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TESTO Mi abbandono ai tuoi occhi

don Angelo Casati  

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V domenica dopo Pentecoste (Anno B) (27/06/2021)

Vangelo: Gv 12,35-50 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 12,35-50

35Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.

37Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, 38perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:

Signore, chi ha creduto alla nostra parola?

E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?

39Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse:

40Ha reso ciechi i loro occhi

e duro il loro cuore,

perché non vedano con gli occhi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano, e io li guarisca!

41Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. 42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. 43Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

44Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Sfioriamo un dramma. E io non mi sento così sicuro che non mi possa accadere. Riascolto parole, queste parole: "Ancora per poco tempo la luce è tra voi." E ancora: " Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro". La luce sarebbe stata nascosta ai loro occhi, di lì a poco: tre del pomeriggio del sette aprile dell'anno trenta. E il cielo si sarebbe fatto nero, nero come fosse notte, nero più che la pece, nero che più non si può. Perché quando muore uno di noi che è uomo buono e giusto, appassionato di umanità, noi diciamo che si è spenta nel mondo una luce. Quel giorno, moriva di croce il Giusto, uno che un amore più grande non c'è. Si spegneva una luce che più non si può.

Parlavo di un dramma, di qualcosa di drammatico: accadeva a quei Giudei - ma anche a noi potrebbe accadere - di essere immersi nella luce e di non vederla. Davanti ai loro occhi era la luce del mondo. E vi pregherei di non dare alle parole l'astrattezza di una definizione: la luce non è un'astrazione, pensatela; e il mondo non è un'astrazione, pensatelo. Un volto come il suo, parole come le sue, occhi come i suoi, erano luce per chi brancolava nelle tenebre. Si era accesa una luce, una speranza per chi si sentiva affaticato, oppresso da una religione immobile, per la quale la fede dei padri - "padri", cioè volti, storie - in mano a pochi, era affogata in un complesso di nozioni e di norme, a scomparsa di nomi e di volti.

Non più un fatto personale. Ecco, fede come fiducia, come dicessi: "Io in te credo, mi abbandono. Mi abbandono al tuo volto, alle tue parole, ai tuoi occhi. Sono limpidi, custodiscono visioni del mondo, della vita, di ciò che sta dentro la vita e di ciò che sta oltre la vita. Io ho fiducia in te perché ho visto segni. Segni del tuo amore". La fede sta in un rapporto. Commenta l'evangelista: "Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui". Sì, perché la luce può persino splendere fuori di me, ma se io chiudo gli occhi, se io indurisco il cuore, se a me interessa solo il mio successo, la mia gloria, nulla accade, non c'è cammino. E non c'è futuro. Se io credo solo in me stesso.

L'evangelista infatti, a proposito dei capi dei Giudei, chiude il commento scrivendo. "Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio". Una gloria che acceca, la propria gloria. E io che gloria cerco? E' domanda. Per me. Dicevo che la fede è fiducia, è futuro. E qui sta la scommessa, l'azzardo, ma anche la bellezza della fede. Ritorno al racconto di Abramo e di Sara. E' bello che il testo oggi racconti anche di Sara, lei, come donna, nascosta, e non poco, dalla figura imponente di Abramo. Anche lei, come suo marito, modelli della fede, ma anche dei turbamenti, degli strappi che ti prendono al cuore quando esci, dietro Dio e la sua promessa, e non la vedi ancora realizzarsi. Erano passati venticinque anni. Erano avanti negli anni.

Non so perché nel nostro brano liturgico è stato tagliato in parte il primo versetto. Ecco il taglio: "Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse...". Poi nel racconto si dicono gli anni di Sara: novanta. E ancora non accadeva ad Abramo di avere figli da Sara. Una notte, quasi a ricordargli la promessa, Dio aveva portato Abramo fuori dalla tenda, fuori a contare le stelle. Gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle". E soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza". Vorrei dire che la fede non ti dà per finito.

So che il mio commento è discutibile. Per me è intrigante questo Dio che cambia il nome di Abram in Abramo, quello di Sarai in Sara. Quasi a dire: "Ci sta altro in te, altro e oltre quello che hanno pensato coloro che con affetto ti hanno dato un nome. Ci sta un plurale". Noi siamo fatti per un plurale. Anche Sara, poi cancellata, o quasi, purtroppo. Dio aggiunse ad Abramo: "Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei". Il nostro padre Abramo, la nostra madre Sara.

Certo il racconto è costruito dalla sapienza dei padri: ebbene i numeri degli anni di Abramo e Sara svelano le possibilità di Dio, a fronte delle conclamate impossibilità degli umani. Tu vai oltre. Te lo dicono per una vita. Ti dicono: "Sta con i piedi per terra, guarda dove metti i piedi!". Hanno ragione. Anche se annuso un percolo, quello di andarmene "per peso d'anni/ gli occhi incollati / a strisce nere d'asfalto. / Vedo dove metto i piedi. /Ma più su che accade? E allora penso alla fede come alla corda che ti stringe all'altro in parete. Non ti è risparmiata la fatica, nemmeno il pericolo, ma sei in sicurezza. Senza confini la tua fiducia nel capo cordata.

Dove mi conduci, Signore?
Gli occhi a inseguirti
in ascensione di monte
su pareti di vetro e di vento.
In desiderio di sconfinare.
Poi giorni e notte
ad accusare distanze
luce e fatica,
la mia
povera misura
di discepolo di pianure.
Sei di schiena in parete,
ma conosco i tuoi occhi,
mi seduce il colore
della misericordia.
La tua risposta
nel vento
è promessa di scala dall'alto.
Ora so che alla fatica
risposta
sono gradini di scala
di canapa.
Le tue parole
di silenzio
come gradini di corda.
A soccorso
di braccia e di sangue.

 

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