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TESTO «G» di graziati, «I» di inclusi, «O» di orientati, «I» di inviati, «A» di amati da amici

diac. Vito Calella

VI Domenica di Pasqua (Anno B) (09/05/2021)

Vangelo: Gv 15,9-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,9-17

9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

Siamo entrati in una fase di timide aperture dove finalmente ci si può incontrare “in presenza” e non più “a distanza”, incollati al display di un computer, o di un tablet o di uno smartfhone. La voglia di normalità nelle relazioni viene interpretata come libertà di divertirsi con la moda dello spritz al bar assieme agli amici, condizionati dalla parola d'ordine “divertimento”, che si può trasformare in svariate forme di sfogo.

Non siamo ancora usciti da questo tempo difficile e incerto di pandemia, e Gesù risuscitato oggi si auspica che «la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

La «sua gioia» è qualitativamente diversa dalla soddisfazione immediata di quei legittimi bisogni umani che sono stati impediti dalle regole restrittive di questo periodo pandemico.

Di che gioia si tratta? È la stupefacente consapevolezza di custodire in noi la vita divina.

Guardiamoci allo specchio, fermiamoci a guardare il nostro volto, i nostri occhi, la nostra bocca, la nostra inspirazione a aspirazione con le narici, la nostra capacità di ascoltare, di gustare, di sentire e distinguere gli odori; contempliamo ciò che le nostre mani fanno ogni giorno, rendiamoci consapevoli dei contatti che possiamo realizzare, là dove le nostre gambe e i nostri piedi ci portano; guardiamoci da sani o ammalati, da giovani o anziani, da donne o uomini.
La nostra corporeità vivente è la “casa dell'Amore”

«Dio è amore» (1Gv 4,8b) e ha scelto di abitare nella corporeità vivente di ciascuno di noi. Questo è il senso della frequenza con cui Gesù usa il verbo «rimanere in»: sette volte nel vangelo di domenica scorsa, tre volte nelle sue parole ascoltate oggi. Così come siamo qui ed ora, anche con il peso delle nostre fragilità e del ricordo delle nostre scelte sbagliate, siamo il “tempio dell'Amore”, siamo la dimora scelta dal Padre unito al Figlio nello Spirito Santo.

Con questa nostra corporeità possiamo acconsentire di diventare gioiosi trasmettitori della gratuità dell'amore divino nella tessitura di tutte le nostre relazioni. Se dipendesse esclusivamente da noi, la maggior parte di noi vivrebbe trascinandosi con il proprio corpo e usandolo solo come strumento di effimere e passeggere soddisfazioni gratificanti la propria sete di piacere e di potere e come mezzo di difesa contro tutte le proprie paure di essere usato dagli altri. Invece, la presenza dello Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, rende possibile il nostro essere portatori della pace e della gioia del Cristo risuscitato, che non ci appartengono, ma rendono sensata la nostra esistenza in ogni sua fase, bella o brutta, prospera o povera, salutare o carente, vittoriosa o fallimentare.

Diciamo volutamente “sì” a voler essere testimoni della gioia appartenente al Cristo risuscitato quando scegliamo di lasciar lavorare in noi lo Spirito Santo, consapevoli che l'esito della nostra esistenza è dovuto all'intreccio di due iniziative: la nostra con quella divina. La nostra attività quotidiana, sorretta dalla nostra libertà di scegliere ciò che vogliamo, si lasci fiduciosamente guidare dalla nostra passività quotidiana di essere obbedienti alla volontà del Padre!

Infatti, «gioia di Cristo» può significare per ciascuno di noi «G» di graziati, «I» di inclusi, «O» di orientati «I» di inviati, «A» di amati.
«G» di graziati

Mettendo al centro della nostra esistenza l'evento salvifico della morte, sepoltura e risurrezione di Gesù gioiamo nel sentirci graziati. Siamo tutti peccatori già perdonati, come abbiamo ascoltato dalla prima lettera di Giovanni: «In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. [...] Ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,9.10b). Da peccatori già perdonati, basta cambiare di sguardo su ciò che ci succede ogni giorno e scopriamo con stupore di essere beneficiati dall'eccedenza di dono di tanti piccoli e inaspettati gesti di attenzione e di gratuità (nonostante gli inevitabili conflitti e le pesanti croci da sopportare), che alimentano in noi la gioia di essere costantemente accompagnati dalla Trinità “pellegrina provvidenza”.
«I» di inclusi

