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TESTO Chi ha "sparato" per primo

padre Gian Franco Scarpitta  

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/10/2005)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,34-40

In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Quando frequentavo la scuola media mi affascinava molto lo studio della storia, specialmente negli argomenti che riguardavano le guerre e le lotte armate fra i popoli e le nazioni, di ciascuna delle quali mi affascinava soprattutto sapere... chi ha sparato per primo, e poi seguire tutti i particolari delle battaglie e delle controversie. E oltre che piacevole molto spesso mi si rivelava anche utile, giacché il primo atto di un conflitto o la prima causa che ne determina l'esplosione molte volte è determinate a che si comprenda il senso e l'evolversi del conflitto medesimo. Dal primo colpo o dalla situazione di partenza si può comprendere tutta la situazione.

Così anche il senso reale di questa liturgia, che tratta dell'amore al prossimo, non può che riscoprirsi nella sua "causa iniziale", ossia nel fatto che ad averci amati per primo è stato Dio.

Nella nostra attività pastorale come anche nella vita di fede condivisa fra di noi, ci ripetiamo spesso gli uni gli altri che il cristianesimo insegna ad amare gli altri, che non ci si può salvare né si può essere pienamente credenti se non si ama il prossimo, che a nulla valgono le pratiche religiose e cultuali quando non si mette in atto il monito dell'amore e tante altre certezze che anche in questi interventi abbiamo più volte ribadito e che adesso confermiamo; tuttavia nessuno di noi potrà mai essere motivato alla prassi dell'amore verso il suo fratello finché non si sarà persuaso di essere stato egli stesso oggetto di amore. E' risaputo che quanti vivono nell'abbandono e nella dispersione, dandosi al brigantaggio e alla violenza, come nel caso di tanti ragazzi che abbandonati a se stessi trovano ragione di vita solo in un pallone preso a calci in mezzo alla strada, privi di formazione umana e di sostegno morale soffrono in realtà la lacuna di non aver mai sperimentato l'affettività e l'amore da parte degli altri, di non essere mai stati resi oggetto di fiducia e di valorizzazione e di non aver avuto nessuno che si sia interessato convenientemente di loro, essendo stai anzi trattati con cattiveria, freddezza ed indifferenza.

Anzi, siffatte situazioni del tipo descritto non sono affatto rare e ravvivano la certezza che nessuno di noi può amare senza prima essere stato amato a sua volta.

Ebbene, chi più di tutti può averci amato per primo se non Colui che nella nostra fede riconosciamo quale il fautore della vita nonché nostro fondamento e che la Scrittura descrive come artefice di continui benefici a vantaggio dell'uomo? Chi può mai essere pienamente capace di amore se non Dio, che nel progetto di salvezza dell'uomo ha voluto perfino immolare se stesso nel suo Figlio Gesù Cristo in riscatto per tutti?

La piattaforma necessaria perché ci si convinca di dover amare gli altri è pertanto quella della certezza di essere stati amati noi stessi da Dio, essendo stati da Lui resi destinatari di una benevolenza del tutto singolare e irripetibile, per la quale siamo anche unici rispetto a tutti gli altri e ciascuno è prezioso per quello che è sempre stato.

Il fatto che Dio ci ama ci sprona a coltivare l'intensità dei rapporti con Lui nell'intimità della preghiera e della meditazione, a far ricorso a Lui nella certezza di essere sempre assistiti e nel vivere la vita divina in pienezza su questa terra entusiasmandoci sempre di Dio e recandolo sempre con noi nella nostra stessa vita sicché ogni nostro desiderio e ogni nostro singolo atto sarà sempre conforme a Lui.

Di conseguenza, va' da sé che la nostra relazione amorosa con Dio abbia il risvolto verso i nostri simili: se si è esperito di essere amati da Lui e se ci si è entusiasmati nella sua comunione non potremo che essere convinti di dover amare gli altri senza retoriche di sorta. Tutto questo si compendia nella pedagogia della Prima Lettera di Giovanni per la quale affermare di amare il Dio invisibile vuol dire automaticamente amare il fratello che ci sta visibilmente di fronte, altrimenti si è bugiardi e la verità non sta in noi.

Venendo alla specificità dell'amore fra i singoli uomini, se pure la liturgia odierna descrive la stessa ineccepibile certezza, non possiamo fare a meno di notare una non indifferente particolarità: nella prima Lettura, tratta dal libro dell'Esodo che rispecchia l'antica economia e la vecchia Legge, il comandamento dell'amore si formula per via "negativa"; leggiamo infatti una serie di proibizioni e di tassative prescrizioni che attestano all'amore verso il prossimo come ad una serie di comportamenti da omettere e se da un lato la legge assume caratteri orientativi per il soggetto umano, dall'altro canto presenta una insufficienza di fondo che sarà colmata invece nel Nuovo Testamento e specialmente nella pagina evangelica di cui oggi: l'amore verso gli altri è ben lungi dall'essere dettato dalla perentorietà delle normative scritte e deterministiche ma proprio perché scaturente dalla sperimentazione diretta dell'amore di Dio nei nostri riguardi ha come unico fondamento l'intensità dei rapporti con Lui e la necessità interiore di esserne latori, in altre parole trova la sua motivazione all'interno di noi stessi quali uomini amati intensamente da Dio e per ciò stesso risponde ad una legge di libertà.

Ed eccoci così alla comprensione del monito apparentemente strano dell'amore del prossimo COME SE STESSI, che non vuole attestare alla sola fuga dall'egoismo. Piuttosto, chi ha vissuto intensamente il proprio rapporto con il Signore ha ottenuto quello che potrebbe essere definito come il "passaporto" in vista dell'apertura sincera e coerente verso gli altri, giacché avrà mosso di conseguenza la logica dell'amore verso la propria persona fisica e spirituale visto che non si potrà mai essere reali e genuini nell'amore verso gli altri se non si avrà cura del dono divino della propria vita, dell'anima, della mente e di ogni altra cosa che possa riguardare in pienezza la dignità umana poiché prodigarsi per gli altri lo si deve fare nella piena complementarietà di noi stessi e nella pura trasparenza e omettendo ogni sorta di falsità e di esibizionismo anche interiore.

Se Dio è amore primo e infinito in tal senso diventa per forza il criterio di prassi comportamentale di tutti gli uomini e in modo particolare di noi cristiani, che vi abbiamo aderito nella scelta del Figlio Gesù, che deve rispecchiarsi in ogni particolare della nostra vita prima ancora che nelle singole opere di bene, sia pure queste lodevoli e pertinenti: siamo chiamati non già ad operare l'amore ma ad "essere" persone di amore e questo è possibile solo nella primaria esperienza di Dio nella nostra vita e quando manca l'amore al prossimo nella totalità del nostro essere e del nostro vivere certamente è stata carente la nostra convinzione di Dio.

 

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