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TESTO Dolore crudele e dolce

don Mario Simula  

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (07/02/2021)

Vangelo: Mc 1,29-39 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,29-39

29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

35Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. 36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. 37Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Il dramma di Giobbe è dramma dell'uomo. Di ogni uomo e di ogni donna. Di vecchi e di bambini. Non risparmia nemmeno i giovani e gli adolescenti che sanno guardare avanti, se nessuno gli costruisce contro gli occhi un muro di sbarramento.
“I mesi di illusione e le notti di affanno” sono familiari. Una sorta di sfondo cromatico triste e appannato.
Mi corico stanco e mi domando: “Mi alzerò?”. La notte è troppo lunga, interminabile come un calvario.
Conto le ore infinite girandomi e rigirandomi fino all'alba.
Giorni lentissimi, eppure “più veloci di una spola: svaniscono senza un filo di speranza”.
La vita è come un soffio.
Ci viene a mancare il respiro, per l'incombere di ogni preoccupazione, per l'insorgere di tutte le paure.
La vita minacciata ad ogni istante ci toglie il respiro. Soffoca come un boccone amaro e indigesto.
Il mio occhio non rivedrà più il bene? Domande ineluttabili dell'uomo Giobbe.
Dal salmo si alza un grido di speranza e una domanda insistente: “Risanami, Signore, Dio della vita”. Risana il mio cuore affranto, fascia le mie ferite. Tu che conti il numero delle stelle e chiami ciascuna per nome. Ti sei dimenticato proprio il mio nome? Il nome della tua creatura. Il nome del mio pianto e del mio urlo?”.
La sorgente zampillante della vita scaturisce, tuttavia, dall'esperienza di Gesù.
“Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni”.
Gesù si piega sul dolore di ogni persona. Instancabile come chi della compassione ha fatto la sua risposta continua ad una vocazione. Non si può smettere di vivere la com-passione. Vale più di ogni farmaco, perché tocca il cuore e l'anima. Rasserena più di ogni lenitivo, perché ravviva la speranza e si espande come un olio pacificante.
La com-passione è segno di occhi attenti che vedono, di mani che toccano e accarezzano, di baci mai dati prima, di parole che hanno il dono di rasserenare, di profumi che inebriano l'aria. La com-passione ha il gusto di un tozzo di pane che, fragrante, è riscoperto come il cibo più succulento, quando manca tutto.
La gente preme alla porta. Gesù è lì. Stabile. Con una forza sovrumana nel prendere su di sé ogni patimento umano.
Ma è ancora molto poco tutto questo, per Gesù. Ad un'ora misteriosa, quando ancora è buio, Gesù esce, si ritira in un luogo deserto e prega, per “guarire” il suo cuore ferito da tutto lo strazio della creatura. Ha bisogno di parlare con Dio suo Padre. Gli racconta tutto lo smarrimento dell'uomo. Gli manifesta le piaghe che incontra. Gli mette davanti agli occhi ogni purulenza dei cuori.
Gesù vuole trovare il Padre accanto a sé. Rischia altrimenti di non reggere il peso. Altrimenti fin da ora “la sua anima è turbata fino alla morte”.
Notte senza fondo quella di Gesù che prega. Sicuramente notte della consolazione e del conforto. Notte della presa di coscienza e della decisione.
La gente, che è il pane quotidiano di Gesù, riesce a trovarlo anche in quel silenzio misterioso con il Padre.
Non possiamo dimenticare che ogni persona rimane sempre la vera destinataria dell'Amore di Dio.
Gesù non si sottrae a quel “bisogno che lo cattura” e va per tutta la Galilea predicando nelle sinagoghe e scacciando i demoni”.
Di questo modo di essere, di questo stile di vita Paolo è l'interprete e il modello.
Da un lato sente il bisogno irrefrenabile dell'annuncio: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!”. Un annuncio gratuito. Come servo di tutti per poter guadagnare il maggior numero al Vangelo del Signore.
Il servizio di Paolo ha il sapore della com-passione di Gesù.
“Si fa debole per i deboli, per guadagnare i deboli”, quei poveri del Regno che nessuno considera, che tutti ignorano, che tutti scartano, che tutti dicono di servire come priorità, più sulle carte ufficiali che sul sentiero faticoso della vita condivisa e spesa.
Oggi lo capiamo: la sofferenza dell'umanità crea dolore e pianto al Figlio di Dio e a Dio suo Padre.
Il Vangelo crea urgenza nel cuore di Gesù. Gesù può essere soltanto un “evangelizzatore di strada”, di giorno e di notte, sempre in crisi perché qualcuno può rimanere tagliato fuori dal vortice della Parola che salva.

Noi, come Paolo, sperimentiamo la debolezza accolta per condividere la sorte dei deboli.
O vogliamo essere migliori di Dio, di Gesù, di Paolo?
L'insonnia di oggi, giorno sera e notte, dolorosa e infinita, dovrebbe venirmi dal grido di chi sa che il pane della Parola è abbondante, ma non trova chi lo spezzi per distribuirlo.
Oppure chi non è disponibile per questa missionarietà, faticosa e grondante di sangue.

Gesù, il mio fratello Giobbe è passato sotto i denti del torchio della prova.
Non ha avuto mai paura di parlarti col cuore e con la disperazione in mano.
Chi ama, Gesù, non misura le parole dell'amore. A volte rasentano la bestemmia. Conosciamo, tuttavia, da quale cuore sono spremute.
Anche tu, Gesù, hai sentito tuo Padre “altrove”.
Lo hai chiamato nella notte per sperimentare il calore della sua presenza. Per raccontare a Lui il freddo mortale dei suoi figli.
Gesù, che cosa posso fare io se non metterti tra le mani le mie depressioni spirituali, la caterva delle domande senza risposta, le ribellioni davanti alle scelte perfettamente impachettate ma che i tuoi figli non riconoscono come miele per le loro labbra!
Gesù, sono un evangelizzatore che pigramente fa risuonare il Vangelo nel suo cuore assetato.
Non ti meravigli, allora, se percorro le strade dell'annuncio senza passione, senza fuoco interiore, senza sperimentare la fragilità di chi si fa debole per condividere la condizione degli “sfiniti”, di chi si accascia sul ciglio dei fiumi, delle strade, delle città inospitali.
Il mio non può essere un Vangelo “di lusso”, per persone di alto rango che nei salotti sanno dare spazio anche alle elucubrazioni religiose.
Il “tuo-mio” Vangelo è “scritto in dialetto”, perché parli a chi non sa più leggere né scrivere. E non sa nemmeno parlare per il poco peso dato sempre alle sue parole.
Gesù, aiutami a “fare tutto” per il Vangelo. Anche l'impossibile. Altrimenti rubo l'ossigeno a chi ti cerca come ultima spiaggia della sua crudele esistenza.

 

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