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TESTO Commento su Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (27/12/2020)

Vangelo: Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,22-40

22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

31preparata da te davanti a tutti i popoli:

32luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Nel brano di Genesi, con cui si apre la Liturgia della Parola di questa domenica dedicata alla “Santa” Famiglia, irrompe la bella figura di Abram.
È un uomo che appartiene a un popolo, ma che appartiene anche a una famiglia. È figlio e sposo. Ama la sua famiglia; segue suo padre Terach in Carran, nella terra di Canaan; ama sua moglie che però “era sterile: non aveva figli” (Gen 11,30). È un uomo attaccato alle sue radici, al passato; ma non vede futuro per sé, è senza discendenza; è destinato a lasciare ai suoi beni al proprio servo. Ma Dio - come capita spesso alle nostre famiglie - lo sradica. Ogni volta che Dio irrompe nella tua vita ti senti addosso le vertigini. E zoppicante, slogato, come Giacobbe quando lottò con l'angelo. Ogni sradicamento è doloroso, eppure contiene sempre un germe di speranza. Il Signore lo “conduce fuori”: “Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza” (Gen 15,5).
Abram si fida di Dio. Da stanziale - benestante e già carico d'anni - si fa nomade. Lascia la terra: cioè le radici, un passato che rassicura, una dimora, una sicurezza per sé e per Sarài. Parte, e non sa per dove. Si separa da tutto questo. Dio separa. Ma se ci si fida di Dio, si scoprono meraviglie. Dal seno avvizzito di Sarài nascerà un tenero virgulto e si avvererà la promessa del Signore. Anche Elisabetta si fiderà di Dio e dal suo seno avvizzito nascerà un figlio che nel deserto preparerà le vie del Signore. Anche Maria si fiderà di Dio e da lei, una ragazzina, nascerà il Liberatore. Dio non finisce mai di stupire. Basta fidarsi di Lui, per scoprire meraviglie.

Dobbiamo meditarle, queste meraviglie, perché - dice il Salmo - “la sua parola è data per mille generazioni”. Avere la fantasia per coglierle, oggi, nelle cose di ogni giorno e la libertà per svuotare il cuore da tutte le cose che ci ingombrano. Come Abramo, che parte senza sapere per dove, ma con un orizzonte sconfinato dinanzi ai suoi occhi. Parte “per fede” - dice la lettera agli Ebrei - cioè fidandosi solo di una Parola. E cammina. Lui e la sua famiglia, i suoi servi e le sue serve, dormono in tenda, sotto quel cielo stellato che Dio gli aveva mostrato quando “lo aveva condotto fuori”. Forse la tenda di Abram e di Sarài non era una tenda di santità, ma di pura normalità. Come le case delle nostre famiglie. Non “sante”, semplicemente “normali”. O sante perché normali. Ma Abramo aveva fede. E monta una tenda aperta ai quattro venti, aperta a nord, a sud, a est e a ovest, perché chiunque provenisse da quelle direzioni potesse trovare riparo e accoglienza. Credere significa aprirsi a qualcosa, a Qualcuno; la fede dice accoglienza non di una verità, che non è di proprietà di alcuno, ma di una persona. Dice accoglienza di un mistero e, al contempo, di un altro. Dice accoglienza del diverso, che viene da nord, da sud, da est e da ovest e che è pur sempre un mistero.
Anche la famiglia di Nazaret, che oggi celebriamo, era una famiglia “normale”. Santa, perché “normale”. Una famiglia costantemente in cammino, in una sorta di pellegrinaggio faticoso come ogni pellegrinaggio. Anche la presentazione di Gesù al tempio è una sorta di pellegrinaggio: dalla casa al tempio e dal tempio a casa, perché anche la casa è un tempio sacro. Come la tenda di Abramo, aperta ai quattro venti.
Una famiglia “normale” con tutti i problemi, i dubbi, le paure di una famiglia “normale”, ma caratterizzata da un amore profondo tra i due sposi, nella ricerca costante della volontà di Dio e dunque allenati a cogliere la voce dello Spirito prima di quello delle istituzioni; una comprensibile angoscia (chi è genitore lo capisce bene) per ogni problema che possa avere o dare il figlio, ma pronti al contempo a dirgli, appena “svezzato”: “Ed ora vai!”.
Una famiglia, quella di Nazareth, con un dono oggi sempre più raro, ma che dobbiamo recuperare in quel futuro al quale dobbiamo tornare: la capacità di stupirsi. Luca - che è un poeta - lo coglie immediatamente nel suo evangelo, quando Simeone, sazio di anni, prende in braccio il piccolo Gesù e benedice il Signore: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza...”. Lo stupore di fronte alle meraviglie del Signore. Lo stesso stupore che si prova di fronte all'alba o a un tramonto; lo stupore che si prova quando si raggiunge finalmente la cima di un monte; lo stupore di fronte alla vita nascente, alla prima parola di un bimbo, o di fronte al bimbo dormiente, e non smetteremmo mai di osservarlo quando, chetato, finalmente dorme sereno nella sua culla; alla calda carezza di una madre, alla mano sulla spalla di un padre di cui temevamo il giudizio severo... Lo stupore. Uno stupore di genitori che vedono crescere il figlio in età e in sapienza. E sarà lo stesso stupore dei “dottori” del tempio che non zittiscono il giovane virgulto che osa parlare delle cose di Dio, ma lo ascoltano, perché l'educazione è ricevere e trasmettere ad un tempo.
Anche oggi esistono tante “sante” famiglie. Famiglie che lasciano liberi i figli nel compiere le loro scelte, perché li hanno educati all'autonomia e alla responsabilità. Famiglie che non coprono i figli di regali inutili - dai vestiti firmati al telefonino ultima generazione - per coprire sensi di colpa mai sopiti. Ma non è facile, bombardati come siamo da proposte apparentemente irrinunciabili.
Ancora una volta la famiglia di Nazareth, santa, perché “normale”, ci viene in aiuto: nel suggerirci di ascoltare sempre la nostra coscienza che è la voce dell'angelo che parla a Maria e poi a Giuseppe; nel fidarsi del Signore e di affidarsi a lui. Di amarci come ci ama il Signore. È lui che parla alla nostra intelligenza per illuminare il nostro cammino, da profughi e da pellegrini, nella storia. In questo cammino incontriamo dubbi, fatiche, incertezze, ostacoli, angoscia, nebbie. Ma dobbiamo affrontarlo, senza timori, per incontrare quella liberazione “preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. E per continuare a stupirci, come il padre e la madre di Gesù (cfr. Lc2,33)

Traccia per la revisione di vita
- Come concepisco la fedeltà alla chiamata personale di Dio? Come obbedienza tranquillizzante alla Legge o come ascolto attento della mia coscienza attraverso cui Dio mi parla?
- Sono disposto a stupirmi, ogni giorno, per le meraviglie che il Signore compie in me, nella mia famiglia, nella storia umana?

Luigi Ghia - Direttore di “Famiglia Domani”

 

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