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TESTO Dove dimora Dio

don Luca Garbinetto  

II Domenica dopo Natale (03/01/2021)

Vangelo: Gv 1,1-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,1-18

1In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

2Egli era, in principio, presso Dio:

3tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

5la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

18Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

Non finiremmo mai di immergerci dentro la contemplazione che Giovanni evangelista condivide da secoli con i lettori di ogni generazione. Il prologo del suo vangelo è certamente uno dei testi più belli della storia della letteratura di tutti i tempi. Ma, per noi, è soprattutto porta d'accesso al mistero dell'Altissimo.

Ci piace attraversare questa porta ed entrare nella tenda, che Egli ha posto in mezzo a noi. Come la tenda del deserto di Israele, di un popolo in cammino alla ricerca di se stesso. Ora però non c'è più una terra promessa da inseguire, perché Egli stesso è per noi giardino fiorito, come all'origine, e noi per Lui terra fecondata e resa capace di germogliare. Noi, che siamo la sua gente, percorriamo adesso le vie delle carovane della storia guardando verso la luce e la bellezza che ci circonda, e che non è altro che traccia della Sua presenza sicura e accessibile.

È chiaro, non ci nascondiamo che esistono le tenebre, che il dolore procurato dal male ancora si insinua nelle pieghe dell'umanità. Ma pure di queste, nella contraddizione delle vicende terrene, si è fatto carico il Verbo, affinché non mancasse nella sua esperienza di radicamento nella carne l'assunzione del diverso e dell'opposto. Così silenzio e Parola, luce e tenebre, cielo e terra coabitano nel mistero del principio che si fa presente per annunciare un futuro di compimento. Dio fa sua tutta la vita umana, senza risparmiarsi nemmeno le conseguenze tragiche del peccato. Ma così le vince, e della morte fa un portone di ingresso al Giardino eterno.

Dall'invisibile reso visibile, dall'immortale divenuto mortale, dall'eterno sceso nel tempo riceviamo la speranza per noi, che costruiamo ancora case murate e fortificate, nelle città come nei cuori. Di fatto, è il paradosso dell'Onnipotente fatto bambino, entrato nella “sarx”, la carne debole della sua creatura, a rendere credibile la testimonianza del precursore. In Gesù, finalmente Dio ha spezzato per sempre l'immagine bruciante di una trascendenza troppo lontana dall'uomo per essere fonte di attrazione, per garantire una appartenenza, tanto agognata. In Gesù, nello stesso momento in cui Dio entra con tutto se stesso nel confine della creaturalità, contempliamo rinnovata la rivelazione che ogni uomo e ogni donna è a sua volta abitata dalla presenza della divinità.

Siamo noi la tenda del Verbo, il tempio dello Spirito, l'edificio spirituale che permette al Padre di prendere residenza sulla terra. La dimora della Trinità beata, attraverso la venuta del Figlio, è ormai imprescindibilmente legata all'esistenza dei suoi figli e figlie amati. Correndo il rischio, lacerante ma inevitabile, di essere lasciata fuori casa, di dover bussare per anni e millenni alle porte barricate di cuori e città troppo rannicchiate nelle tenebre per accettare lo sconvolgimento della luce.

Il Verbo porta con sé dal principio l'abbagliante fulgore della luce eterna. E davanti all'accecamento del nostro sguardo limitato e pauroso, è necessario accettare la sfida di buttarsi dentro il fuoco d'amore che disintegra l'egoismo e l'odio. Un passo di libertà, che il Dio debole non obbliga a fare e non può costringere per nessuno. Ne andrebbe di mezzo la stessa scelta di amare la creatura, fatta non solo “per mezzo di lui” (v. 3), come tutto il resto della creazione, ma anche come lui, portando impressa dentro l'immagine del Suo volto che la rende libera.

Come ogni Natale, c'è in noi la possibilità della scelta. Volesse il Cielo che almeno ci rendessimo conto della posta in gioco. Esercitare il proprio diritto di padronanza sulla nostra piccola vita avrebbe senso, se non fosse che in realtà questa stessa vita racchiude in sé l'opportunità di contribuire a rendere nuovamente presente nel mondo l'Infinito Dio di gloria. Varrebbe chissà la pena di inginocchiarci stupiti e grati per spalancare definitivamente la nostra abitazione interiore alla dirompente azione dell'Onnipotente, che “grazia su grazia” (v. 16) vuole tessere la nostra piccola storia quotidiana della grandezza della sua pienezza d'amore eterno.

 

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