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TESTO Il Signore custodisce la vita del suo popolo

don Walter Magni  

VII domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (11/10/2020)

Vangelo: Mt 13,3b-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Gesù oggi racconta alla gente la parabola, definita dagli studiosi della Parola, parabola dei quattro terreni. Subito dopo ecco che i Suoi discepoli Gli domandano: perché ci racconti delle parabole? E Gesù, rispondendo a loro, ci regala una spiegazione della parabola che potremmo intendere come una vera e propria omelia.

Dio nel quotidiano
Quando Gesù predicava era mosso dalla precisa intenzione di farSi capire dovendo parlare a tanta gente semplice, ma anche ai dotti scribi e farisei L'intenzione era precisa: stimolare la fantasia, l'intelligenza e il cuore dei Suoi interlocutori al fine di portarli a intuire la verità più profonda del volto e del cuore di Dio. Prendendo le distanze da un linguaggio astratto e complicato, tanti spunti Gli venivano dalla vita quotidiana della gente che aveva incontrato, dalla natura che Lo circondava. Così che paragonando il mistero di Dio alla vita concreta della gente ne risultasse con più evidenza non la logica di un Dio lontano, ma di un Dio che ti sta accanto, che percepisce e sente le fatiche, le gioie e i dolori della gente. Ritrovare Dio nella nostra vita e innestarlo nella vita della gente che incontriamo significa continuare l'opera di incarnazione avviata da Gesù con la Sua predicazione. “Nella vita che è sferruzzare, sferruzzare il quotidiano: i bambini che piangono nella casa, il telefono che chiama e tu sei ai fornelli, la sveglia che suona, il bagno sempre occupato, le auto in colonna, stare uno sull'altro nella metropolitana, la crisi del figlio, la notizia del terremoto, l'abbraccio infinito e quello negato” (A. Casati, Dio nel quotidiano). Gesù ci ha raccontato Dio nel quotidiano perché anche noi facciamo altrettanto. Per questo la gente Lo comprendeva senza fatica e se ne andava contenta d'averLo ascoltato. Soprattutto portandosi un frammento di Dio nel cuore. Rinnovando il desiderio di essere più attenti agli altri, più disposti nei confronti di Dio.

“Perché a loro parli in parabole?”
Proprio questo stile di Gesù fa sorgere nei Suoi discepoli una domanda: “Perché parli loro in parabole?'”. E i discepoli usano proprio il verbo parlare, non il verbo insegnare. È pur vero che il linguaggio di chi insegna rischia talvolta d'essere un po' astratto, arido e dunque distante dalla vita. Mentre il linguaggio vivace delle parabole, esplicitamente attento alle pieghe della vita, viene da dentro le nostre case, ti viene mentre guardi la riva del mare o quando, attraversando i campi, vedi un uomo che sparge semente col gesto solenne della mano. Usando il linguaggio delle parabole Gesù non ha però intenti definitori, da maestro. Allude al mistero di Dio e del Suo regno, ci fa intuire alcuni tratti, come volendo lasciare a noi di continuare nel ragionamento e nella riflessione. Come se le parabole fossero una provocazione. Il modo di parlare di Gesù è piuttosto del “come”. Di Dio è simile: “il regno dei cieli è simile” a un granello di senapa piccolissimo, a una perla preziosa, a una moneta che era stata persa e poi viene ritrovata, a una grande rete gettata nel mare. Come appunto dicesse: è così, ma è anche altro ancora. Immergendoti così in un mondo che, mentre lo assapori gustando la bellezza di una immagine, già ti prende e ti avvolge e ti conquista. Ecco perché Gesù parlava in parabola: come volesse che anche noi continuiamo a fare come Lui, cioè raccogliere dai frammenti della vita della gente le reliquie di Dio che a noi è dato di ricomporre nella vita della gente. Con tutta la nostra fantasia e tutta la nostra passione.

Gesù ci prende per mano.
Il modo di parlare di Gesù è ancora per noi oggi come un mare da solcare, sentendo che sempre ci tiene per mano e ci accompagna. Del resto, tutta la Scrittura ci parla continuamente di Dio servendosi di un linguaggio simbolico, allusivo. Convinta che di Dio si può parlare solo con grande discrezione. Tanto che il terzo dei Dieci Comandamenti recita proprio così: “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano” (Es 20,7). Come rimanendo sulla soglia del Suo mistero. Così Gesù non toglie questo velo, al punto che spesso, Lui che è il Figlio, ci parla del Padre con immagini impegnative e ponendoci persino delle domande a Suo riguardo. In questo senso dovremmo essere più discreti nel parlare di Dio. Dio non ci ha mai chiesto d'essere dimostrato a parole, ma accolto e mostrato con la nostra esistenza. Come ci farebbe bene pensare che anche le nostre certezze “non ci dispensano dalla fatica di interrogarci, dal timore di illuderci, dal bisogno di esaminarci con umiltà su quanto diciamo e su quanto operiamo ogni giorno” (C.M. Martini, Ripartiamo da Dio!). Così, del resto, ha fatto anche Gesù, che vedendo un giorno il gesto ampio di un seminatore, aveva intuito che c'era qualcosa che c'entrava con Dio in quel gesto smisurato. “Se avessimo occhi, cuore per guardare la vita, se avessimo la profondità degli occhi di Gesù, anche noi, di questa vita, comporremmo parabole. Racconteremmo di Dio con parabole e poesie, come faceva Gesù” (d. Angelo Casati).

 

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