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TESTO Due comandamenti. Anzi, uno...

don Alberto Brignoli  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/10/2020)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Si sta un po' perdendo ora, nella catechesi dei ragazzi, la prassi consolidata di alcuni anni fa di insegnare loro - magari a memoria - i Dieci Comandamenti. E devo dire che un po' mi dispiace... per carità, sono perfettamente consapevole che oggi la catechesi deve saper parlare alle giovani generazioni con un linguaggio accattivante, consono alla loro capacità di ascolto, adeguato all'epoca che esse vivono, altrimenti si rischia di non trasmettere loro nulla della vita di fede. Però è altrettanto vero che i Dieci Comandamenti (ma sarebbe più corretto dire “le Dieci Parole” di Dio al popolo dell'Esodo) hanno dentro di sé, in maniera sintetica e facile da memorizzare, una sorta di vademecum per l'etica e il comportamento del credente di ogni epoca e di ogni luogo: oserei dire anche di ogni religione, visto che quello che Mosè ha lasciato al popolo come parola del Dio d'Israele potrebbe tranquillamente essere applicato o attribuito a qualsiasi espressione religiosa, non solo a quella ebraica o a quella cristiana. Un linguaggio universale, insomma, che riesce a parlare veramente a tutti.

Io mi sono chiesto come mai ciò che viene espresso dai Dieci Comandamenti del Libro dell'Esodo riesce a colpire così nel profondo l'animo di ogni uomo e di ogni donna attenti ai valori che contano. E la risposta sta in una piccola parola che a sua volta sintetizza queste Dieci Parole: amore. Ciò che Dio ha dettato al popolo per mezzo di Mosè nell'esperienza del deserto ha la sua radice nell'amore (quello di Dio per il suo popolo) e si esprime nell'amore (quello che l'uomo è chiamato a compiere).

Spesso, i Dieci Comandamenti (così come altri precetti presenti nella Scrittura) ci sono stati presentati come un insieme di norme da compiere per sentirci a posto con Dio e con la nostra coscienza, o ancor peggio come qualcosa che ci potesse evitare, da parte di Dio, i meritati castighi per le nostre inadempienze: e si è perso così di vista lo spirito più vero e più profondo dei comandamenti, quello dell'amore. Non ha senso rispettare i comandamenti di Dio se non lo si fa con amore e per amore. E quello che più colpisce, è che di questi Dieci Comandamenti, solamente i primi tre riguardano il nostro rapporto con Dio, i nostri “doveri” verso di lui, che dev'essere messo al primo posto nella nostra vita, dev'essere rispettato come si conviene a un Dio, dev'essere celebrato attraverso riti e feste, ovvero attraverso il culto. Ma tutti gli altri comandamenti riguardano il nostro rapporto con il prossimo, la nostra capacità di amare gli altri, a partire dai nostri genitori e parenti: rispettare la vita degli altri, anima e corpo, rispettare i loro affetti più profondi, rispettare ciò che a loro appartiene, evitare relazioni d'amicizia false o di comodo, sia nel parlare che nell'agire, sono quanto di più vero e di più profondo ci chiede Dio attraverso i Comandamenti. Che non sono solamente i Dieci che conosciamo e che sono ben elencati al capitolo 20 del libro dell'Esodo, ma sono anche tutte quelle norme che li specificano e li definiscono nei capitoli a seguire, come abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi, che non per niente esprime ancora gesti di attenzione e di amore nei confronti dell'altro: il rispetto verso lo straniero e verso le persone sole, il prestito senza usura e la delicatezza nei confronti dei più poveri. Tutto questo ci dice una cosa semplice, ma che spesso dimentichiamo: non c'è amore e rispetto nei confronti di Dio, della sua legge e dei suoi precetti se non c'è rispetto e amore nei confronti degli altri.

In quest'ottica è da comprendere la risposta di Gesù al dottore della Legge che, per metterlo alla prova sulla sua conoscenza della parola di Dio, gli chiede quale sia “il grande comandamento” nonostante, beninteso, lo sapesse a memoria come ogni buon ebreo, così come noi imparavamo a memoria i Dieci Comandamenti. E Gesù risponde proprio come ogni buon ebreo avrebbe risposto, con la seconda parte del cosiddetto “Shemà Israel” riportato al capitolo 6 di Deuteronomio: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Di fatto, era ed è ancora la preghiera principale del pio ebreo (paragonabile, come importanza, a quello che per noi è il Padre Nostro): pronunciando quella preghiera, il pio ebreo affermava tutta la sua fede, ribadiva con tutto se stesso (amore, intelligenza, forza d'animo) che Dio è al di sopra di tutto e va amato sopra ogni cosa. Da questa fede scaturiscono poi tutti i precetti della religione ebraica, iniziando proprio dalle Dieci Parole, dai Dieci Comandamenti. Le due cose non potevano andare disgiunte: chi pregava con le parole dello Shemà affermava di voler seguire i Dieci Comandamenti, e chi diceva di seguire i Dieci Comandamenti, non lo poteva fare senza aver prima affermato la propria fede, il proprio amore, il proprio attaccamento a Dio. E con questo, Gesù poteva benissimo dirsi a posto, rispetto alla richiesta del dottore della Legge: risposta esatta.

Ma non è così: perché il senso di ogni precetto, di ogni comandamento, di ogni professione di fede, tanto per l'ebreo di allora come per il cristiano di oggi, sta in un altro comandamento, “il secondo”, come lo definisce Gesù, non per importanza (infatti dice che è “simile”) ma perché inscindibile dal primo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non esiste che uno dica di amare Dio con tutto se stesso (anima, cuore, mente) se in questo “se stesso” non c'è spazio anche per il prossimo.

Certo, ce lo siamo detti un mucchio di volte che non si può dire di amare Dio se non si ama il prossimo. Ma è un conto dirlo e un conto farlo. È un conto professarlo e un conto attuarlo. È un conto rispondere bene alla domandina da catechismo e un conto declinarla nei comportamenti concreti della vita di ogni giorno. Ovvero? Beh, basta prendere i primi tre dei dieci Comandamenti, quelli rivolti a Dio, che altro non fanno che ribadire lo Shemà, e declinarli con gli altri sette, quelli che riguardano il nostro rapporto con gli altri, la nostra capacità di amare gli altri, e ci rendiamo conto che le cose sono un po' diverse...

Ne sentiamo tanta di gente che dice “Dio per me è tutto”: speriamo anche che voglia bene e porti rispetto ai suoi genitori. Ne sentiamo tanta di gente che dice “Io non bestemmio, non ho mai avuto quel vizio”: speriamo anche che sia rispettoso delle cose altrui, che non sottragga agli altri ciò che spetta loro, che sia onesto nei confronti della società, che paghi il dovuto ai suoi operai, in definitiva che non rubi nulla a nessuno. Ne sentiamo tanta di gente che dice “Io santifico le feste, perché vado a messa tutte le domeniche”: sarebbe fantastico se questo corrispondesse anche a una vita fatta di discorsi veri e non di menzogne; di rispetto delle persone che si amano, del loro corpo, dei loro tempi e delle loro idee; di rispetto della vita in tutte le sue forme; di rispetto dell'altro, che proprio perché è altro, è diverso da noi.

“Non puoi amare Dio se non ami il prossimo” significa, in concreto, tutte queste cose. Pensiamoci bene, quando affermiamo la nostra fede in Dio.

 

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