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TESTO Avvento è salpare

don Angelo Casati  

II domenica T. Avvento (Anno B) (22/11/2020)

Vangelo: Mt 3,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».

3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse:

Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!

4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.

5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Leggo dal rotolo di Isaia. Non so di chi sono le parole. Ma le sento mie e un po', immagino, anche vostre. Ne stralcio un grumo: "Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza, o braccio del Signore. Svégliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate...". Sento le parole come una invocazione a Dio, invocazione alle sue mani che hanno plasmato, nell'in principio dei giorni, la terra, invocazione al suo braccio che, nei secoli a seguire, ha liberato un popolo dalla schiavitù: "con braccio potente" era scritto nella storia dei padri. "Svegliati" sono le parole che mi vengono alle labbra. Forse che Dio dorme, o veglia? Vedete quanti pensieri! E d'istinto i pensieri vanno a Gesù, che, quella notte, si era addormentato sulla barca. E come poteva non essere, dopo giornate come quelle, senza respiro? La barca, in pieno lago, imbarcava acqua per tempesta e a loro venne d'istinto di svegliarlo.

Scrive Marco: "Allora lo svegliarono e gli dissero: 'Maestro, non t'importa che moriamo?'. Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: 'Taci, calmati!'. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: 'Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?'. E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: 'Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?' " (Mc 4,38-41). Ci è permesso dunque con un invocazione di svegliare il braccio di Dio, che appare come svigorito: "Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza, o braccio del Signore". Ci è permesso con un grido di svegliare Gesù, addormentato nella tempesta: "Maestro, non ti importa che moriamo?'". Ecco pregare è svegliare. Che stranezza in un tempo di avvento, in cui ripetutamente l'appello è a svegliarci noi! Ora per un attimo veniamo come autorizzati a svegliare Dio. E non ci si venga a dire che non ha senso la preghiera di domanda e che l'unica che ha senso è quella di ringraziamento.

Siamo qui a svegliare Dio. Ebbene la preghiera "svegliati", "salvaci", nasce da una consapevolezza, quella della nostra fragilità; ci purifica dai nostri deliri di onnipotenza: è come se confessassimo - confessione preziosa - che siamo precari. Non è forse vero che "pregare" viene da "precari"? Nasce dunque da una terra di precariato. Riconosciuto, confessato. Una confessione di fragilità che non è legata ad appartenenze, nasce da una condizione universale. Che, non riconosciuta, genera arroganze. Anche dello spirito. E' dalla consapevolezza della precarietà, terra di tutti, la nostra oggi, che nasce attesa di salvezza, di consolazione.

Un'amica a commento poneva il suo accento proprio sulle ultime parole del brano, parole di promessa: "Io, io sono il vostro consolatore". Che bello questo "io" ripetuto: "Io, io sono il vostro consolatore", attesa di consolazione. Che nasce da una coscienza nobile delle nostra precarietà, una seggiolina serale. Ho trovato l'immagine in un libro di poesie, uscito da poco "La sete della domanda", di Chandra Livia Candiani. Vi devo confessare che a volte, spesso, che cosa sia pregare, più che in definizioni fredde, l'ho scoperto in poesia.

Questa ha titolo "Pregare":
Pregare è indicare,
come fanno gli alberi come le onde
e gli orizzonti come un sorriso,
è stare seduti
su una seggiolina serale
sulla soglia impagliata dei sogni
e dei desideri,
e arriva la brezza
che spezza i collari angusti
delle generalità e dell'immaginazione
avara, e trasporta in una terra
annuvolata vuota di parole,
precaria. Lì stai vacillante su un piede solo,
raminga percorri un filo libero
senza ancoraggi e ti ritrovi
in nessun paradiso ma nella meraviglia
dell'assenza di opinioni e di misure.

Pregare è salpare.

Ebbene mi sembra bellissimo questo verso "pregare è salpare. Ci salva dall'inganno di pensare che pregare sia cedere al disimpegno, affidare fideisticamente tutto a Dio. No, è come se dalla consapevolezza che Dio è nella barca, ti pulsasse dentro il coraggio di osare. Ci tocca "coraggio di osare". Osare con tutti. Darci coraggio ad osare. Oggi. Vorrei dire che segno che la tua è stata una preghiera autentica è che ti sei fatto disponibile a salpare. E a cambiare dentro. E sfioro il vangelo di oggi. Ci può colpire che le parole di inizio della predicazione del Battista corrispondano alla lettera a quelle con cui inizierà Gesù. Quasi a dire che non si può iniziare se non da qui: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!".

O forse meglio, con parole più aderenti al testo e incisive: "Cambiate il cuore! Si è avvicinato, infatti, il regno dei cieli". Cambiate il cuore. Si tratta del cuore. A partire dal cuore. Anche in questi giorni. Il Battista si trova di fronte gli uomini dell'istituzione, i gruppi legati alla tradizione, all'ortodossia: farisei e sadducei. Loro si guardano bene dal salpare, sono avvitati su se stessi, avvitati su appartenenze. Dicono: "Siamo figli di Abramo". Diversamente dalle folle del fiume. Che si immergono con tutti, pronti a captare l'invito a salpare, verso un cambiamento del cuore. Ma è possibile un cambiamento del cuore? Di un cambiamento del cuore, aveva parlato il profeta Ezechiele, che aveva profetizzato giorni in cui ciò che sarebbe parso impossibile, sarebbe accaduto, scrivendo: "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez 36,26).

Era giunto il regno di Dio. Era giunto il profeta colmo dello Spirito. "Cambiate il cuore" è la prima parola di Gesù. E tu non disperare delle tue durezze: "Io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo". Pregalo. E ricorda che pregare è salpare, dalla durezza alla tenerezza. Forse qualcuno di voi ricorda Isacco il Siro, monaco poeta del VII secolo. Lui si chiedeva: "Che cos'è un cuore compassionevole?". Rispondeva: "È un cuore che arde per tutto il creato, per gli uomini, per gli uccelli, per gli animali, per il diavolo, per ogni creatura. E aggiungeva: "Prega bene colui che ama bene insieme uomo uccello e bestia. Prega meglio colui che ama meglio tutte le cose insieme, e grandi e piccole, perché il Dio che ci ama fece e ama tutto".

Avvento è svegliare Dio, è salpare. E' cambiare il cuore.

 

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