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TESTO Ma lei non sa chi sono io!

don Alberto Brignoli  

III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (13/12/2020)

Vangelo: Gv 1,6-8.19-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia».

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

“Lei non sa chi sono io!”: fino a qualche anno fa, si sentiva spesso utilizzare questa frase da parte di persone che ostentavano - non senza una certa arroganza - una presunta o reale importanza economica, politica, giuridica, religiosa, o anche solo una fama non prontamente riconosciuta dall'interlocutore, che si riteneva, in questo modo, di poter spaventare come fa un leone ruggente di fronte a una preda...

Oggi è una frase caduta ormai in disuso, anche perché, se ci viene rivolta, non ci fa più né caldo né freddo: già facciamo fatica a cercare di comprendere chi siamo noi, figuriamoci quanto abbiamo voglia di sforzarci a capire chi siano “gli altri”! Addirittura, ho letto di una sentenza della Corte di Cassazione del 2012 che ipotizzava questa espressione come passibile di reato di minaccia, spiegando che “si tratta di un'espressione in grado di limitare la libertà psichica dell'interlocutore attraverso la prospettazione di un pericolo che un male ingiusto possa essere procurato alla vittima”. Per cui, per farla breve, è un'espressione che, oltre che a essere infelice e ormai passata di moda, può costituire anche un reato, e quindi è raccomandabile non utilizzarla. Ma aldilà di tutto, è un'espressione che, in genere, denota una grande insicurezza da parte della persona che la pronuncia e la sbatte in faccia agli altri: non sapendo, cioè, chi è lui stesso, non conoscendosi, non essendo capace di darsi un'identità, un ruolo, una missione all'interno della società, pretende quasi che siano gli altri a dirglielo, ad aiutarlo a trovare quell'identità che lui ancora non ha messo a fuoco. Perché se uno sa bene chi è, e che ruolo ha nella vita, e qual è la sua identità e la sua personalità, non ha bisogno di conferme andando a chiederlo agli altri... così come non dovremmo avere la preoccupazione - per conoscere una persona e apprezzarla - di sapere chi è, cosa fa, come si chiama, dove vive, quali sono i suoi interessi, di cosa si occupa, come si veste, cosa mangia, che compagnie frequenta... L'altro lo conosciamo scoprendolo attraverso una relazione interpersonale, fondamentalmente ascoltandolo e parlandoci insieme.

Eppure, di gente che vuole conoscere gli altri attraverso una serie di domande e di interrogatori “di terzo grado” ce n'è parecchia... e non esito a pensare che lo facciano non solo per ficcare il naso negli affari degli altri o per pura curiosità, ma perché pensano, in questo modo, di rafforzare la propria identità e le proprie insicurezze. È gente senza alcuna identità, insomma, che si rapporta agli altri con un laconico “lei non sa chi sono io”, oppure con una serie di interrogazioni volte a scoprire chi è l'altro e a capire se lo si possa ritenere migliore o peggiore di noi. La grandezza d'animo di una persona saggia sta nel non cedere al tranello di questi “insicuri”, e nel vivere la propria vita con convinzione, con serenità, nella consapevolezza di ciò che si è, con le proprie ricchezze e i propri limiti, felici del tanto o poco che si è ottenuto nella vita, senza nulla aggiungere o togliere a ciò che realmente si è.

Dico questo, perché è ciò che mi suona alla mente quando penso alla scena narrata nel brano di vangelo di oggi, l'inizio in prosa del Vangelo di Giovanni, che dopo il Prologo - di cui viene, all'inizio, riportato un versetto meraviglioso, quel “venne un uomo” carico di solennità - descrive l'ingresso, sul palcoscenico della storia della salvezza, di questo grande uomo, “il più grande fra i nati di donna”, il quale - consapevole o meno di questa sua grandezza, non ha importanza - mise al primo posto la sua missione e il disegno che Dio aveva su di lui, più che la ricerca della propria identità, della propria realizzazione personale, o l'affermazione della propria importanza nel panorama religioso della Giudea di quel tempo. A lui non importava essere il Profeta Elia, o un altro grande profeta, e nemmeno nutriva alcun interesse nello sfruttare la propria fama e il successo che la sua predicazione riscuoteva, per atteggiarsi a Messia o per spacciarsi per il Cristo. Questa era una preoccupazione dei sacerdoti e dei leviti, i quali, consapevoli della loro pochezza e della loro mancanza di autorevolezza sul popolo a loro affidato, dovevano assicurarsi di non avere a che fare con un possibile “Messia” (uno dei tanti, per la verità, che circolavano in Israele in quel periodo) che venisse a sconvolgere la tranquillità della loro situazione e della loro posizione di potere legata alla “casta” a cui appartenevano. La loro insicurezza, la loro nullità, la loro pochezza, in fondo la loro scarsa fede in un Dio che aveva affidato a loro le sorti spirituali del suo popolo, ottenendone solo sfruttamento e corruzione, si manifestano in questa inquisitoria nei confronti di Giovanni il Battista, che - a differenza loro - sapeva bene chi era e cosa Dio volesse da lui: era “il testimone”, colui che dava testimonianza a un altro, a uno più grande di lui, a uno che battezza non nell'acqua ma in Spirito Santo e fuoco, a uno che lui non si sente degno nemmeno di servire con i gesti di uno schiavo, a uno che è la luce della quale egli è solo un riflesso, a una Parola di cui egli è solo la voce, il suono, un soffio di fiato.

Questo è il vero testimone: colui che - pur sapendo di poter sfruttare una situazione di notorietà a proprio favore - si fa da parte e testimonia che il Messia è un altro, il Cristo è un altro, la Verità è un'altra, è Altro rispetto a lui. Questo Altro nessuno ancora lo conosce, e Giovanni lo dice in maniera chiara: ma non sarà certo un'indagine o un'investigazione a scoprirlo presente nel mondo. Sarà lui, con la forza della sua Parola e delle sue opere, a manifestarsi chiaramente, e a quel punto non ci si potrà più nascondere dietro a un perentorio “Lei non sa chi sono io”: perché lui sa bene chi siamo, eccome...

 

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