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TESTO Non solo per dimorare, ma per essere la nostra dimora

padre Gian Franco Scarpitta  

IV Domenica di Avvento (Anno B) (20/12/2020)

Vangelo: Lc 1,26-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,26-38

26In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Il re Davide si preoccupa perché, mentre lui può prendere sonno al riparo dal freddo e con tutte le sicurezze e le comodità, l'Arca dell'Alleanza, che rappresenta in effetti Dio, giace sotto una tenda e non ha una dimora appropriata. Vuole edificare un tempio o almeno una struttura sacra, che possa contenere l'Arca di Dio ed esaltare la sua grandezza. E se ne preoccuperà anche in futuro, facendo trasferire l'arca nella rocca di Sion, a Gerusalemme (2Sam 6). Adesso però il Signore gli rivela per mezzo di Natan che sarà lui stesso a procurarsi una dimora fra gli uomini. Il che avverrà effettivamente nel fenomeno tanto atteso di Betlemme, quando Dio verrà ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14), letteralmente significa: “porre la sua tenda” fra di noi, in modo da avere un'abitazione privata e allo stesso tempo interagire con tutti. Samuele vuole di Dio nella sua Arca trovi una degna dimora, in Gesù Bambino Dio prenderà dimora in mezzo agli uomini, provenendo dalla stirpe stessa del re Davide, che nella sua genealogia lunga e articolata porterà Giuseppe e, appunto, a Gesù chiamato il Cristo. A Betlemme si realizzerà quello che il profeta Michea aveva preannunciato: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che dev'essere il dominatore in Israele, le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui, finché colei che deve partorire partorirà.”(Mich 5,1 - 2). In un piccolo villaggio, forse nemmeno contemplato dalle carte geografiche ed estraneo agli itinerari allora impostati per i viaggi, viene il Figlio di Dio a incarnarsi e a “porre la sua tenda” fra gli uomini, per diventare uno di noi e la sua abitazione è appunto l'umanità. La specie umana, che meriterebbe ben altra sorte di condanna per aver tradito la fiducia di Dio nella mancanza demoralizzante di Adamo, diventa il luogo in cui Dio diventa il nuovo Adamo, percorrendo tutte le tappe che sono riservate alla vita dell'uomo, ivi compresa l'infanzia. Cristo di fatto diventerà la nuova abitazione, il nuovo tempio universale, il luogo di incontro di tutti gli uomini che già a Betlemme (il cui nome significa “Casa del pane”) raccoglie in unità tutti gli uomini dispersi.

Qui si racchiude allora il senso dell'osservazione che Dio rivolge a Davide: “Quale casa mi potreste costruire perché io vi abiti?” Piuttosto sarò io la casa che fisserò come dimora universale per tutti gli uomini, sarò io stesso, nel mio Verbo, a dimorare fra gli uomini per essere la loro stessa dimora, il luogo d'incontro. Bello è considerare come questo si realizza nell'estrema umiltà, nella semplicità, nella piccolezza solitamente reietta dagli uomini che invece è esaltante per il Creatore del mondo. La piccolezza di una cittadina sparuta come Betlemme, di un altro luogo come Nazareth, dal quale si diceva che nulla potesse nascere di buono (Gv 1, 45 - 46) ma nel quale il Messia ha le sue origini; l'ignominia di una regione pagana e tendenzialmente avversa come la Galilea dalla quale non poteva sorgere profeta (Gv 7, 52), sono questi gli elementi prediletti da un Dio che capovolge le aspettative di grandezza dell'uomo, che si allontanano dalla concezione diffusa del Messia come di un re grandioso e immane al di fuori dalla portata di tutti. Il Messia, il Cristo Salvatore tanto atteso, nascerà in un luogo e in una condizione nonché da una stirpe che sono la massima espressione della piccolezza, del deprezzamento e dell'ignominia umane. Ma sorprende soprattutto il fatto che Dio voglia assumere la fanciullezza, il corpicino esile di un Bambino indifeso e cullato da una semplicissima donna addirittura Vergine nonostante il parto.

Se Dio avesse individuato una modalità più congeniale per raggiungere l'uomo, senz'altro l'avrebbe adottata. Se avesse trovato un sistema più efficace dell'incarnazione per farsi uomo fra gli uomini certamente lo avrebbe messo in atto e nulla gli sarebbe stato d'impedimento qualora avesse voluto irrompere nella vita con la coercizione, con la forza o imporsi alla maniera di un eroe mitologico fra i tanti che compaiono improvvisamente dalle rocce di una grotta. Se invece ha voluto dimorare fra gli uomini nell'assoluta nequizia, nelle vestigia esili di un bambino indifeso e sorretto dalla sola compagnia di due genitori vulnerabili e dimessi, ciò è avvenuto perché nessun'altra procedura era per lui più efficace di questa per diventare egli stesso la dimora degli uomini. Non soltanto per dimorare in mezzo a noi, ma per diventare lui la nostra dimora.

Inoltre, se Dio non avesse scelto di assumere l'infanzia per poi sottomettersi a un programma di crescita, di formazione e di indirizzo alla vita sociale e professionale, non avrebbe potuto fare esperienza delle ansie, dei problemi, delle difficoltà e delle negatività che assillano gli uomini di tutti i tempi, non avrebbe potuto partecipare della nostra vita e non avrebbe potuto comprenderci come uomini prima ancora di svelarci di misteri del Regno dei Cieli e per essere a tutti gli effetti, in modo credibile, la nostra via, verità e vita per condurci alla salvezza (Gv 14, 6). In Cristo Verbo Bambino Dio ha invece rispettato tutte le condizioni di umanità in modo che nulla noi possiamo abiettare al suo messaggio di salvezza e perché non possiamo assurgere il pretesto che lui ci istruisce “dall'alto” o come un'entità astorica, astratta e distaccata. Vive da uomo fin dall'infanzia perché noi possiamo credere davvero che egli, vero Dio e vero Uomo, ci conduca alla patria del cielo istruendoci secondo il volere di Dio.

 

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