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TESTO Commento su 2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

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IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (14/03/2021)

Vangelo: 2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,14-21

14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

In questa domenica campeggiano, nell'Evangelo di Giovanni, due figure: Nicodemo e Gesù.
Due uomini, due culture a confronto e in dialogo, due diverse sensibilità religiose.
L'incontro tra Gesù e Nicodemo, che Giovanni ci presenta nel terzo capitolo del suo Evangelo, è tutto questo. E molto di più.
Gesù ha appena ricevuto il battesimo nel Giordano. Si è messo in fila, ha atteso il suo turno, senza pretendere di passare innanzi agli altri. In fila con i peccatori, con persone in ricerca, forse con curiosi. Un uomo come noi. Con la consapevolezza di essere uomo tra gli uomini. Solo quando è stato battezzato da Giovanni ha avuto sentore della sua missione. Nicodemo è un capo religioso, una persona influente, anziana, probabilmente benestante. Ha bisogno di qualcuno che gli scaldi il cuore, o forse è solo curiosità (ma la curiosità è un valore, soprattutto per le persone in ricerca perenne). Va da Gesù. Di notte.
Quando andavo a Taizé, non mi sarei mai stancato di cantare, insieme con altri pellegrini: “La ténébre n'est point ténébre devant toi: la nuit, comme le jour, est lumière...”. E di notte - è successo ad alcuni di noi - si andava da Frère Roger a bere, una cioccolata calda, a parlare delle nostre fatiche e ad ascoltare parole di conforto.

C'è notte e notte. Ognuno di noi ne fa quotidianamente l'esperienza. C'è la notte stellata, e la luna che illumina. La luna di quella memorabile notte di papa Giovanni: una luna che invita alle carezze. C'è la notte buia, la notte del cuore, la notte delle paure e dell'angoscia. C'è la notte trascorsa nelle discoteche e c'è la notte che incute timore nei campi profughi di ogni luogo e di ogni tempo. La notte interminabile dei migranti stipati in piccole imbarcazioni in mare aperto. La notte del pianto, dopo aver appeso agli alberi le cetre, come canta il salmo 137/136. Ma anche nella notte più buia c'è sempre un intravedimento di luce, una fessurina attraverso la quale filtra un piccolo chiarore. La notte in cui si chiede un piccolo raggio di luce. La notte in cui si può finalmente liberare il canto che abbiamo nel cuore, perché “chi semina nel pianto, mieterà cantando” (Sal 126/125). Quante notti nella nostra vita!

Nicodemo va da Gesù di notte, non per ammaestrare il giovane profeta, ma per domandare. Una domanda di luce. Una domanda di fede nel dubbio. Perché il dubbio non è il contrario della fede: ne è il lievito. La domanda di Nicodemo è la domanda religiosa sulla salvezza - il problema centrale, ancorché il più delle volte inconfessato - di ogni donna e di ogni uomo. Una domanda che preme dentro, che cerca di farsi strada; una domanda inespressa; il più delle volte, rimossa.
Ma Nicodemo sa andare oltre la paura. “Rabbì... sappiamo che sei un Maestro mandato da Dio...”. Finalmente le difese sono cadute: un membro influente del Sinedrio, portatore di un ruolo specifico, accosta con deferenza quel Gesù di Nazareth, che pure poco prima aveva osato entrare nel Tempio per sconvolgere provocatoriamente la tranquilla unanimità con la quale veniva perpetuata la profanazione del luogo destinato al culto della Parola e non del denaro e del commercio.
Maestro...”. Nicodemo non è più un “uomo-con-ruolo”, ma è semplicemente un uomo, perché ha già iniziato a vincere la sua prima battaglia, quella contro la paura, quella dell'eterno conflitto notte-giorno, dubbio-tronfia sicurezza di essere nella verità. Disponibile, quindi, a lasciarsi afferrare da quella Verità che si fa strada faticosamente nella coscienza, che lentamente agisce con la sua sola Presenza. Un atto di coraggio è il gesto con cui inizia, normalmente, l'avventura di ogni povero cristiano.

