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TESTO Il dovere e l'umiltà di Dio

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (18/10/2020)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Attraverso la figura di Ciro il Grande, che dopo l'esilio di Babilonia provvederà alla ricostruzione di Gerusalemme e del tempio, Dio nelle parole di Isaia annuncia la sua gloria e il suo potere indomito. Anzi, la stessa opera di ricostruzione nella scelta dello straniero monarca Ciro, avviene proprio perché tutti riconoscano che “Io sono il Signore, non ce n'è un altro; fuori di me non c'è altro Dio”, che a lui appartiene ogni potere e ogni gloria e tuttavia queste vengono impiegate sempre a beneficio del popolo d'Israele. L'essere di Dio Ente Supremo e padrone del cosmo e della storia non gli preclude di potersi collocare dalla parte dell'uomo in tutto e per tutto e di poter manifestarci amore e misericordia illimitata, senza pregiudizi e senza condizioni.

La signoria di Dio non prescinde dalla misericordia, anzi è commista ad essa e di essa è espressione, per cui il regnare di Dio si realizza sempre a beneficio dell'uomo, anche quando sembri che l'esercizio della sua maestà sia impositivo e categorico.

Nel caso appena descritto, per mezzo di Ciro Dio intende raggiungere l'uomo nella realizzazione dei criteri di una comune convivenza pacifica, fondata sul bene comune e sul procacciamento dei diritti di tutti.

Come si diceva nelle liturgie precedenti attraverso le parabole del Regno, in Gesù, che è il Figlio di Dio fatto uomo, Dio si rende anche “sposo” dell'umanità, amico e compagno di viaggio e percorre tutte le vie di convivenza per recare all'uomo compagnia e solidarietà.

Non per niente per convivere con l'uomo Dio si è umiliato facendosi uomo egli stesso, vivendo e soffrendo nelle condizioni estreme e consegnandosi a una morte ignominiosa: Cristo si è umiliato e sottomesso per essere il Dio con noi. Certamente sempre Signore, ma anche nostro alleato e compagno.

Paolo descrive il Figlio di Dio “Nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge”(Gal 4, 4 - 5), cioè sottomesso con umiltà alle istituzioni terrene alla pari di tutti gli altri. Anche Gesù quindi apprende l'obbedienza e la deferenza nei confronti dell'ordine costituito, vi si sottomette con umiltà e rispetto, anche considerando che ogni autorità terrena deriva da Dio.

Nella sua umiltà e mansuetudine, Gesù è di orientamento a tutti perché sulla terra si metta in atto la volontà di Dio anche in ordine alla politica e alla civiltà

Ed eccoci alla pagina evangelica di oggi, che vede farisei ed erodiani intenti a tendere un agguato dottrinale a Gesù, per coglierlo in fallo e per cercare un motivo qualsiasi per condannarlo. Gli domandano infatti: “E' lecito o no pagare il tributo a Cesare”?

Per “Cesare”si intende l'imperatore che all'epoca dei fatti è Tiberio, ma già a partire daAugusto qualsiasi imperatore era considerato il Divino, altisonante e grandioso, oggetto di venerazione alla pari della divinità. La figura dell'imperatore era però detestata dai movimenti nazionalistici del popolo giudaico, come gli Zeloti, che rivendicavano l'unicità del vero Dio di Israele.

Ai tempi dell'impero Romano tasse e tributi da versare all'erario erano numerose e di vario genere; vi era anche la cosiddetta tassa del “testatico” che imponeva che si pagasse annualmente una quota di denaro per ogni cittadino (a testa). E per i Romani pagare le tasse era non solamente un dovere civico, ma anche un atto di venerazione nei confronti dell'Imperatore invitto.

Veniamo alla domanda, suffragata anche da una sottile vena di lisciamento ipocrita e interessato: “Non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia nessuno”, cioè “sei imparziale assertore della verità”: se Gesù avesse risposto affermativamente (“Si, occorre pagare il tributo a Cesare”) sarebbe stato accusato di profanazione nei confronti dell'unico Dio di Israele al quale si doveva rispetto. Se avesse risposto negativamente (“No, non occorre pagarlo”) sarebbe stato tacciato di sovversione e di rivolta antiromana e così in effetti avverrà al momento del processo prima della condanna: Gesù sarà accusato di aver sobillato il popolo invitando tutti a non pagare le tasse e a farsi re al posto di Cesare (Lc 23, 2). Intanto però la risposta di Gesù, obiettiva e risolutiva, attesta anche alla possibilità di una certa “laicità” (non laicismo) dello Stato, per la quale è giusto ammettere che le istituzioni possano procedere non condizionate dall'ingerenza della religione, purché garantiscano la libertà di culto e di religione e promuovano il bene comune fra il popolo, non importa di quale matrice sia il governo. Anzi, Dio stesso per realizzare i suoi piani può avvalersi di espedienti lontani dalla religiosità medesima, come abbiamo appena visto a proposito del persiano Ciro il Grande e pertanto l'Imperatore e Dio anche se comportano due ambiti differenti sono in un certo qual modo complemetari.“A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” vuol dire infatti distinguere i doveri di responsabilità civile dagli imperativi etici della propria formazione religiosa. Il governo e la divinità sono due realtà distinte di fronte alle quali ci si atteggia con responsabilità nell'uno e nell'altro caso; e tuttavia sono anche dimensioni correlate: obbedire all'imperatore (= all'ordine costituito) è necessario per arrivare a Dio, riconoscendo nel sistema vigente la presenza dell'autorità divina medesima. Pagare le tasse diventa così un dovere morale oltre che civile. Di fatto, l'evasione del fisco, l'elusione dell'iva sugli acquisti, la fuga dalla dichiarazione dei redditi corrispondono a una inadempienza nei confronti dallo stesso Signore, perché disattendono il riconoscimento della presenza di Dio nell'autorità e contribuiscono allo sfacelo dell'economia del paese, e per ciò stesso ostacolano fortemente il progresso del paese e della società. Fra i doveri morali del cittadino cristiano vi è anche quello della partecipazione alla vita pubblica, dell'esercizio del voto e della collaborazione nell'interesse della collettività e per questo Cesare e Dio sono due realtà distinte ma complementari. Asservirsi all'istituzione terrena equivale ad essere ottemperante con i propri doveri religiosi. Due realtà distinte, ma complementari, dunque.

Ciononostante la seconda parte della pedagogia di Gesù: “E rendete a Dio quel che è di Dio” tende ad esprimere che l'obbedienza verso le istituzioni non va esercitata in senso acritico e amorfo: se il cittadino ha dei doveri nei confronti delle istituzioni, anche queste sono moralmente responsabili della libertà delle persone, della salvaguardia dei loro diritti e soprattutto della promozione del bene comune. Vi è un altro passo evangelico nel quale, sia pure indirettamente, si esprime questo concetto di obiettività da parte dello Stato in corrispondenza ai nostri doveri: Matteo 17, 25 - 27, nel quale Gesù si premura di incaricare Pietro di recarsi al mare e di pescare il primo pesce, dal quale estrarre un denaro con il quale pagare la “tassa del tempio” per sé e per lui. Gesù quindi si sottomette alle prescrizioni vigenti per non scandalizzare nessuno e per non venire meno al proprio dovere, però osserva a Pietro che “i figli dei re di questo mondo sono esentati dal pagamento dei tributi”, che le tasse si pretendono solo dagli estranei e non vi è imparzialità da parte dei governatori nell'esercizio della loro funzione. Occorre allora sottolineare il pieno equilibro della verità e della giustizia: doveri hanno i cittadini, doveri hanno anche coloro che ci governano.

 

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