TESTO Attenti a cogliere l'attimo
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
I Domenica di Avvento (Anno B) (29/11/2020)
Vangelo: Mc 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
“Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? [...] Tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.”
Quanto suonano attuali queste parole del profeta Isaia, in un contesto come quello che stiamo vivendo! Forse non sarà a causa delle “nostre iniquità”, o almeno non direttamente, ma davvero ci sentiamo come foglie portate via del vento, proprio come le ultime che in questi giorni si ostinavano a rimanere attaccate ai rami, avvizziti pure quelli, ormai, dall'inverno che - quest'anno molto lentamente, per la verità - sta venendo a farci visita. Chi già da tempo ci sta facendo visita, e non ne vuole saperne di tornarsene da dove è venuto, è quell'inverno che permane da quasi un anno, ormai, nel nostro cuore, e che davvero ha avvizzito il nostro animo portandoci, spesso, all'esasperazione, a quella sensazione che abbiamo di “vagare lontano dalle tue vie”: non solo dalle vie di Dio - come dice ancora il profeta - quanto dalle vie ordinarie della nostra quotidianità, da quelle strade che possiamo percorrere solo a seconda di un “colore” che ci viene assegnato (giallo, rosso, arancione che esso sia), giusto, per carità, perché pensato per la nostra salute e per il bene di tutti, ma pur sempre limitante e soprattutto frustrante, deprimente, capace di togliere l'entusiasmo e la voglia di ripartire anche al più intraprendente tra gli uomini...
E ci chiediamo anche noi “Perché?”... Perché non ne usciamo? Perché non c'è una soluzione a tutto questo? Perché non ci dicono quando finirà? Perché ognuno parla dicendo tutto e il contrario di tutto? Perché qualcuno è costretto a osservare in maniera ferrea le regole che gli impediscono addirittura di fare visita a un familiare anziano in una casa di riposo, e altri possono tranquillamente radunarsi in massa per le strade e per le piazze a salutare qualcuno che ha lasciato questa terra, in barba a tutto solamente perché famoso? Perché siamo costretti a vagare lungo queste vie dell'incertezza, che vanno dalla speranza di un vaccino e di una cura, alla disperazione per centinaia di persone che continuano, ogni giorno, a morire da sole nelle terapie intensive di un ospedale? Per forza, poi, “il nostro cuore si indurisce”, come ci ricorda ancora il profeta: e come può essere altrimenti? Come si può pretendere di avere un cuore mite, duttile, capace di lasciarsi plasmare, come argilla nelle mani di un vasaio, da un Dio che - ci sia permesso di aggregarci al grido di Isaia - lascia che il nostro cuore si indurisca e che le nostre vie si allontanino da lui?
Eppure, anche in questo contesto così strano e così incerto, anche quest'anno è giunto il tempo di Avvento; e quantomeno il colore viola dei paramenti questa volta riusciamo a vederlo in diretta e non più solo attraverso uno schermo, come fu per la passata Quaresima.
Forse anche questo vuole insegnarci qualcosa; forse questa incertezza e questi passi barcollanti verso un Natale che più incerto di così non poteva essere, ci vogliono insegnare qualcosa. Forse questa precarietà in tutto ciò che ci viene imposto e proposto, e in tutto ciò che possiamo fare o anche solo pensare, ci vuole ricordare - perché è chiaro che spesso ce lo dimentichiamo - che non siamo i padroni dell'universo e neppure della nostra stessa vita, se è vero che abbiamo imparato, ad esempio, a fare implodere su se stesso un grattacielo di centinaia di piani, e non riusciamo ancora a evitare che un microbo di 0,10 micron di diametro uccida in media 5.000 persone al giorno in tutto il mondo...
Forse ci fa paura sentirci in precario equilibrio, come camminando su un sottilissimo filo sospeso nel vuoto: però questa paura ci può e ci deve insegnare tante cose. Non può solamente “indurire il nostro cuore” (perché, mi dispiace dirlo, ma le frasi di qualche mese fa “ne usciremo migliori” non mi pare stiano sortendo l'effetto sperato...); deve necessariamente e finalmente insegnarci qualcosa.
E allora, prendiamo spunto da questo tempo di Avvento, che inizia come ogni anno con l'invito a una “vigilante attesa”, come quella dei servi di quell'uomo del vangelo di oggi che ha affidato a loro la propria casa, ed è partito per un viaggio senza avvisarli riguardo al giorno del suo rientro. Non vuole spaventare nessuno, il Signore: ci vuole solo insegnare a coltivare una virtù, quella della pazienza, che spesso ci manca, vista l'ansia che abbiamo di voler risolvere le cose subito e fino in fondo.
Lasciamo che la pazienza e l'attesa a cui ci ha costretti e ancora ci costringe questa pandemia ci insegnino qualcosa: ci insegnino a lasciare che Dio prenda in mano quell'argilla con cui ci ha creati all'inizio della storia e non smetta mai di plasmarci; ci insegnino a saper cogliere “il momento” - come dice ancora Marco nel vangelo - ovvero a saper “cogliere l'attimo”, in ogni istante della nostra vita, per dare un significato profondo a ciò che ci accade e a ciò che facciamo; ci insegnino che, per saper “cogliere l'attimo”, occorre stare svegli e attenti, anche e soprattutto quando la pazienza e l'attesa si fanno pesanti e insopportabili.
Dài: mai come quest'anno il tempo di Avvento può aiutarci a dare una svolta alla nostra vita. È la volta buona che - se lo vogliamo - “ne usciremo migliori”!