Mettendo al centro della nostra esistenza l'evento salvifico della morte, sepoltura e risurrezione di Gesù gioiamo nel sentirci inclusi. Siamo tutti inclusi nel desiderio di nuova ed eterna alleanza del Padre unito al Figlio nello Spirito Santo, come abbiamo ascoltato dalla testimonianza di Pietro offertati dal libro degli Atti degli apostoli: «Pietro prese la parola e disse: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”. Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio» (At 10,34-35.44-45). Siamo tutti fratelli e sorelle perché l'amore di Dio non esclude nessuno, è universale, ed è già stato effuso nel cuore di ogni essere umano, a partire dagli ultimi più sofferenti. Ciò è avvenuto prima ancora che il sacramento del battesimo diventi la celebrazione della nostra consapevole e gioiosa adesione a questo dono di "inclusione" nel desiderio del Padre di vedere realizzata la comunione tra noi nel suo nome.
«O» di orientati

Mettendo al centro della nostra esistenza l'evento salvifico della morte, sepoltura e risurrezione di Gesù gioiamo nel sentirci orientati. I comandamenti del Signore nostro Gesù Cristo, che illuminano e perfezionano i dieci comandamenti della prima alleanza dell'Antico Testamento, sono a disposizione di tutti noi per orientare i passi della nostra esistenza. I comandamenti di Gesù sono tutti racchiusi nella proposta evangelica delle beatitudini e nell'unico comandamento dell'amore: amare Dio non significa ricambiare a Lui il suo amore donato, ma diventare noi dono per gli altri, come ha fatto Gesù con il Padre e ci chi chiede di fare lo stesso nei suoi confronti. Il Padre lo ha amato, lui ha amato noi. Noi siamo stati salvati dalla sua morte, sepoltura e risurrezione e lo ricambiamo amandoci gli uni gli altri: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi, [...].Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. [...] Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,9a.12.17).
«I» di inviati

Mettendo al centro della nostra esistenza l'evento salvifico della morte, sepoltura e risurrezione di Gesù gioiamo nel sentirci inviati. Siamo tutti “missione”. In qualsiasi stato si trovi la nostra corporeità vivente, sana o ammalata, giovane o anziana, ottimista o depressa, anche con la radicale povertà della nostra fragile condizione umana, possiamo diventare segno luminoso dell'amore gratuito che unisce il Padre al Figlio e ci unisce nella carità. Ce lo ha detto il Cristo risuscitato oggi: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15,16). Chiediamo al Padre l'essenziale: essere “missione” come tessitori di comunione, cioè di relazioni di rispetto dell'altro, sostenuti dallo Spirito Santo.
«A» di amati da amici

Mettendo al centro della nostra esistenza l'evento salvifico della morte, sepoltura e risurrezione di Gesù gioiamo nel sentirci amati da amici e non da schiavi. L'amicizia di Gesù si basa sulla certezza che siamo amati per primi, siamo già amati, anche quando non ce ne rendiamo conto o volutamente soffochiamo la presenza dello Spirito Santo in noi. Questa brezza lieve dell'essere amati ci è pervenuta oggi in questi termini: «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1Gv 4,10a). L'essere «generati da Dio» (cf. 1Gv 4,9) è il sigillo dello Spirito Santo con cui siamo gratuitamente segnati nell'atto del nostro concepimento. Siamo già costituiti nella dignità di “figli del Padre”, figli nel Figlio, fratelli e amici di Cristo risuscitato. Dal giorno del nostro battesimo diamo la nostra disponibilità ad amare alla maniera divina, secondo la dinamica del dono gratuito agli altri di ciò che siamo e che abbiamo, per imparare a rispettarci reciprocamente in ogni relazione. L'amicizia vera è siglata dal rispetto dell'altro e la differenza tra Padre e Figlio, tra Gesù e noi, tra noi esseri umani e tutte le creature della natura viene vissuta come diaconia, come servizio che non usa l'altro per appagare i piaceri personali, non domina sull'altro per dimostrare chi è il più grande, non prende le distanze dall'altro per difendere il territorio delle proprie conquiste e delle proprie sicurezze. Se «non siamo più chiamati servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma amici, perché Gesù ci ha fatto conoscere tutto ciò che ha udito dal Padre suo» (Gv 15,15), diciamolo esplicitamente e gioiosamente che vogliamo essere “gli amici di Gesù”.

 

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