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TESTO Dio non ama sindacare!

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/09/2020)

Vangelo: Mt 20,1-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Se c'è una cosa che emerge in maniera evidente e incontrovertibile da questo brano di vangelo, è che a Dio non piace il termine “sindacare”, inteso sia nel senso lavorativo del termine (ossia controllare la correttezza delle operazioni che avvengono nel mondo lavorativo), sia nel senso più figurato, ovvero quello di criticare le decisioni o l'operato di una persona. Se il padrone della parabola che abbiamo ascoltato è Dio, allora non nutre grande simpatia per i sindacati e per le lotte che specialmente nel passato hanno affrontato per giungere alla definizione di un giusto salario per i lavoratori; e pare che non nutra grande simpatia neppure verso coloro che si mettono a “sindacare” sul suo operato e sulle scelte che egli compie. Ancor più se sono persone che se la prendono con lui perché è ingiusto, mentre ad esse, fino a prova contraria, non ha proprio rubato nulla.

Sì, perché se c'è qualcosa di giusto e onesto nella parabola che abbiamo appena ascoltato, è proprio l'atteggiamento che il padrone ha nei confronti degli operai “della prima ora”, quelli che sono stati assunti da lui all'alba e che hanno lavorato sopportando il peso della giornata e il caldo. Tra tutti quelli che ha assunto a lavorare con il metodo più o meno lecito del “caporalato” (dove lui è padrone e caporale al tempo stesso), gli unici che tratta secondo criteri di giustizia sulla base di accordi verbali sono quelli delle prime ore del mattino: si è accordato con loro per un denaro al giorno (e se si sono accordati, vuole dire che a entrambi stava bene così), e come d'accordo, alla fine della giornata, li ha pagati un denaro. Detto e fatto, senza alcun furto o alcuna ingiustizia. Eppure, alla fine, al momento della paga, questi hanno da ridire: mormorano contro di lui perché, a detta loro, è stato ingiusto, ha tolto loro qualcosa, nonostante abbia dato loro la somma pattuita, un denaro ciascuno. Somma che a loro, alla fine, non sta bene: perché è la stessa somma che viene data a chi ha lavorato solamente un'ora rispetto alle loro dodici ore di lavoro, e per di più, questi sono stati pagati per primi, come se fossero anche da premiare, per aver lavorato poco o niente. Eh, no: c'è qualcosa che non torna! Tu non puoi pagare uno che ti sta in una vigna a vendemmiare per dodici ore, allo stesso modo in cui paghi uno che sta lì solo un'ora, e per di più alla sera, quando fa più fresco! E non puoi nemmeno pagarlo per primo, mentre magari gli altri stanno ancora lavorando!

Dal punto di vista sindacale e di rispetto delle norme del lavoro, questo padrone ha fallito: Dio non tratta tutti in maniera uniforme, fa delle preferenze, e per di più le fa per quelli che non meritano, per i fannulloni, per quelli che stanno a letto tutta la mattina, si alzano per pranzare, fanno una pennichella, trovano da fare un lavoretto di un'ora alla sera e vengono pagati per una giornata intera! Ovviamente, questi ultimi non hanno nulla da ridire al padrone: si prendono la loro cospicua paga e se ne vanno a casa tutti felici! Hanno capito anche loro che è un padrone ingiusto, ma dato che a loro va bene così, stanno zitti, intascano e vanno a casa contenti!

Un po' meno contenti sono gli altri, i quali - vista la bontà del padrone - avevano tutti il diritto di aspettarsi di più: invece hanno ricevuto la stessa paga, ci sono rimasti male, non la mandano certo a dire al padrone, e per tutta risposta si sentono dire “Io non ti ho fatto torto, ti ho dato quello per cui ci eravamo accordati. Prendi, e vai a casa! Non hai alcun diritto di protestare con me per l'uso che faccio dei miei soldi, una volta che a te io ho dato quello che ti avevo promesso”. Il problema, allora, non è l'ingiustizia del padrone, ma la rabbia e l'invidia che gli operai di vecchia data nutrono nei confronti di quelli dell'ultimo momento. Il problema, potremmo dire, non è un Dio ingiusto - perché non lo è - ma un Dio buono, che oltre a essere giusto con chi vuole da lui giustizia, è buono con chi da lui non si aspetta nulla, perché tutto ciò che da lui riceve è dono, è grazia.

Sicuramente, ebbe un bel da fare l'evangelista Matteo a far capire ai membri anziani della sua comunità che dovevano accogliere nella chiesa tutti, anche quelli che avevano scoperto il Signore Gesù da poco tempo, provenendo dal paganesimo, senza aver fatto tutta la trafila della religione ebraica come invece avevano fatto loro, proprio come il padrone della parabola aveva avuto un atteggiamento benevolo verso gli operai dell'ultima ora, accolti e trattati come i primi. Mi sembra già di sentirli, questi “primi”: “Ma come, Matteo? Come fai a trattare questi nuovi cristiani alla stessa stregua di noi che abbiamo conosciuto di persona Gesù, proprio come te, e come te abbiamo abbracciato il suo messaggio di salvezza dopo aver affrontato il cammino faticoso e pesante della religione ebraica, con le sue leggi e i suoi precetti, con le sue istituzioni, con le sue norme pesanti come fardelli, dalle quali finalmente Gesù ci ha liberati e ci ha donato la salvezza, cosa che adesso tu doni anche a questi che entrano in comunità dopo averti ascoltato predicare solo un attimo? Non, non è possibile: noi meritiamo di essere ascoltati di più, rispetto a loro! Meritiamo davvero di più”.

Mi sembra, in fondo, di sentire gli stessi discorsi che spesso si fanno anche nelle nostre comunità parrocchiali: “Ma come? Noi siamo catechisti da anni, noi facciamo volontariato da quando eravamo giovani, noi conosciamo ogni angolo del nostro oratorio e tutte le attività che vi si sono svolte, nessuno meglio di noi sa come e cosa bisogna fare: come pretendono questi che sono appena arrivati di dirci cosa si deve fare? Come possono pretendere di essere ascoltati tanto quanto noi? Come possono essere trattati in maniera uguale a noi? È normale che noi dobbiamo essere tenuti in maggior considerazione rispetto a loro!”.

Ancor peggio, esistono mormorii che mettono in discussione la grazia di Dio e la gratuità del suo amore, quando, ad esempio, pretendiamo da Dio di essere trattati con maggior riguardo rispetto ad altri solo perché noi apparteniamo a una cultura cristiana millenaria e loro, invece, sono membri di culture o popoli che hanno abbracciato il cristianesimo molto dopo i nostri, o anche solo appartengono a famiglie che fino a poco tempo fa in chiesa on ci andavano per niente.

Per fortuna, la bontà di Dio è più grande anche della nostra millenaria cultura cristiana, e la sua misericordia più grande delle nostre pretese di avere una fede più forte di quella degli altri...

 

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