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TESTO Non perdiamo la memoria

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (14/03/2021)

Vangelo: Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

“La storia è maestra di vita”, diceva Cicerone. Con questo, il grande oratore e filosofo voleva aiutarci a riflettere sul fatto che il ricordo e lo studio degli accadimenti storici può diventare fonte di ispirazione per chi vuole avere la consapevolezza dei momenti che di volta in volta ci troviamo a vivere. Se questa saggia affermazione la abbiniamo a un'altra famosa teoria sulla storia, quella del filosofo napoletano Giambattista Vico, che parlava di una storia “fatta di corsi e di ricorsi”, ovvero di avvenimenti che si ripresentano ciclicamente nella storia dell'umanità, quasi fossero predestinati da una sorta di Provvidenza superiore alle vicende umane, allora possiamo davvero dire che tutto ciò che accade rappresenta per noi una sorta di insegnamento, in vista di ciò che nuovamente può accadere; così come, nel momento in cui ci troviamo a vivere una situazione particolare, soprattutto se negativa, dobbiamo imparare a guardare alla storia, e ci accorgeremo che dalla storia potremo ricavare insegnamenti preziosissimi su come affrontare ciò che di volta in volta ci troviamo a vivere, proprio perché l'abbiamo già vissuto.

Una delle malattie più diffuse del nostro secolo è quella che porta le persone (anziane, ma non solo) a perdere la memoria, a non ricordare più nulla a partire dalle cose più recenti fino a quelle remote, per giungere poi addirittura all'oblio - purtroppo - di se stessi e della propria identità. Ma Papa Francesco, qualche anno fa, parafrasando questa stessa malattia e applicandola alla vita di fede, parlò di “Alzheimer spirituale”, che - diceva - “consiste nel dimenticare la storia del nostro rapporto personale con Dio, quel primo Amore che ci ha conquistati fino a farci suoi. Se diventiamo ‘smemorati' del nostro incontro con il Signore, non siamo più sicuri di niente; allora ci assale la paura che blocca ogni nostro movimento”. E questo può avvenire anche nel nostro rapporto comunitario con Dio, nella nostra vita di Chiesa, di popolo di Dio.

Anche Israele, a più riprese, nella storia della salvezza, dimenticò la sua storia d'amore con Dio. Il brano che abbiamo letto nella prima lettura di oggi, tratto (inusualmente, va detto) dal Libro delle Cronache ci offre in poche battute una sintesi della storia dell'alleanza di Dio con Israele, soprattutto letta attraverso l'ottica del “senso” delle cose che accadono: quando il popolo ha iniziato a dare per scontata l'alleanza con Dio, ha iniziato a vivere questo rapporto in maniera “accomodata”, arrivando a dimenticarsi di tutti i benefici da lui ricevuti. E questo ha portato al degrado sociale del popolo: un degrado che Dio non solo non ha voluto evitare al suo popolo, ma ha addirittura permesso che ciò avvenisse, perché il popolo si ravvedesse e, nel corso degli eventi della storia a venire, avesse l'opportunità di riscattarsi e di risollevarsi, come fu - per riportare l'esempio narrato da Cronache - nel caso del ritorno dall'esilio di Babilonia, reso possibile non dalla bravura del popolo, bensì dal gesto di grazia e di magnanimità di Ciro, re di Persia.

Anche il Vangelo di oggi, all'inizio, nel dialogo tra Gesù e Nicodemo, ricorda un fatto storico nel quale Dio, di fronte a un popolo che nel deserto si stava dimenticando di ciò che Dio aveva operato per lui, prima lascia che il popolo venga colpito da una calamità come quella dei serpenti velenosi, e poi offre il rimedio a questa disgrazia con il serpente di bronzo innalzato nel deserto; figura dell'innalzamento di Cristo sulla croce, guardando al quale l'umanità ha riacquistato la salvezza dai morsi del peccato.

Lungi da me pensare - come sento spesso dire da certa letteratura che io definisco “pseudocristiana” - che la grave situazione nella quale versa l'umanità intera a causa della pandemia sia qualcosa che Dio ha permesso che avvenisse o che, peggio ancora, ci ha inviato per castigo o per redimerci: ma dalla storia maestra di vita, dalla ciclicità degli eventi (non è certo la prima pandemia che avviene nella storia dell'umanità, e non sarà l'ultima), e soprattutto dal ricordo dei benefici ricevuti da Dio lungo la storia - nonostante non ci meritassimo nulla da lui - abbiamo davvero l'opportunità di risollevarci e di guardare avanti con speranza. E questo, lo ripeto, sulla scorta del ricordo dei suoi innumerevoli benefici e della sua presenza amorosa che mai ha permesso all'umanità di andare totalmente perduta, anche in mezzo alla peggiore delle catastrofi.

Mi ha sempre colpito un concetto lessicale (che in realtà rivela una profonda filosofia) della lingua quechua parlata dalle popolazioni indigene della Bolivia con le quali ho condiviso nove anni della mia esperienza di sacerdote: il concetto di “futuro” (che per noi è, idealmente, ciò che sta davanti a noi) è reso con un termine che tradotto significa “sulle spalle” (e quindi impossibile da vedere, anche se presente); al contrario, il concetto di “passato” era reso con una parola che letteralmente significava “davanti agli occhi”. In sostanza, il nostro passato è ciò che ci sta davanti, perché avendolo vissuto sappiamo bene di cosa parliamo; il nostro futuro è incerto, e quindi sta dietro di noi, e non ci è dato di vederlo. Andare avanti, allora, significa avere ben presente che cosa è stato il nostro passato, ciò che abbiamo vissuto, perché solo il ricordo del passato e di ciò che siamo è la base per costruire ciò che è ancora di là da venire.

Questa situazione terribile di fronte alla quale proviamo un senso di smarrimento e di angoscia, e di sempre maggior incertezza, riusciremo a superarla nella misura in cui facciamo memoria di quello che la storia ha passato, ha vissuto e ha superato; e nell'ottica della fede, ciò che ci spinge ad andare avanti e a guardare con speranza al futuro, è il ricordo dei benefici che Dio ha concesso, lungo i secoli, alla storia dell'umanità. Dio non ha mai abbandonato il suo popolo, al di là dei meriti che ne avesse: non ce ne dimentichiamo mai. E soprattutto, non dimentichiamo mai che, se Dio ha mandato suo figlio nel mondo, non lo ha fatto per condannare il mondo, ma perché il mondo fosse salvato per mezzo suo.

Abbiamo ancora qualche dubbio, riguardo al fatto che il Signore ci possa presto portare fuori da questa situazione? Vediamo, piuttosto, di fare qualcosa per non perdere la memoria storica!

 

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