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TESTO Amerai... Amerai

don Angelo Casati  

V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (27/09/2020)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 22,34-40

34Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

A volte si sentono emozioni, quasi sussulti e dici: "Che bello!". Leggevo i testi di questa domenica e mi dicevo: "Che bello!". Sì, perché sentivo l'invito: "Amerai... amerai...". E quasi a commuovermi era il pensiero che la fede ebraico-cristiana fosse tutta in questo verbo bellissimo. E che la mia fede sia in questo verbo: "amerai, amerai". E al futuro, anche a novant'anni o quasi, "amerai". E dovrei dirlo con una faccia felice.

Chiamato ad amare. Che poi è il verbo che fa una vita. Perché senza amore che vita sarebbe? Chiamati ad essere degli "amanti". E che io possa avere la faccia di uno che ama, perché l'amore prende anima e corpo. E mai la faccia di uno dal viso immobile, un viso contratto, che si guarda accuratamente da empatia, da passione, da tenerezze. "Amerai" e sentire che la mia vita, il mio futuro, è in questo verbo. E non in precettistiche e codificazioni pignolesche, meschine. E ognuno di noi sognarsi come una, come uno, che ama. Guardala, guardalo.

Bellissimo, il bello della mia fede, che sconfina anche in coloro che, pur non riconoscendosi, sono donne e uomini che amano. Guardali in faccia. Qualcuno, sentendomi esprimere così, potrebbe forse pensare a un eccesso di esaltazione, pensare che sono un po' fuori, ma un po' fuori sono sempre forse stato. Ma poi verrebbe da dire: "Ma se non c'è niente che mi innamora, che cristiano sono, che prete sono? Amerai. Non vorrei scandalizzare, ma qualcuno di voi certamente ricorda che Gesù il verbo "amare" lo usò scandalizzando per la donna entrata nella casa del fariseo: Lei a profumarlo sotto gli occhi dei difensori delle legge e lui che dice: "Ha molto amato".

Ritorna il verbo. E che cosa potrei augurarmi per il giorno dell'incontro, io che di peccati potrei contarne molti, se non che lui potesse dire: "Ha tanto amato"? No, "tanto", no! Ma, " ha amato". E' vero anche - e lo devo confessare - che accanto al senso di gioia per una fede ricondotta all'amare, si accompagna - senza però coprire la gioia - un senso di tristezza per una educazione alla fede dove nella sfera dell'etica era prevalente tutt'altro. L'amare non cancellato totalmente, ma impallidito, come cosa privata di sentimenti e di passione, parola senza storia, mentre l'amore o nasce da una storia o che amore è? Non si amano fantasmi. Anche Dio, invisibile, ma in una storia, potrei forse amarlo se fosse un fantasma?

E potrei forse amare una donna o un uomo riducendoli a nomi e fantasmi? Ecco perché nel libro del Deuteronomio l'"amerai" è preceduto dalla memoria di una storia: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze...". Non ritroviamo questo inizio del comandamento nella redazione di Matteo, ma lo ritroviamo preciso nelle parole di Gesù riferite da Marco nel suo vangelo, dove, alla domanda del fariseo sul primo comandamento, Gesù risponde: "Il primo comandamento è: Ascolta, Israele, il Signore è nostro Dio, è l'unico Signore" (Mc 12, 29-30). Ricorda la storia e amerai.

Ricorda. Ci sono segni, rileggi la storia, non sei stato tu. Sono parole di una bellezza struggente: sulle labbra di Mosè, cui sarà negato l'ingresso nella terra promessa, parole per il popolo che entrerà: "Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà fatto entrare nella terra che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti, con città grandi e belle che tu non hai edificato, case piene di ogni bene che tu non hai riempito, cisterne scavate ma non da te, vigne e oliveti che tu non hai piantato, quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guàrdati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile".

Non so se a voi capita qualche volta - a me capita spesso - la sensazione di non essere stato io: come mi è venuto quell'intuizione, quel moto del cuore, quel gesto? Non sono stato io, o forse anch'io, ma non solo, con un Altro. E allora come non amare, e non finire mai di amare? Amerai... E' che a volte ci si dimentica. A me capita. Non so se a voi. E allora mi ritornano le parole, colme di poesia, di Mosè, che invita a scrivere la storia sulle pareti di casa, certo su quelle dell'anima o a farne pendaglio sulla fronte, come a dire che siano luce nei tuoi occhi, luce per le scelte quotidiane.

E se alla fine scrivessimo: "Amerai, amerai", su qualche parete di casa, o dell'anima? Per non scordare, quando esco di casa e quando ritorno: ho amato? Ho visto camere di ragazzi, colme le pareti di foto e di testi a loro cari. Nel brano del Deuteronomio c'è un invito non solo a ricordare, ma anche a passare ai figli la parola che è in assoluto la prima: "Amerai, amerai". A volte penso che, una parola come questa, i nostri figli la scriverebbero sulle pareti della loro camera o del loro cuore, una parola che trascina anche loro: "Amerai, amerai". Con la concretezza che loro danno alla parola "amare".

La concretezza che dà Gesù, quando lega primo e secondo comandamento. Come a dire che la carne di Dio oggi da amare è quella dell'altro. Un richiamo alla concretezza che ho ritrovato nella parole del card. Martini in "Conversazioni notturne a Gerusalemme". Alla domanda: "Qual è la più importante regola di condotta che Gesù ci insegna nei rapporti umani?" risponde: "La più importante è: ama il prossimo tuo, amerai il prossimo tuo come te stesso. Oppure, come recita l'originale ebraico: amerai il prossimo tuo perché egli è come te.

Se sono consapevole che l'altro è fatto della mia stessa pasta, che ha gli stessi pregi e difetti che ho io, questa vicinanza dà anche la forza di volergli bene. Se mi sento separato dall'altro e penso che lui sia cattivo e io buono, che lui sia debole e io forte, allora non gli vorrò bene. Se so che siamo tutti nella stessa barca, questo pensiero susciterà in me compassione e e amore. Amerai il prossimo tuo perché egli è come te, dice Gesù.

Gesù cita le Sacre Scritture, il nostro Antico Testamento, dicendo: dobbiamo proteggere i deboli, dobbiamo perdonare i colpevoli. Dobbiamo imparare a risolvere conflitti, a eliminare l'ostilità, a mettere pace. Questo modo attivo di amare è la principale regola di condotta che Gesù dà agli esseri umani. Significa anche non fermarsi qui, non dire mai: noi siamo a posto e non abbiamo più nulla da aggiungere".

Io so che ho molto da aggiungere, per me il verbo è al futuro: "Amerai".

 

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