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TESTO Commento su Giovanni 18,33c-37

don Walter Magni  

Domenica di Cristo Re (Anno A) (08/11/2020)

Vangelo: Gv 18,33c-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Mentre celebriamo l'ultima domenica dell'anno liturgico dedicata a Nostro Signore Gesù Cristo, re dell'universo siamo invitati a decidere se attenerci a una visione mondana della regalità di Gesù e della Chiesa, carica di sfarzo, di retorica e di potere, o alla realtà di un Re crocifisso per amore, umiliato sino alla morte. Quale regalità vincerà alla fine? Gesù, infatti, ci ricorda: “voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33)

“Dunque, tu sei re?”
Diamo qualche elemento di contesto all'episodio evangelico che racconta del dialogo tra Pilato e Gesù, nell'imminenza della Sua condanna alla crocifissione. L'incontro avviene a Gerusalemme, nel palazzo del Procuratore in un venerdì di aprile dell'anno 30. Al tramonto sarebbero iniziati i grandi festeggiamenti della Pasqua ebraica e nelle case veniva sacrificato l'agnello che poi sarebbe stato servito per la cena solenne della sera. Nella notte precedente era stato arrestato un certo Gesù di Nazareth che i signori del tribunale ebraico avevano condotto al procuratore romano Pilato perché Lo processasse, giustificando anche secondo la legge romana la Sua condanna a morte. “Tu sei re?”, domanda Pilato a Gesù, attraversato forse dal timore di un complotto popolare che Gesù avrebbe potuto capeggiare. Gesù risponde sicuro: “Sì, io sono re”, ma specificando subito dopo di non essere un “re di questo mondo”. Le informazioni che Pilato aveva ricevuto contrastavano, infatti, con quanto gli era stato riferito a riguardo di Gesù. Come poteva essere re un uomo che proveniva da Nazaret? Dalle origini così modeste, senza titoli nobiliari da esibire. Ai suoi occhia appariva come fosse un visionario, che aveva scelto i poveri e i pezzenti per darSi una reputazione, anche se di Lui si diceva che facesse cose prodigiose. E ora Si proclama re, ma dove vuole andare? “Sì, io sono re”, ripete Gesù a Pilato spiazzandolo. Introducendo in lui qualche dubbio, qualche domanda. Forse anche Pilato avrebbe voluto capire meglio il mistero che si nascondeva in quel Gesù che gli stava davanti.

Un re crocifisso
La regalità di Gesù non ha confuso solo Pilato. Ci sta davanti per sempre confondendo anche i nostri pensieri. Così come continuamente ci confonde la Sua morte crocifissa. Sino allo scandalo. Apparteniamo anche noi a un mondo, a una cultura che farà sempre fatica ad accogliere la logica che la regalità, la signoria del Dio che Gesù ci ha rivelato passi attraverso l'esperienza dura e insopportabile della morte e della morte di croce. Come dice Paolo: “egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Ef 2,6-8). Gesù, mentre proclama d'essere re, sta semplicemente affermando la Sua totale disponibilità nei confronti della volontà del Padre Suo, della volontà esplicita di Dio di venirci incontro così, di volerci bene così, di conquistarci così. Troppe volte, dominati dall'ansia del futuro e dall'angoscia del pericolo, ci rivolgiamo ad altri «re». Solo l'amore e la fiducia che ne deriva liberano l'uomo dalla fobia e dalla tirannia della sua presunzione. Oggi, Signore, ci inviti ad alzare il capo e a guardare nel tuo futuro. Tu, Re di misericordia, ricordati di noi nel tuo Regno, facci percepire il palpito del tuo cuore. Un mondo disgregato dalla diffidenza, dal dubbio e dallo scetticismo trova solo in te la salvezza. Il tuo Regno non è fatto di splendido isolamento, ma di profonda solidarietà con l'umanità redenta.

Che attrae tutti a Sé
Quella di Gesù, dunque, è una regalità che sostiene caparbiamente il primato di un Dio che Si concede, che Si dona, nella Sua stessa vita. “Io sono nel Padre e il Padre è in me”, ci ripeterebbe il Vangelo (Gv 14,11). Una regalità che non incute timore, che ci raccoglie e ci raduna. Una regalità che ci attrae. Come ci aveva preannunciato: “E io, quando sarò innalzato attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Del resto, c'è un fatto che ancora oggi ci stupisce per la sua forza e la sua capacità di creare anche reazioni avverse e contrarie. La gente, anche tanti non credenti, ha fatto della croce sulla quale Gesù è salito come su di un trono, uno strumento capace di caricarsi di molti significati e diverse finalità. Le stesse discussioni sulla presenza del crocifisso in una scuola o nell'aula di un tribunale hanno involontariamente denunciato che la croce di Gesù è un segno che ti obbliga a prendere una posizione, a comprometterti. E intanto la gente semplice e i poveri in genere si affidano alla croce di Gesù come fosse l'ultima sponda o un rifugio di consolazione. Ci resta solo l'opportunità di lasciarci attrarre ancora da Lui, semplicemente. Simone Weil, una donna che si è fermata sulla soglia della fede cristiana senza entrarci, scriveva che Gesù crocifisso e l'umanità sono due amanti che hanno sbagliato solo il luogo dell'appuntamento: “ciascuno è lì prima dell'ora, ma sono in due posti diversi, e aspettano, aspettano, aspettano. Lui è in piedi, immobile, inchiodato per la perennità dei tempi. Lei è distratta e impaziente. Sventurata se ne ha abbastanza e se ne va!” (Cahiers).

 

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