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TESTO Commento su Marco 13,33-37

don Michele Cerutti

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I Domenica di Avvento (Anno B) (29/11/2020)

Vangelo: Mc 13,33-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

L'anno liturgico si apre nella dimensione di un'attesa e la Parola di Dio ci esorta a essere nella vigilanza. Dio è entrato nella storia e la sua incarnazione rimane da sempre il mistero che ci sorprende e ci pervade ancora come fanciulli estasiati di fronte a una grande meraviglia. Siamo in preparazione al Natale con un congruo periodo di impegno. Cerchiamo di arrivare a questo evento, infatti, preparati e se in questo tempo le restrizioni, per l'emergenza sanitaria, ci costringeranno a vivere questa attesa in maniera più mesta rispetto agli altri anni, non vuol dire che siamo esentati a impegnarci in questo cammino di incontro con il Signore che viene. Il fatto, anzi, che si dovrà vivere in maniera diversa, può portarci a compiere il tutto con più profondità con la inevitabile nostalgia per le celebrazioni della tradizione.
Mi piace pensare a questo tempo con il salmista che afferma lo sgomento del popolo di Israele che conosce il tempo dell'esilio babilonese e ricordando la terra promessa afferma: “Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre”. Una sorta di sgomento prende coloro che sono deportati. Siamo esortati a non dimenticare che il nostro orizzonte di fede deve anche andare oltre le celebrazioni quando queste vengono meno perché come dice sempre il salmista: “Se ti dimentico Gerusalemme mi si attacchi la lingua al palato”.
Vengono meno le liturgie tradizionali non viene meno il nostro traguardo a cui siamo indirizzati.
Un periodo questo in cui possiamo riscoprire la grandezza e la profondità dell'amore di Dio attraverso la sua Parola.

Ci viene in aiuto l'evangelista Marco con i versetti tratti dal capitolo 13. Collochiamoli beni questi versetti nella cornice dell'intero capitolo.
Il capitolo 12 si chiude con un Gesù che sorprende tutti perché davanti alla maestosità delle bellezze del tempio esalta la piccolezza di una donna che mette nelle ceste un'offerta minima, ma che per lei rappresenta il tutto e il contrasto si fa forte perché i più ricchi vi gettano il superfluo.
Gesù elogia questa donna, ma i discepoli sembrano ancora presi dalla sola bellezza del tempio. Il Maestro entra in profondità affermando che di quel tempio non rimarrà nessuna pietra che non venga distrutta. Marco scrive il suo Vangelo nel 70 d.c. quando Tito distrugge il grande Tempio e inizia per Israele la diaspora. Per i cristiani inizia la persecuzione Marco scrive il Vangelo a Roma alla scuola di Pietro, ovvero raccogliendo la predicazione del principe degli Apostoli e quindi si rivolge a Comunità impaurite dall'ostilità dei Romani nei confronti dei discepoli di Cristo.

La situazione storica non è favorevole, ma ricordando questo episodio di Gesù si vuole offrire a quelle realtà, che vivono nel centro dell'Impero, una speranza. Virtù che ci viene proposta anche a noi.
Marco ricorda lo sgomento dei discepoli che colgono l'occasione che Gesù sia in disparte, sul Monte degli Ulivi, per chiedere informazioni su questi stravolgimenti. Ci sono Pietro, Giacomo e Giovanni coloro che sono sempre presenti nelle grandi occasioni come sul Tabor al momento della Trasfigurazione e al monte degli Ulivi, quando Gesù è in preghiera prima della passione. C'è anche Andrea questa volta, è il fratello di Pietro. Il discorso deve aver incuriosito un po' tutti che probabilmente il cerchio si allarga per dire, che oltre alle tre grandi colonne degli apostoli, c'era bisogno di un chiarimento ampio.
Gesù entra maggiormente nella riflessione affermando che il popolo di Dio sarà in preda a sconvolgimenti tali nella storia che per il cristiano diventano ontologici, ovvero insiti del discepolo autentico. Ci saranno le persecuzioni e uomini che si crederanno profeti di sventura e parleranno di fine del mondo, ma Gesù stesso invita a non seguirli.

La storia della Chiesa è sempre contrassegnata da queste due realtà.
Non dobbiamo avere paura delle lacerazioni che ci possono essere tra di noi nelle nostre realtà, delle incomprensioni che il nostro stile di vita ci porta.
Quelle comunità a cui Marco si rivolge vivono la persecuzione, ma anche oggi noi tutti la sperimentiamo perché altrimenti dovremmo domandarci come siamo con la nostra fede. Non la possiamo vivere nella ricerca della popolarità e proprio Papa Francesco ce lo insegna con i continui attacchi che subisce quando esorta i cristiani a essere accoglienti con i poveri, con gli ultimi e i migranti ovvero andare al cuore del Vangelo che è scomodo.

Il cristiano è perseguitato se non lo fosse vuol dire che non vive il Vangelo. Ci viene detto che verremo anche citati nei tribunali umani e non si intende solo quelli della giustizia, ma anche nel giudizio di chi ci osteggia. Non abbiate paura però ci dice Gesù verrà in nostro soccorso lo Spirito Santo che è il nostro avvocato. Non abbiate paura sembra dirci il Signore nel 2020, anno di grandi e significativi eventi che hanno toccato tutti quanti. Lui stesso è presente e vuole entrare nella nostra storia ancora una volta in maniera sorprendente.
Gli ultimi versetti del brano evangelico ci offrono quella speranza che andiamo cercando da mesi. “Allora vedranno venire il Figlio dell'uomo su nubi”.
La speranza diceva Pèguy è la virtù bambina che si nasconde tra le due grandi virtù fede e carità e mentre si nasconde le trascina in avanti. Dovremmo vivere così la nostra fede con una carità che ne sia lo specchio e spinta da una speranza che non ci rende immobili, ma sempre innovativi e luminosi nelle pieghe della storia.
Ecco allora come vivere la dimensione del vegliare che come imperativo ci viene posto in ogni Avvento per non essere cristiani impauriti, ma abitanti da una speranza che Gesù ha vinto il male e a noi è dato il compito di vivere questa attesa non inermi, ma pieni di frutti e opere buone da coltivare.

 

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