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TESTO Scendere per incontrare il povero

Monaci Benedettini Silvestrini  

Lunedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (03/10/2005)

Vangelo: Lc 10,25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,25-37

25Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Gesù scandisce di nuovo per tutti noi l'essenza della legge nuova e la via sicura per accedere al suo Regno. Dobbiamo porre Dio al primo posto ed amarlo con tutte le nostre forze, dobbiamo riconoscerlo come nostro Padre e Padre di tutti. Con questa fede e con questo amore possiamo intraprendere un viaggio di discesa dalle nostre sicurezze e dal nostro egoismo verso il prossimo, che attende amore e soccorso. Scendere da Gerusalemme, immettersi nel cammino del povero, è un sacrosanto dovere per ogni credente; significa concretamente tradurre in opere caritative la nostra fede, se non vogliamo che rimanga sterile; significa caricarsi sulle nostre spalle l'altrui sofferenza ed essere pronti a pagare di persona. Non possiamo perciò bearci del nostro benessere, rinchiuderci entro le mura della nostra Gerusalemme, illudendoci di una religiosità personale, intimistica e protetta. È ricorrente la tentazione, dinanzi al malcapitato che bussa alle porte del nostro cuore o della nostra casa o incontriamo sulla nostra strada, di passare oltre e lasciare ad altri l'incarico di prestargli aiuto. Dobbiamo fare un attenta verifica dei percorsi della nostra fede e della nostra religiosità fino a domandarci se per caso le nostre chiese non diventino talvolta le tane dove nascondiamo il nostro egoismo per paura di macchiarci delle altrui impurità.

 

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