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TESTO Chi è ingiusto?

don Alberto Brignoli  

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (27/09/2020)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

“Non è retto il modo di agire del Signore”: l'esordio della Liturgia della Parola di oggi non è certo dei migliori...e ne ha ben donde, il profeta Ezechiele, se anche interpreta i nostri sentimenti! È un'affermazione motivata, quella citata dal profeta riportando una lamentela del popolo d'Israele, se pensiamo, anzitutto, al vangelo di domenica scorsa: non possiamo certo dire che ci abbia lasciati indifferenti, la parabola dei vignaioli dell'ultima ora. Per quanto abbiamo potuto comprenderne il significato più profondo - che non voleva certo essere una mancanza di rispetto nei confronti di chi lavora da mattina a sera per guadagnare il proprio pane - ci è rimasto comunque un pizzico di amaro in bocca nei confronti di un Dio-padrone che ha criteri di giustizia totalmente distinti dai nostri; e allora, a ragione, ci viene da dire che “non è retto il modo di agire del Signore”. Ma...siamo onesti: spesso ci viene da pensare che “non è retto il modo di agire del Signore”. E non necessariamente lo facciamo perché manchiamo di fede nei suoi confronti o perché il nostro cuore è lontano da lui: anzi, a volte queste espressioni escono dal cuore e dalla bocca di chi ha maggior confidenza con lui, e non ne accetta il modo di fare.

Non accetta, ad esempio, che Dio si dimostri misericordioso con tutti, fino all'eccesso: e questo trova un “nobile” precedente anche nella Bibbia, nella vicenda del profeta Giona, urtato e quasi disgustato dall'atteggiamento pietoso di Dio che, di fronte alla conversione degli abitanti di Ninive, perdona il loro peccato e sospende il castigo già sentenziato della distruzione. C'è chi non accetta che Dio (come nella parabola di domenica scorsa) non ragioni con una logica di giustizia basata sul “a ognuno il suo”, per cui non solo non paga a ognuno secondo quanto merita, ma nemmeno la fa pagare a chi se lo merita, perché in fondo non esiste, per lui, l'idea di “merito” associata all'opera dell'uomo. Non riusciamo ad accettare, sempre su questa scia, che Dio, nella vita, se la prenda sempre con le stesse persone, alle quali veramente capita ogni sorta di sventura e di sofferenza, e tra l'altro in maniera incalzante, una dietro l'altra; e anche qualora riusciamo, a fatica, ad accettare il ragionamento per il quale “non è Dio che vuole le sventure”, che sono invece legate alla dimensione caduca e incerta della vita, ci viene comunque legittimo da interrogarci e da chiederci - sperando che ci dia una risposta - dov'è Dio in queste situazioni della vita. Possibile che, se non è lui che vuole il male nella vita dell'uomo, non riesca a dare una mano a chi dalla vita è colpito in maniera eccessiva? E perché invece ai malvagi vanno sempre tutte bene? Non possiamo, qui, non ricordare le domande che il profeta Geremia, esperto di “sofferenze divine” rivolge al Signore: “Tu sei troppo giusto, Signore, perché io possa contendere con te, ma vorrei solo rivolgerti una parola sulla giustizia. Perché la via degli empi prospera? Perché tutti i traditori sono tranquilli?”.

Dietro queste domande ci sono certamente le inquietudini dell'animo umano, che spesso si sente solo di fronte ai drammi esistenziali, sia quelli straordinari che quelli quotidiani, e occorre davvero quell'atteggiamento di misericordia che Dio dimostra nei confronti di tutti i suoi figli. Tuttavia, e proprio per questo, dobbiamo poter accettare che Dio non ragiona come un giudice severo che applica in maniera inequivocabile una legge, secondo la quale chi sbaglia paga e chi fa bene viene premiato: volere un Dio così significherebbe cadere nella logica dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo a cui, nel vangelo di oggi, Gesù indirizza la parabola dei due figli invitati dal padre ad andare al lavoro nella sua vigna.

Se, come vorrebbero le autorità religiose del tempo di Gesù, Dio ragionasse secondo la logica del giudice severo, che applica a un comportamento una regola, il primo dei due figli non avrebbe avuto scampo, dal momento che, di primo acchito, disobbedisce al padre e non compie la sua volontà, allontanandosi da lui; il secondo, invece, è il tipico figlio obbediente e servizievole, puntuale a dire sempre “sì”, di fronte al papà che gli dà un ordine, per poi fare quello che vuole, in barba all'amore e al rispetto paterno. Un rispetto e un amore che, a lungo andare, dimostra invece di avere il primo figlio che, pentitosi della sua disobbedienza, non torna nemmeno indietro a chiedere scusa al padre, forse per vergogna, e va al lavoro nella vigna, compiendo così la volontà del padre.

Atteggiamenti di ipocrisia tra gli uomini ci sono sempre stati, e ci saranno sempre: solo che con Dio non attacca, ancor meno se si ha la pretesa di avere a che fare con Dio come si ha a che fare con un giudice, e non con un padre. Con il giudice si applica la legge e si ragiona in termini legali, salvo poi trovare sempre l'occasione, come si suol dire, per “fare la legge e trovare l'inganno”, ossia avere atteggiamenti ipocriti apparentemente giusti ma in realtà profondamente iniqui. Molto meglio, nei confronti di Dio, avere l'atteggiamento che ha lui, quello del padre. Lui continua a chiamarci “figli”, affettuosamente, anche quando ci viene voglia di allontanarci da lui, di mandarlo a quel paese, di fare l'opposto di ciò che ci chiede, forse - come dicevamo all'inizio - mossi anche da tutto ciò che di ingiusto vediamo e subiamo nella vita. Però da noi vuole lo stesso: non vuole esecutori apparentemente perfetti dei suoi comandi, che dicano sempre “sissignore”, per poi fare i nostri comodi ingannandolo. Ci vuole figli, amorosi e affettuosi, che a volte se la prendono pure con lui e si allontanano da lui per i suoi modi strani e incomprensibili, ma alla fine, alla resa dei conti, riescono comunque a fare la sua volontà, e a farla sul serio, a volte dando anche una svolta drastica alla propria vita, tornando sulla retta via.

Se pensiamo che questa cosa Gesù è riuscito a ottenerla da pubblicani e prostitute, le peggiori categorie dell'epoca, secondo quei perfetti benpensanti che invece hanno sempre e solo venerato Dio a parole, approfittando delle loro “sante apparenze”, beh...allora anche la nostra fatica nel credere in lui non può rimanere senza frutto.

 

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