Non è per giocare di retorica, ma proviamo a immaginare la scena. È notte. Una notte calma, forse stellata, come spesso càpita di osservare in Oriente. Due uomini passeggiano, ormai due amici, anche se così diversi. Il dialogo viene bene quando l'intimità prende il posto della diffidenza iniziale, quando le distanze interpersonali si accorciano, e si può andare “sul difficile”, discorrere “sui massimi sistemi”. E che c'è di più difficile della ricerca della verità? E per uno di essi, l'angoscia esistenziale provocata da questa ricerca - angoscia che un'adesione ossessiva e formalistica della Legge non aveva mai consentito di superare - si stempera di fronte alle argomentazioni - paradossali per un Fariseo - fondate sull'adesione personale e personalizzante (la “fede”) a un Dio-Persona. “Credimi, nessuno può vedere il Regno di Dio se non nasce nuovamente”. “Ma come è possibile che un uomo nasca di nuovo - ribatte Nicodemo - quando è vecchio?”, “Io ti assicuro che nessuno può entrare nel Regno di Dio se non nasce da acqua e Spirito. Dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce Spirito...”. Al “vecchio” Nicodemo, Gesù dà la chiave per diventare “adulto” nella fede. Non riusciremo mai a diventare adulti se non recupereremo le apparenti antinomie tra profezia e Legge, tra spirito e lettera, tra fede e ragione, tra notte e giorno, superandole e inserendole in una sensibilità etica rinnovata. Il vento dello Spirito ci guida in questo cammino. Quello stesso Spirito che “soffia dove vuole, uno lo sente ma non può dire da dove viene e dove va..”. Non è facile, ma il compito di ogni uomo e di ogni donna di “fede” - di qualunque fede - è quello di farsi ascoltatori della voce dello Spirito che soffia in e per noi.

E di amare il mondo. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio perché chi crede in lui non muoia, ma abbia vita eterna...”. Forse proprio di queste parole Nicodemo si è ricordato, quando - sempre secondo Giovanni - portando con sé un'anfora pesantissima piena di mirra e aloe - insieme con Giuseppe d'Arimatea avvolse nelle bende il corpo di Gesù e gli diede sepoltura (Gv 19,39-40).
Dio ha amato e ama il mondo. Il nostro è un mondo denso di contraddizioni e di fatiche, in cui bene e male, notte e giorno, sono strettamente intrecciati. Dio lo ama così. Anche noi dobbiamo amare così questo mondo, non fuggendo da esso, ma incarnandoci in esso come ha fatto il Cristo. Dio ama il mondo e non desidera la sua condanna, ma la sua liberazione. La liberazione del mondo è il compito che ci ha affidato. Liberazione è una parola difficile, rischiosa, impegnativa. Ma è il nostro dono e il nostro compito. Perché il mondo, liberandosi, cresca. E con lui cresca anche Dio, perché Dio non è l'essere immobile dei filosofi antichi: è il Dio amore che, come ogni amore vero, non può che crescere.
È la fede che Gesù testimonia a Nicodemo, mettendo nel suo cuore non l'angoscia, ma quella inquietudine che non consuma, ma che fa diventare adulti nella fede. Mettendo nel suo cuore non la paura, ma il coraggio.

Se vogliamo dare un'impronta umana (e dunque cristiana) alla nostra vita, diventare adulti nella fede, rifiutando le ambiguità delle “civiltà cristiane”, del “Dio con noi”, dobbiamo eliminare una volta per sempre la cultura della paura; avere un po' di coraggio. Il coraggio di Nicodemo, ritornato forse a casa allo spuntare dell'alba. Paura è mancanza di fede nella verità che lavora nella coscienza di ogni donna e di ogni uomo; è mancanza di fiducia nell'azione rinnovatrice dello Spirito. In un clima di paura, la nostra azione, l'azione stessa della Chiesa, si rivelerà di volta in volta, a seconda delle circostanze, timida, aggressiva, repressiva. Solo all'interno di una cultura di coraggio potrà realizzarsi la vera libertà dei figli di Dio, che operano nella luce.
Questa quarta domenica di quaresima è chiamata Laetare. Anche noi, pur se abbiamo il cuore colmo delle nostre disperazioni, stacchiamo le cetre dai salici lungo le rive dei fiumi e rallegriamoci, perché, assieme, stiamo camminando non verso una terra straniera, ma verso la terra della liberazione. E cantiamo, con il celebrante, l'antifona di ingresso del nostro incontro domenicale: Laetàre, Ierúsalem,/ et convéntum fàcite, /omnes qui dilígitis eam;/ gaudéte cum laetítia, qui in tristítia fuístis,/et exsultétis, /et satiémini ab ubéribus consolatiónis vestrae. Rallégrati, Gerusalemme, /e voi tutti che l'amate, riunitevi. /Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza:/saziatevi dell'abbondanza della vostra consolazione.

Traccia per la revisione di vita
- Quali sono le tenebre che circondano le mie giornate?
- Quali sono le paure che mi impediscono di fare scelte coraggiose?
- Immaginiamo un Dio freddo, lontano, insensibile ed immobile, oppure siamo capaci di associarlo con noi all'amore per il mondo?
- In che modo cerchiamo di essere donne e uomini veri, non infallibili, consapevoli delle nostre fragilità, ma facendo, proprio di questa debolezza e fragilità, il luogo di incontro con Dio e con le sorelle e i fratelli che accostiamo?

Luigi Ghia - Direttore di “Famiglia domani”.

 

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