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TESTO Mettiamo Dio al suo posto

don Alberto Brignoli  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (18/10/2020)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Mentre stavo preparando la riflessione per questa domenica - a me particolarmente cara, perché è la Giornata Missionaria Mondiale - seduto alla scrivania, guardavo i miei libri riposti in maniera ordinata sugli scaffali della mia libreria e pensavo a quanto tempo ho impiegato per metterli a posto, dal giorno in cui ho traslocato qui a Selvino, un anno fa. Ho terminato di riordinarli durante il lockdown di questa primavera, e questo non perché siano numerosi, ma un po' per pigrizia e un po' perché non riuscivo a decidermi con quale ordine e schema metterli al loro posto, per poterli poi consultare più facilmente. Li ho divisi certamente in altezza, come a me piace fare, ma soprattutto per categorie o per materie: e lì, discernere a quale categoria o materia possa appartenere un libro (soprattutto se si parla di aspetti della teologia) non è certo facile. Molte materie si compenetrano, molti argomenti sono presenti in vari aspetti e in varie branchie della teologia: insomma, catalogare libri - soprattutto questo genere di libri - è impresa ardua, ma comunque abbastanza fattibile, e una volta che lo si è fatto, si è soddisfatti e si spera di avere almeno uno sguardo d'insieme su ciò che costituisce il bagaglio dei nostri studi e della nostra formazione.

Rileggendo il brano di vangelo di oggi - molto noto, e divenuto quasi un'espressione proverbiale - mi chiedo come mai, a noi che siamo capaci di catalogare centinaia e centinaia di tomi in una libreria, e che ci siamo evoluti talmente tanto da riuscire a riordinare all'interno di un lettore elettronico - grande come una mano - qualcosa come 3-4.000 libri, non ci sia ancora riuscito di mettere al proprio posto Dio... Abbiamo riordinato milioni di copie di libri, lungo i secoli, nelle più grandi librerie del mondo, ma nello scaffale della nostra vita non siamo ancora riusciti a mettere, al posto che gli spetta, Dio. Lo confondiamo con mille cose, lo mettiamo in tutte le salse, o - al contrario - lo escludiamo da tutto ciò che facciamo e che pensiamo, come se egli non esistesse o come se dovessimo utilizzarlo solo in caso di necessità: poi, però, non sappiamo più che spazio dargli nella nostra vita.

È una cosa che viene da lontano, questa, se pensiamo che addirittura Gesù, a suo tempo, si vide costretto a ricordare alle autorità religiose (quindi a quelli che con Dio avevano una certa familiarità) che a Dio va dato il suo giusto spazio nella nostra vita, e che questo spazio non glielo creiamo noi in mezzo alle tante cianfrusaglie della nostra anima, oppure là dove ci avanza un piccolo spazio nella libreria della nostra vita. Dio deve avere il suo spazio ben preciso nella nostra vita, ed è lui che lo stabilisce: inutile dire che non si tratta di uno spazio qualsiasi, e che neppure è soggetto alle nostre categorie. Il suo è uno spazio ben preciso, ed è al centro della nostra anima e del nostro vivere. Quando invece siamo noi a pretendere di catalogare Dio secondo i nostri schemi, ne esce ciò che farisei ed erodiani hanno fatto nell'episodio narrato da Matteo oggi: usare Dio e le cose di Dio per giustificare, condannare o benedire le cose del mondo, i nostri affari, i nostri interessi.

L'intento di questi due gruppi (farisei ed erodiani che, beninteso, nel panorama sociale della Palestina di allora non si sopportavano, ma quando c'è da usare le cose di Dio per i propri interessi, tutti diventano stranamente amici...) era quello di cogliere in fallo Gesù sulla questione del tributo a Cesare. Si trattava di una tassa sul cittadino, segno della sottomissione al potere di Roma: approvarla, significava riconoscere che all'imperatore bisognava sottomettersi, in quanto più grande di Dio e del suo potere; rifiutarla, voleva dire - in nome di Dio - sovvertire un ordine sociale e politico, creando le basi per una rivoluzione. In ogni caso, si tirava in ballo Dio e la sua autorità per sapere se fosse più grande o più piccola di quella di Cesare Augusto.

Ma Gesù sa bene che Dio non va confuso come si confonde un libro qualsiasi in mezzo a tanti volumi di una libreria: e allora, come si è tenuti a dare allo stato ciò che è dello stato perché gli appartiene e perché lo amministri per il bene di tutti, così siamo tenuti a dare a Dio il posto che gli compete nella nostra vita. Un posto che non è in contrasto e nemmeno “inciucia” con il potere politico: è un'altra cosa, e come tale va trattato.

Ma noi, oggi, non siamo più capaci di mettere Dio al posto che gli spetta: prima di tutto mettiamo noi stessi e le cose che ci interessano, e poi arriva Dio, nella migliore delle ipotesi come un tappabuchi per quei momenti liberi della nostra vita che non sappiamo come occupare; nella peggiore delle ipotesi, come qualcosa che serve a giustificare i nostri interessi e le nostre scelte. E questo lo vediamo nella vita di ogni giorno, quando uomini e donne chiamati ad amministrare le cose pubbliche usano Dio e la religione per rafforzare la propria posizione politica, o - per un altro verso - quando uomini e donne di Chiesa cercano di andare a braccetto con il potere per fare i propri affari, mascherandoli come opera di carità o di propagazione della fede.

In questa giornata in cui siamo chiamati ad avere uno sguardo universale sulla vita della Chiesa e sulla diffusione del messaggio di Gesù sino agli estremi confini della terra, mi viene naturale pensare all'opera di tante missionarie e di tanti missionari sparsi davvero in ogni angolo del pianeta, inviati agli uomini e alle donne del nostro tempo a ricordare loro qual è il posto di Dio nella loro vita. E spesso lo fanno pagando di persona, quando si scontrano con mentalità corrotte che vorrebbero usare la fede e l'opera della Chiesa per rafforzare il proprio potere sul territorio e sulle popolazioni più povere, oppure quando hanno a che fare con quella mondanità che, anche all'interno della Chiesa - soprattutto di quelle Chiese di più antica tradizione - si serve dell'influenza e dell'appoggio dei potenti per fare il proprio interesse, spesso gettando una patina di identità cristiana su ciò che di cristiano non ha proprio più nulla.

Siamo tanto bravi a catalogare e riordinare le cose della nostra vita: preoccupiamoci, prima di tutto, di rimettere Dio al posto che gli compete nella nostra esistenza, se è vero - come diciamo - che crediamo in lui.

 

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