tale nella sua patria: "Un profeta NON E' DISPREZZATO CHE NELLA SUA PATRIA e in casa sua. Il che vuol dire che un messo trova disprezzo e riluttanza PROPRIO nella sua terra di origine, più che in altri posti.

Dover annunciare il Verbo di Dio nella propria città di origine, cosi come capita adesso a Gesù, comporta che gli astanti considerino più la persona di chi annuncia che l'annuncio in se stesso; che ci si soffermi più sulle origini e sulla dimensione sociale dell'evangelizzatore che non sui contenuti del vangelo stesso. Il profeta o evangelizzatore che parla a casa propria per la gente è sempre l'amico, il vicino di casa, il vecchio compagno di scuola con il quale si è cresciuti, il coetaneo con cui si usciva a prendere la pizza... tutto viene considerato di lui tranne la figura dell'evangelizzatore o del ministro di Dio. Anzi, ascoltare determinati argomenti da parte di una persona a noi nota per aspetti ben differenti costituisce un fastidio, o almeno un'anomalia. Come poter accettare moniti etici o esortazioni morali fastidiose da parte di colui che abbiamo sempre considerato sotto l'aspetto umano e amichevole?

In definitiva, se non si è ascoltati come annunciatori di divini messaggi in alcun luogo, nella propria terra si è ascoltati ancor meno, o addirittura si è sopportati.

Sia quel che sia, il ministro di Dio non può sottrarsi agli obblighi morali di essere latore di un divino annuncio e non può esimersi dal perseverare nell'evangelizzazione. Nonostante la continua disattenzione e ostinatezza nella negativa, Dio continua a manifestare instancabilmente amore nei confronti del suo popolo per cui incoraggia il profeta Ezechiele a persistere nel suo mandato: “Ascoltino o non ascoltino, sapranno che un profeta è in mezzo a loro”. Dio vuole che siano consapevoli almeno di questo, che lui non li ha abbandonati a se stessi, ma continua a cercare la loro amicizia nella loro corrispondenza di cuore e a lui si apre senza esitazioni. Non deva mai mancare il “coraggio della verità” preconizzato da Giovanni Paolo II, del quale Paolo si era reso apportatore: “E' una necessità che mi si impone e guai a me se non predico il vangelo”(1Cor 9, 16)”, indipendentemente da come lo recepisca chi ascolta. Non importa quali siano le reazioni o le rimostranze altrui, occorre sempre che il vangelo sia annunciato e il ministro di Dio non deve sentirsi disanimato dal suo ufficio.

All'annuncio corrisponde sempre la fede. Proprio questa prerogativa di apertura del cuore verso ciò che riteniamo essere la Parola di Dio potrebbe facilitarci la prospettiva dell'accoglienza scongiurando ogni preclusione e refrattarietà. Occorre credere nel ministero sacerdotale e profetico come luogo dell'azione di Dio, aprirsi alla prospettiva del dono gratuito della rivelazione che ci raggiunge e guardare con ben altri occhi la figura di colui che parla come del latore dei divini messaggi. Nella fede vi è la chiave di volta per il profeta e per chi lo ascolta.

 

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