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TESTO Guardiamo il cielo, camminiamo sulla terra

don Angelo Casati  

III domenica di Quaresima (Anno B) (07/03/2021)

Vangelo: Gv 8,31-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Eccoci alla domenica di Abramo. La terza domenica di quaresima, nel nostro rito ambrosiano, passa abbracciata a questo nome: "Abramo". Dietro il nome, una storia, vi confesso, mi ha preso emozione. Voi direte che mi prende troppo spesso emozione, con sospetto che sia per via dell'età. Ma questo coincidere di eventi non mi lascia spento: la domenica di Abramo e un Papa che tocca e venera la terra da cui venne il nostro padre Abramo, la piana di Ur, e proprio ieri, quasi non ci fossero cesure. Capite, io vidi papa Francesco nella piana di Ur, nell'aria e sotto i cieli, l'aria e i cieli che respirò il grande patriarca. E folate di vento alzavano, come ali, vesti bianche, un vento che ci fa migranti come tutti i patriarchi. Della specie dei migranti.

Per questo racconto emozioni. La prima l'ho patita leggendo il brano della lettera di Paolo ai Tessalonicesi. Mi ha colpito quel ripetersi nel brano di queste parole: "non potendo più resistere...". C'è un desiderio da parte di Paolo di visitare quella comunità. Paolo da parte sua ne fa una malattia e, non potendo recarsi lui, si priva di uno stretto collaboratore per mandarlo. E aggiunge che già prima "non potendo più resistere" aveva mandato a chiedere notizie di loro. Penso che un brivido di emozione sia passato anche in voi. Quando non si può più resistere? Spesso quando il cuore ti batte forte. Per desiderio, desiderio di far sentire, di far toccare con mano, la tua vicinanza. Concreta.

E la mente, ora che ne parlo, va d'istinto a Francesco, il vescovo di Roma, che "non potendo più resistere", pensa che, per come è fatto, lui la vicinanza non la può delegare ad altri e va a visitare una terra martoriata, un popolo ferito, una chiesa stremata. Lui ha passione di toccare, e ieri gli venne di lodare quei pastori che, in stagioni di rischio, sono stati vicini, non funzionari, vicini alla gente, non in palazzi in sicurezza, ma tra la polvere delle chiese in macerie. Non potendo più resistere, lui, Francesco sta toccando quella terra. Toccare da vicino sulla pelle è il messaggio che mi rimanda: che tu possa dire spesso: "Non potendo più resistere...". Le immagini della piana di Ur dunque. Ma anche, a contrasto, le immagini del tempio nel racconto del vangelo di Giovanni, il tempio e gli uomini del tempio, il tempio divenuto luogo dell'immobilismo e dei nomi vuoti, luogo dove Abramo diventa un nome. Un nome citato a ripetizione in un dibattito pieno di astio, aspro: "Noi siamo discendenza di Abramo... nostro padre è Abramo".

Ma come? Abramo era l'uomo dell'uscita e del cammino. Gli occhi di Francesco ieri si perdevano lontano, sabbie e cieli. Ed erano come se lui sentisse, ancora impigliata nell'aria, la voce di Dio ad Abramo: "Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, e dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti indicherò... E allora Abramo partì". Abramo lascia in eredità alle generazioni del futuro l'uscita. E il cammino. Dio fa uscire Abramo. Dio farà uscire Mosè dalla schiavitù. E comanderà a Mosè di far uscire. Ebbene accade la dissacrazione del nome di Dio, sotto il cielo di ogni religione, quando si usa il nome di Dio per sequestrarlo nelle nostre appartenenze - il "nostro" Dio - o addirittura per fare violenza: "Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui". Ucciderlo o - che è poi come ucciderlo - soffocarlo nel vuoto delle nostre discussioni, nella presunzione di dettare noi i confini.

Parliamo del tempio e degli uomini del tempio, ma, voi mi capite, potremmo dilatare il discorso alla società nelle diverse articolazioni del vivere comune. Accade quando diventiamo in concreto idolatri, idolatri dell'io personale o di gruppo, proiettati a sentenziare, mai a stare in ascolto; a metter in questione l'altro, mai a mettere in questione noi stessi; a incenerire l'altro mai a incenerire il delirio di noi stessi. Allora la religione, e non solo, si perverte nel vitello d'oro, il vitello d'oro denuncia assenza di cuore. Immobili perché in adorazione di ciò che è immobile. Manca l'aria delle uscite. Dio è un Dio che esce.

Penso che abbia colpito anche voi le ultime parole del racconto: "Raccolsero pietre, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio". A volte mi prende paura che Gesù voglia uscire oggi dal tempio. E do alla parole tempio un significato dilatato. Un giorno mi venne da pregare così Gesù:

E venendo da cenacoli chiusi
in prati d'erbe smunte
senza refoli di vento,
l'avventura dei tuoi passi
su erbe bagnate
colorate d'ignoto
da un oltre che segna
il tuo passaggio di silenzio.
Andavi per pareti di vento.
Ed io a inseguire,
per acuto di nostalgia
il tuo

profumo di vento.

Ed ora ritornando ad Abramo vorei sfiorare le immagini del cielo e delle stelle. Il cielo che ieri papa Francesco fissava, occhi perduti, e gli venne da pensare agli occhi di Abramo, stesso cielo. Sono passati millenni, stesso cielo. Ma, quando accadde, era una notte, notte fonda. Abramo soffriva il prolungarsi dell'avverarsi di una promessa. Noi tutti ne soffriamo il prolungarsi. Ebbene quella notte Dio condusse Abramo fuori delle tenda a fissare il cielo e le stelle.

Ecco ora vorrei lasciare le parole a papa Francesco: "Cari fratelli e sorelle, questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell'opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle. In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi.

E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra. Guardiamo il cielo. Contemplando dopo millenni lo stesso cielo, appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l'Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi. L'Oltre di Dio ci rimanda all'altro del fratello".

Guardiamo il cielo, camminiamo sulla terra.

 

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