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TESTO Ed io avrò cura di te

don Angelo Casati  

Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno A) (18/10/2020)

Vangelo: Mt 21,10-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 21,10-17

10Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

12Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13e disse loro: «Sta scritto:

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera.

Voi invece ne fate un covo di ladri».

14Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. 15Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, 16e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto:

Dalla bocca di bambini e di lattanti

hai tratto per te una lode?».

17Li lasciò, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte.

Dedicazione del Duomo, memoria dei giorni in cui il nostro Duomo fu dedicato a Dio. Giorni al plurale, e non una sola volta, segno che il Duomo è in una storia, nell'avventura delle donne e degli uomini, e non immobile nel tempo. A volte penso che il nostro Duomo ce lo ricordi anche con quel suo essere in perpetua costruzione o ricostruzione. La "Fabbrica del Duomo" - così la si chiama - non ha sosta e porta impronte del tempo. Come la chiesa di cui è segno. Ma poi, aggiungo - e voi mi perdonate -: è la sua stessa immagine a non sopportare contenimenti. Tu sbuchi sulla piazza e l'edificio è trasalimento, è apparizione. Ti appare come un canto nel cielo e nella piazza. Canta in noi che, abbacinati, sostiamo. Sostiamo perché ognuno di noi lo sente come suo: certo senza rivendicare una proprietà, che è delle moltitudini, ma nella moltitudine ci sei anche tu. E' dunque tua casa.

Casa è immagine sulla quale un poco vorrei indugiare, casa e cuore. Casa perché è parola che ho ritrovato nei testi di oggi. Nel brano del profeta Baruc che oggi iniziava con una esplosione di ammirazione: "O Israele quanto è grande la casa di Dio". Poi nella lettera a Timoteo: "In una casa grande però non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di argilla". E infine nel vangelo con un monito inquietante di Gesù: "Disse loro: 'Sta scritto: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri". Ebbene la parola "Duomo" - raramente ci soffermiamo - viene da "domus", casa: casa di Dio e casa del suo popolo.

Il Duomo poi, il nostro, sembra legare, con le sue fondamenta antiche e le sue guglie, il cielo e la terra. Quasi li volesse stringere in una alleanza. Che è quella imperdibile di Dio. Il Duomo nel cuore della città sembra negare la distanza tra le cose di Dio e le cose degli umani, la storia di Dio e quella della terra. Non avrebbe senso separare Casa dice vicinanza: non avrebbe senso una casa nel deserto. Mi fa gioia pensare che la casa di Dio stia tra la case degli uomini e delle donne. Mi dà fiducia: nessuna distanza. Così come un po' mi intriga il fatto che non ci sia soluzione di continuità, non un minimo di stacco, tra questa chiesa, in cui stiamo celebrando, e la vita: le sue mura da un lato si appoggiano a un palazzo, dall'altro a un negozio, che raccontano vita. E dunque la chiesa racconti la vita. Guàrdati da una religione che distanzia ciò che Dio ha unito.

La parola "casa" riferita al Duomo e alla chiesa, dice relazioni e non dominio. E dunque allontana sdegnosamente la mala ombra di ogni forma di clericalismo. Nella casa non assistiamo a esaltazioni di ruoli, tu entri e ti senti di casa al pari di tutti, accolto perché sei tu. Luogo dove non conta il potere, non il dominio, si respira aria di casa. Se in una chiesa, in una comunità si insinuano pretese di dominio, rigurgiti di vanità, il virus del clericalismo, quella chiesa, quella comunità ha finito di essere casa. Ha espropriato Dio, per celebrare fantasmi di umanità. Occorre stare in guardia e pregare.

Proprio la scorsa domenica all'Angelus papa Francesco ci chiedeva di pregare per questo. Ha detto: "Vorrei ricordare l'intenzione di preghiera che ho proposto per questo mese di ottobre, che dice così: "Preghiamo perché i fedeli laici, specialmente le donne, partecipino maggiormente nelle istituzioni di responsabilità della Chiesa". Perché nessuno di noi è stato battezzato prete né vescovo: siamo stati tutti battezzati come laici e laiche. I laici sono protagonisti della Chiesa. Oggi c'è bisogno di allargare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa, e di una presenza laica, si intende, ma sottolineando l'aspetto femminile, perché in genere le donne vengono messe da parte.

Dobbiamo promuovere l'integrazione delle donne nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. Preghiamo affinché, in virtù del battesimo, i fedeli laici, specialmente le donne, partecipino maggiormente nelle istituzioni di responsabilità nella Chiesa, senza cadere nei clericalismi che annullano il carisma laicale e rovinano anche il volto della Santa Madre Chiesa". E ora un breve cenno alla parola "cuore". A volte ci viene spontaneo dire che il Duomo è il cuore di Milano, il cuore della nostra città L'immagine del Duomo come cuore ci rimanda alla bellezza delle relazioni da vivere tra noi e da immaginare e creare sulla terra: "Fratelli tutti". E non a parole, se c'è il pulsare di un cuore. Senza cuore non c'è casa. O, se c'è, è casa solo di nome. E il tempio diventa spelonca da cui cacciare ladri e profittatori, pastori cui non interessa del gregge, mercenari.

Non possiamo non pregare ner papa Francesco per il suo impegno di purificazione del tempio: purificare dai mercenari gli ambiti ecclesiali, anche i più alti. Nella lettura del vangelo forse ha colpito anche voi la mutazione che avviene nel tempio di Gerusalemme, cambia l'aria. Abbiamo letto di Gesù che caccia dal tempio i senza cuore. Dice: "Voi ne fate un covo di ladri". E subito il vangelo aggiunge: "Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì". Cambia l'aria: il tempio diventa luogo della compassione, ciechi e storpi si trovano di casa e i bambini, ingelosendo a morte le gerarchie, acclamano a squarciagola il Rabbi di Nazaret.

Cambia l'aria, finalmente c'è cuore, il tempio si fa luogo della compassione, della libertà e della spontaneità. Vorrei rimanere su questa immagine. Questa è la cosa da portare nel mondo. Ieri l'altro fui attratto da un titolo di giornale: "Ed io avrò cura di te". Massimo Recalcati commentava il romanzo di Camus, "La peste". Durante la grande pestilenza a Marsiglia, degli ottanta religiosi di un convento solo quattro sopravvivono, tre di questi fuggono, ma almeno uno fu capace di restare. Questa dunque la consegna: "Essere tra quelli che sanno restare. Saper restare è effettivamente il nome primo di ogni pratica di cura. Significa rispondere all'appello di chi è caduto. In termini biblici è ciò che illumina la parola "Eccomi", che rende umana la cura umana non abbandonando nessuno alla violenza inaccettabile del male. Non dando senso al male, ma restando accanto a chi ne è colpito".

Il Duomo, la casa, il cuore, "ed io avrò cura di te".

 

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