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TESTO L'unico gregge

don Luca Garbinetto  

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (25/04/2021)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Strano pastore, quello che Gesù propone come esempio di bontà.
Un pastore che invece di prendersi la vita delle proprie pecore per averne nutrimento e vestiaro, invece di sacrificare gli agnellini primogeniti per attirare su di sé la benevolenza del Dio Altissimo, fa piuttosto di sé e della propria vita una offerta per le proprie pecorelle.
Strano pastore, che non è presentato come un modello astratto e ipotetico, ma che descrive la realtà stessa dell'esistenza di Gesù. Il quale, umanamente parlando, vive ogni gesto e ogni parola in un atteggiamento di donazione e ha fatto del servizio fino alle estreme conseguenze lo stile del proprio vissuto. Il quale, dal punto di vista del Cielo, mostra il volto di un Dio che rovescia le prospettive e si abbassa al punto da sostituirsi alla sua creatura più umile e fragile. A differenza degli idoli, il Dio di Gesù non succhia il sangue di innumerevoli vittime sacrificali, ma fa della propria presenza una fonte di Vita vera per chiunque si avvicini a Lui.

Strano pastore, quello che Gesù ci invita a conoscere.
Perché la logica della conoscenza che propone non ha il sapore di un discorso intellettuale o di una raccolta di dati anagrafici, e nulla ha a che vedere con una definizione astratta e formale che permetta in qualche modo di mantenere confini e distanze. La conoscenza che il buon pastore promette alle sue pecore, presentandola - da parte sua -come già un dato di fatto, è paragonabile solo alla conoscenza che sussiste nella vita trinitaria tra il Padre e il Figlio. Il che è sconcertante.

Pensare che Dio interagisca con una sua creatura generando un rapporto di intimità assimilabile al suo stesso modo di essere Dio ha del vertiginoso.
La rivelazione del buon (=kalòs) pastore di Israele, dunque, attinge alle profezie delle Scritture e alimenta la gioiosa speranza che finalmente sia giunto colui che è l'Atteso liberatore del popolo. Ma perché venga riconosciuto e accolto, c'è da correre il rischio delle Alte vette dell'intimità, delle mistiche relazioni di amore nelle quali l'uomo e la donna di fede accettano di perdersi per ritrovarsi. Gesù, il Figlio, “dà la propria vita per le pecore” (v. 11) affinché le pecore scoprano di valere il prezzo più alto: quello della vita del proprio pastore! E in questa consegna riconoscano la propria smisurata dignità, per alzare il capo non più con rivendicativi atteggiamenti di superbia, bensì in umile e gioioso moto di gratitudine.
Noi, pecorelle acciaccate da tante intemperie della vita, tentate continuamente di ritenersi inutili e inadeguate a esistere, a volte presuntuosamente chiuse in se stesse, veniamo restituiti alla bellezza della nostra esistenza nel momento in cui permettiamo al bel (=kalòs) pastore di far risuonare amorevole il nostro nome nello spartito del Cielo. Ascoltare la sua voce, entrare in un dialogo di intimità, concedergli la possibilità di guidarci per i suoi sentieri: tutto questo è sorgente di vita, di gioia, di bellezza. Qui e ora.

Con la conseguenza di diventare parte attiva, pellegrini arditi dentro la carovana dell'umanità.
La quale sta a cuore al Padre e al buon pastore, senza limiti né distinzioni. Se infatti i Giudei potevano sperare che il pastore convocasse di nuovo tutti i figli di Israele, sperduti nella diaspora, per ricostituire il popolo nella terra promessa, Gesù oltrepassa le aspettative, alla maniera di Dio, che sogna sempre più in grande di noi. E promette di radunare tutti gli uomini e le donne del mondo, provenienti da diversi ovili, ma chiamati alla stessa maniera a far parte dell'unico gregge da lui custodito e amato.
Entrare nella conoscenza intima del Figlio, che mostra la benevolenza del Padre, significa accogliere la prospettiva di dono che nessuno, da sé, potrebbe immaginare né tantomeno costruire: quella dell'unica grande famiglia dei figli e delle figlie di Dio. “Fratelli tutti”, perché tutte pecorelle - smarrite, ferite, appassionate... - dell'unico gregge per l'unico pastore.

 

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