PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Fatti d'infinito

don Alberto Brignoli  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/09/2020)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 18,21-35

In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Quando recito il Padre Nostro, in fondo in fondo mi auguro che il destinatario non ascolti bene quanto gli sto chiedendo verso la conclusione della preghiera: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, dove per debiti - lo sappiamo bene - si intendono gli errori, le colpe commesse, i peccati, per intenderci. Eh già: a noi piace quando ci viene condonato un debito (a livello economico, senz'altro, soprattutto se di grande entità!), però quando si tratta di dover riscuotere un prestito fatto, iniziamo ad agitarci, se vediamo che i tempi si allungano o che vengono accampate mille scuse prima che questo ci venga restituito. Credo che Gesù, quando ci ha lasciato quella che è diventata la preghiera dei figli di Dio per eccellenza, abbia capito questa nostra ansia di “condono dei debiti”, questo desiderio di essere da Dio perdonati per le nostre molte e gravi mancanze, verso di lui e verso il prossimo, e allora ci invita a chiedere a Dio che i nostri debiti vengano cancellati. Insieme, però, ci fa capire una cosa: che il perdono di Dio è frutto della sua grazia, e quindi è gratuito e incondizionato, potremmo quasi dire che Dio ci ha “graziati” da una condanna rispetto alla quale nemmeno meriteremmo uno sconto di pena.

Gratuito e incondizionato, però, non significa senza conseguenze: per cui, così come chiediamo al Signore che sia misericordioso con noi, contemporaneamente dobbiamo essere disposti a esserlo con gli altri. Conseguenza del perdono ricevuto deve essere il perdono offerto. L'impegno che ci prendiamo ogni volta che recitiamo il Padre Nostro, quindi, è davvero qualcosa di gravoso: e speriamo - come dicevo - che Dio non ci prenda sul serio, e che ci perdoni comunque, anche se e quando noi non facciamo altrettanto con i nostri fratelli.

Questa speranza, tuttavia, non ci deve giustificare. Non possiamo continuare a dire: “Dai, io so che il Signore è buono e continua a perdonarmi nonostante io non sia capace di farlo”. Perché il perdono che riceviamo da Dio è legato a un concetto di giustizia che non possiamo e non dobbiamo dimenticare, e che deve regolare i nostri rapporti interpersonali: è il concetto di reciprocità, quello che viene espresso nel Vangelo anche attraverso la cosiddetta “regola d'oro” della morale cristiana, ossia “fai agli altri quello che tu vuoi venga fatto a te”. Per cui, se tu vuoi (come è umanamente comprensibile) che gli altri siano con te benevoli, pazienti, attendisti, misericordiosi, comprensivi, tu devi essere disposto e capace di fare altrettanto con loro. Altrimenti, non puoi pretendere nulla. Men che meno nei confronti di Dio, che con te, comunque, usa misericordia aldilà delle tue incoerenze. Perché approfittare della compassione di Dio per ottenere da lui ogni cosa, senza poi usare la medesima compassione nei confronti degli altri, non è proprio così corretto... di certo, non è cristiano.

Ecco perché il padrone della parabola narrata da Matteo si sdegna nei confronti di quel servo a cui condona un debito spaventoso (calcolabile attualmente intorno ad alcune decine di miliardi di euro, per intenderci) e che non è capace di aver pazienza di fronte a un compagno di lavoro che gli deve un prestito equivalente a tre mensilità da operaio. Gesù fa un paragone esagerato, iperbolico, per farci comprendere la spaventosa sproporzione esistente tra il perdono infinito e paziente di Dio nei nostri confronti e lo sforzo chiesto a noi nei confronti dei nostri simili che, per quanto grande e paziente possa essere, non sarà mai paragonabile a quello che Dio fa verso di noi. Con ognuno di noi, e con l'umanità intera. E lo fa sempre, e in continuazione: cosa che a noi sembra inconcepibile, se dobbiamo pensarlo verso gli altri. Pietro che apre il Vangelo con una domanda “pratica” a Gesù sulla dimensione del perdono, non sta certo giocando al ribasso. Non possiamo dare del “minimalista” a Pietro che chiede a Gesù se vada bene o meno perdonare fino a “sette volte”: siamo sinceri, chi di noi riuscirebbe a perdonare una persona che per sette volte commette qualcosa contro di noi? Anche a volergli il bene più grande di questo mondo, forse arriveremmo a qualcosa del tipo “la prima si perdona, la seconda si condona, la terza si bastona!”. Di più no, però... piuttosto preferiamo non avere più nulla a che fare con quella persona! E saremmo già fin troppo umani! Oppure, come dare torto a una persona che dopo aver sopportato una vita di angherie e di maltrattamenti non riesce più a perdonare chi gli ha fatto del male?

Dio però ci chiede qualcosa di più, ma soprattutto qualcosa di diverso. Non ci chiede di avere una pazienza infinita (chissà se nemmeno lui riesce sempre ad avere pazienza con noi, vista la conclusione della parabola... io me lo auguro!), ma ci esorta ad avere in testa e soprattutto nel cuore un infinito desiderio di fare agli altri tutto quel bene che vorremmo fosse fatto a noi, di usare verso gli altri tutta la misericordia che vorremmo fosse usata a noi, di essere comprensivi e tolleranti verso gli altri allo stesso modo in cui noi vogliamo ed esigiamo comprensione e tolleranza.

È un criterio di giustizia profondamente umana: la differenza è che Gesù ci chiede di essere giusti secondo la giustizia di Dio, che si chiama misericordia. Essere misericordiosi come il Padre è misericordioso significa applicare questi criteri di giustizia sempre, senza mai stancarci, “settanta volte sette”, all'infinito...

Perché, in fondo, siamo fatti di infinito; perché se preghiamo quel Padre Nostro che è in cielo, in fondo è perché anche noi siamo fatti di cielo. E non possiamo dimenticarcelo, mai.

 

Ricerca avanzata  (53995 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: