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TESTO Cosa faccio, di male?

don Alberto Brignoli  

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/11/2020)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si sente spesso gente che ragiona in questo modo, un modo tutto sommato legittimo, rispettoso, molto presente anche nel sentire comune; un ragionamento che anche noi, certamente, qualche volta avremo fatto: “Piuttosto che fare qualcosa e sbagliare, preferisco stare tranquillo e fare quello che posso, senza rovinarmi la vita più di tanto. Faccio le mie due o tre cosette, non mi impiccio degli affari degli altri - così come non voglio che gli altri si impiccino delle mie cose - e in questo modo vivo serenamente. Anche perché, se fai una cosa, ricevi un mucchio di osservazioni e di critiche; se ne fai un'altra esattamente contraria, ne ricevi altrettante... a questo punto, ho imparato a starmene tranquillo e ho adottato la filosofia del ‘vivi e lascia vivere', così vivo meglio. Non tolgo spazio a nessuno, non porto via niente a nessuno, e sono in pace con me stesso, con gli altri e con Dio”.

Che sia in pace con se stesso, non lo discuto; che lo sia anche con gli altri, posso presumerlo, considerato che non fa del male a nessuno; ma sul fatto che sia in pace con Dio, alla luce di quanto ascoltato nella parabola di oggi, qualche dubbio in più mi viene... Eh, sì: perché la logica del “vivi e lascia vivere” non rientra nell'ottica delle cose di Dio; men che meno quella del “non faccio del male a nessuno, per cui sono a posto”. Forse è il caso che, ogni tanto, quando chiediamo perdono a Dio all'inizio della messa con le parole del “Confesso”, poniamo attenzione a tutte le modalità in cui confessiamo di aver peccato: “pensieri, parole, opere” e soprattutto “omissioni”, ovvero tutto ciò che avremmo avuto l'opportunità di fare e non abbiamo fatto. Di bene, ovviamente: sbagliando, magari; con tante imprecisioni, senz'altro; a volte rovinandoci un po' la vita, non c'è dubbio... del resto, se non fai nulla stai pur certo che non sbaglierai mai. Tranne che in una cosa: nell'omissione, ovvero - semplicemente - nel non averlo fatto.

Ogni occasione di fare il bene che viene omessa, è un'occasione persa, e non torna più; ogni opera di bene che potevamo fare e non abbiamo fatto - domenica prossima il vangelo ce lo sbatterà impietosamente in faccia - non solo resterà incompiuta, ma contribuirà a firmare la nostra condanna. Che condanna? Quella di arrivare alla fine della vita ed esserci accorti di averla sprecata inutilmente, invece di averla vissuta con intensità fino alla fine, poca o tanta che essa sia. Perché è inutile dare la colpa a Dio della nostra accidia e della nostra inoperosità! Dio ci salva, certo, con la sua Grazia, previamente e indipendentemente dalle nostre opere; ma il segno evidente che noi abbiamo accettato la sua Grazia e che essa sta operando in noi, è dato dal nostro impegno nel costruire il Regno di Dio, tanto o poco sia stato quello che abbiamo potuto e che possiamo fare!

Piantiamola di giustificarci di fronte a Dio e al mondo intero, adottando lo stile dell'ultimo servo della parabola: “A me il Signore non ha dato molto come agli altri, io non sono stato così fortunato, io non ho tutti quei doni e quei talenti - a parte il fatto che un talento di allora corrispondeva a una trentina circa di chili d'oro... -; il Signore è troppo esigente, con lui non si scherza, non si possono fare le cose così tanto per farle...; e poi, Dio mette sempre un po' di paura, non è che ti stimoli più di tanto a fare il bene, visto che è sempre lì pronto a giudicare quello che fai...; e tra l'altro, a lui va bene solo una certa categoria di persone, alle quali dona un mucchio di buone qualità e di talenti, invece a me non ha proprio preso in considerazione...”.

Il “vittimismo spirituale”, quello per cui attribuiamo a Dio le colpe delle nostre inettitudini, è una delle peggiori sensazioni che possiamo sperimentare nella nostra vita da credenti. Perché invece di piangerci addosso per quello che possiamo o non possiamo fare, per quello che siamo capaci o meno di fare, per le poche o tante doti che il Signore ci ha dato, non ci tiriamo indietro le maniche e ci diamo da fare per costruire il Regno di Dio, che tra l'altro ci è stato da lui esplicitamente affidato? Per quale motivo? Per paura di sbagliare?

Quante occasioni perdute... quante possibilità di dimostrare il nostro amore a Dio e ai fratelli andate sprecate solo per la paura di rischiare... quante occasioni di vivere la nostra vita fino in fondo, solo perché convinti che con noi Dio non è stato generoso come con altri... Non stiamo con le mani in mano, non facciamo una buca nel terreno per nascondere noi stessi e ciò che abbiamo, convinti, così, di conservarci irreprensibili in eterno: saremo “eterni” nella misura in cui ci doniamo, moltiplichiamo l'amore nella misura in cui lo sprechiamo per gli altri, otteniamo la nostra ricompensa nella misura in cui non ce ne stiamo con le mani in mano!

Ed è bello che la Chiesa, una volta ogni tanto, abbandoni il suo maschilismo imperante, e attraverso la liturgia prenda come modello di operosità e di laboriosità per il Regno dei Cieli una donna; se il servo maschio della parabola dei talenti è l'emblema del credente fannullone e accidioso, la donna laboriosa del libro dei Proverbi viene esaltata, nella prima lettura, come il simbolo di chi non sta con le mani in mano in attesa del Regno. “Ben superiore delle perle è il suo valore”, e anche se la bellezza e il fascino sono fugaci e illusori, il frutto delle sue mani è motivo di riconoscenza e di lode.

Non c'è che dire: una bella lezione a noi maschietti! Ma non perdiamoci d'animo, perché - uomo o donna che sia - a nessun cristiano è consentito di addormentarsi, lasciando fuggire le occasioni per fare il bene: un giorno o l'altro, il padrone torna e ci chiederà di regolare i conti. E non sarà sufficiente rispondergli: “Non ho fatto niente di male”!

 

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