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TESTO Innestati in Cristo, vera vite

don Luca Garbinetto  

V Domenica di Pasqua (Anno B) (02/05/2021)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Se si guarda una vite potata all'inizio dell'inverno, si ha l'impressione di avere a che fare con una natura morta. Il tronco rugoso e attorcigliato, con i nodi dei tralci tagliati, da' un senso di malinconia, che i contadini mediterranei conoscono bene. È in sintonia con il clima freddo che si avvicina e che stende un velo di silenzio sull'aria ricolma, fino a poche settimane prima, dei canti di festa della vendemmia. I frutti succosi sembrano un ricordo ormai lontano: è rimasto il vino, conservato con cura per fare memoria sulla tavola del sacrificio dei grappoli strappati, schiacciati, spremuti per dare il meglio di sé.

La vite e la vigna sono una parabola straordinaria della vita.
Lo sono soprattutto della vita spirituale, della vita in Cristo. Per chi ha sperimentato la bellezza di portare grappoli di bene nella vita e desidera continuare a dare frutto, o addirittura accrescere la propria capacità di dono, c'è da fare una scelta di fondo: quella di restare innestati alla vite e di accettare il prezzo della potatura. Essere ulteriormente spogliati dell'apparente vitalità delle foglie autunnali fa male. Ma la certezza che questa donazione sarà efficace e porterà nuova vita ci viene proprio dalla sofferenza della vite, da quel profilo quasi rannicchiato su se stesso che ricorda le parole del profeta:
‘È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per poterci piacere.' (Is 53, 2).
La vite è Gesù, il Servo che ‘non ha apparenza né bellezza', perché sulla Croce ha pagato per primo il prezzo della propria donazione. Ogni volta che viene potato un tralcio, è ancora Lui che soffre per le membra del proprio corpo donato che patisce per amore.

Non siamo soli, mai, nel nostro dolore.
A una condizione, però: che restiamo innestati in Lui! Ci sono, infatti, tanti tipi di piante che amano arrampicarsi sulla vite, appoggiandosi al suo tronco accogliente e succhiando persino il nutrimento dalle sue vene. Ma la radice dell'edera e degli altri parassiti rimane separata da quella della vite.
C'è il rischio, a volte, che ci avvinghiamo a Cristo, mostrando di avere per Lui tanta passione e ardente desiderio. Ma invece di lasciarci rivestire della sua veste martiriale, copriamo Lui del nostro abito fastoso di formalismi e di ritualità, di giudizi e di interessi egocentrici. In fondo, nutriamo le nostre convinzioni comode della Parola asservita ai nostri bisogni. Si può vivere attaccati a Gesù come dei parassiti.

E Lui, la vite, continua a donare e a soffrire.
Ma la sua sofferenza, per noi, in quel caso non ha conseguenze, non ci permette di dare nuovi frutti. Oppure diviene un'ulteriore, accorata invocazione di Dio perché ci lasciamo ferire e innestare in Lui.
È necessario essere innestati in Gesù, cioè accettare di attingere alla sua stessa radice. Che è la relazione con il Padre, sempre misericordiosa, ma anche sorprendente; ed è l'ascolto paziente e coraggioso dello Spirito, che illumina la nostra vita e la realtà con Parole e scelte controcorrente, poco avvezze ad adeguarsi al ‘tran-tran' del mondo. La radice di Cristo è la vita trinitaria, così intensa e densa di scelte nell'ottica dell'unità, della riconciliazione, della pace.
Restare innestati in Cristo è fondamentale, perché i tagli dell'esistenza siano potature e non distruzioni. Alla violenza, Dio preferisce la concretezza e la radicalità dell'amore. Si tratta di scegliere la radice che nutre, perché le esigenze della crescita non portino lontano dal Pane della vita e dal Vino della festa.

 

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