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TESTO La croce, la fede, la vita

padre Gian Franco Scarpitta  

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (14/03/2021)

Vangelo: Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

La volta scorsa ci si era lasciati con la considerazione di Gesù che è il nuovo tempio definitivo, che supera le modalità cultuali fino ad allora vigenti e propone se stesso come luogo in cui tutti gli uomini possono avere accesso al Padre. La prima lettura tratta dal libro delle cronache, che descrive le vicende del popolo durante e dopo l'esilio babilonese, riafferma la necessità del tempio materiale come luogo di incontro con la divinità per tutti i popoli e di questo tempio si fa promotore Ciro, che per mandato divino provvede a raccogliere tutti i popoli in un unico luogo. Ciononostante, il popolo sarà vittima del proprio smarrimento e della propria sfiducia, fino a quando non ci sarà un tempio unico e universale in grado di rappacificare tutti gli uomini con Dio Padre e non soltanto gli Israeliti. Eccolo il tempio vero e definitivo, esso è lo stesso Gesù Cristo Dio fatto uomo, nel quale non sussisteranno differenze fra culture, popoli ed etnie, ma che raccoglierà in un solo culto tutti i popoli perché unico è egli stesso che fa da mediatore presso il Padre (1Tm 2, 5) per portare tutti gli uomini alla salvezza. Nel discorso rivolto a Nicodemo, di cui al Vangelo di oggi, Gesù insiste nella fede nel Figlio dell'Uomo (in Gesù) come una via necessaria e indispensabile per potersi salvare. Non c'è altro nome sotto il quale è possibile essere salvati se non quello di Gesù (At 4, 12) per il fatto stesso che Dio lo ha mandato quale unico Figlio, come vittima di espiazione per i nostri peccati. Nella croce di Cristo è stata affermata la potenza di Dio, e la stessa croce è lo strumento che ha fatto si che tutti possano trovare in Cristo vincoli di unità, di comunione e di salvezza vivendo appunto un unico tempio universale. La croce è espressione dell'amore incommensurabile di Dio per tutti gli uomini ed essa resterà per sempre l'elemento eloquente dei nostri rapporti con Dio. Cristo non ha scelto altro luogo per il nostro riscatto, non ha preferito percorrere altri sentieri o cercare altre soluzioni per recuperarci a Dio e a noi stessi, per il semplice motivo che la morte di croce, preceduta dall'ignominia e dall'indifferenza di tutti. appunto perché luogo di sofferenza e di patimento estremo, è la massima espressione dell'amore. Dio certo avrebbe potuto convincerci anche per mezzo di interventi coercitivi o di punizioni appropriate e anche in questo avrebbe reso apodittico il suo amore e la sua predilezione per gli uomini, ma poiché il sacrificio e la morte sono l'inequivocabile elemento che attesta il massimo amore per l'uomo, ebbene non ha rifiutato di sottomettersi alla croce. Essa del resto è la tappa obbligatoria per raggiungere l'obiettivo della resurrezione e della gloria e nell'ottica di Gesù era quindi indispensabile patire ed essere riprovato per poi essere innalzato e donare a noi la salvezza. "Per raggiungere l'alba non c'è altra via che la notte", afferma Gibran e Gesù era ben consapevole che non c'era altra via che il buio del sepolcro, l'impero momentaneo delle tenebre perché potesse trionfare la luce per lui e su tutti noi.

Se quindi l'amore di Dio in Cristo è stato capace di tanto, non ci resta che appropriarcene. Cioè non ci resta che aderirvi per mezzo di quell'atteggiamento di umiltà e di mansuetudine che per ciò stesso è anche un atto di coraggio, che è quello della fede nel Figlio di Dio. Credere e vivere in Cristo ci dispone ad accogliere il dono lapalissiano e inequivocabile dell'amore e ci ottiene di perseverarvi sempre per conseguire la vita e la salvezza. Credere è salvarsi e accettare la luce. Amare e donarsi equivale a vivere nella luce e a dissipare le tenebre dell'errore.

Chi preferisce le tenebre alla luce ha probabilmente qualcosa da nascondere. Non di rado avviene che le sue opere "sono malvagie" per questo tende a non renderle manifeste per non svergognarsi davanti a tutti. Oppure, per maggiore estensione, chi preferisce perseverare nell'errore e nelle tenebre trova accomodante e conciliante la via del male, vi si trova talmente assuefatto da non poterne più fare a meno ma proprio questo segna la sua rovina definitiva. La conversione, che è radicale mutamento interiore di noi stessi, ci induce invece a squalificare le vie del male nella convinzione della loro fondamentale pericolosità e vanità. Niente di più illusorio e fallace nella vita dell'uomo che il peccato che è sempre apportatore di morte e di dispersione, anche quando ci sembri che sia foriero di vantaggi e di benefici. Osservare la croce di Cristo, elemento certissimo di amore per noi, non può non esserci di monito a trovare solo nella fede in lui il vero criterio per vivere nella luce e per fuggire alla morte incombente. Trovando in Gesù il vero tempio del Dio vivente che allo stesso tempo è "Via, verità e vita"

 

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