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TESTO Per bene operare, credi all'opera di Dio

don Giacomo Falco Brini  

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (14/03/2021)

Vangelo: Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Superati i 50 anni di vita, pian piano, si cominciano a cogliere delle costanti nella Bibbia. Una di queste è che l'uomo, anche mosso da sincero sentimento religioso, vorrebbe fare qualcosa per Dio, vuole dedicargli la sua opera. Invece la Parola di Dio, un po' dappertutto nelle Scritture, dice che l'uomo dovrebbe occuparsi piuttosto di conoscere e capire l'opera di Dio, prima di tutto. È quello che Paolo oggi esprime così: siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo (Ef 2,10). Quale il senso profondo di queste parole? La grande opera di Dio nella creazione è l'uomo, sua immagine e somiglianza. Ma l'opera magistrale, quella che ha cambiato le sorti di ogni uomo, davanti alla quale ciascuno è chiamato a scegliere, Dio l'ha compiuta sul patibolo della Croce, mettendone il suo sigillo con le ultime parole, prima di spirare: tutto è compiuto (Gv 19,30). Le opere dell'uomo sono buone solo quando nascono da questa radice.

Mi ricordo che nel 2007, mentre mi trovavo in terra di missione (Perù), ebbi a leggere una relazione dettagliata dell'allora papa Benedetto XVI circa le origini dell'ultima e incomparabile sinfonia di Beethoven, la nona, detta anche “Inno alla gioia”. Rimasi colpito dalla spiegazione della nascita del suo 4° movimento: “...Dopo anni di auto-isolamento e di vita ritirata, in cui Beethoven aveva da combattere con difficoltà interne ed esterne che gli procuravano depressione e profonda amarezza che minacciavano di soffocare la sua creatività artistica, il musicista, ormai totalmente sordo, nell'anno 1824, sorprende il pubblico con una composizione che rompe la forma tradizionale della sinfonia, elevandosi ad un imprevisto e straordinario finale di ottimismo e di gioia”(Benedetto XVI, Discorso all'assemblea riunita per concerto in suo onore della Bayerischer Rundfunk, Aula Paolo VI, ottobre 2007). Meditai a lungo su quanto non sapevo del celebre musicista tedesco, ma soprattutto sull'osservazione che la sua più grande opera “ruppe”, secondo il papa emerito, la forma tradizionale di comporre musica.

Analogamente, l'opera maestra compiuta da Gesù Crocifisso “rompe” ogni schema di opera religiosa e ogni immagine falsa che si ergono contro il vero volto di Dio. L'anticipo che Gesù ne dà al saggio Nicodemo, ricorda infatti che Dio non ha mandato suo Figlio per condannare, cioè mandare alla dannazione l'uomo per le sue colpe (Gv 3,16-17). Lo ha mandato per salvarlo, verbo che implica un grandissimo amore per la sua creatura. In questo sta il cristianesimo secondo Giovanni evangelista: nel credere a questa follia d'amore compiutasi sulla Croce. E qui viene il bello. Perché alla fine, il fatto che Gesù non sia venuto per condannare, cioè per giudicare l'uomo, non significa che non ci sarà un giudizio. Davanti alla Croce di Cristo, prima o poi bisognerà chiedersi: che cosa è veramente folle? Credere all'amore di Dio, o rifiutarlo? Il punto capitale della fede (credere o no all'amore di Dio) non è scontato. Anzi, può essere facile dirsi credenti e non esserlo realmente, ovvero non aver fatto esperienza di questo amore.

Principio di fede è accettare di essere amati/salvati da Dio. Diversamente, nella fede si può anche cercare solo uno spazio per rincorrere i nostri progetti e produrre le nostre opere. E qui il vangelo ci avverte. Si può infatti percorrere una via di auto-realizzazione attraverso l'affermazione delle proprie opere, ben nascosta in un'apparenza di fede. Ma allora ci allontaniamo dalla luce e dall'opera di Dio per un amor proprio sbagliato (Gv 3,19-20). Il rischio è di ritrovarsi ad amare più se stessi che Dio, più la propria idea su di Lui che la sua realtà; fino ad avere persino in odio la luce, perché essa smaschera l'egoismo che si cela in tante nostre opere. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3,21). Il Signore vuole che operiamo. Però altro sono le opere che nascono da Lui, altro sono le opere che nascono dal nostro amore malato. Chi accetta di essere amato da Dio accetta anche di conoscere la verità di sé: siamo tutti poveri e malati nell'amore! Ma proprio per questo scopre di poter essere al servizio di Dio come prezioso collaboratore delle sue opere. E in questo, non in altro, si compie la sua gioia di credente: nell'onore di essere solo collaboratore.

 

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