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TESTO Commento su Giovanni 5,19-24

don Walter Magni  

II domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (06/09/2020)

Vangelo: Gv 5,19-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. 20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. 21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. 22Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, 23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.

24In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.

Se lo smarrimento diventa sempre più intenso e i pensieri si confondono, importa non barattare ciò che vive di luce riflessa con la fonte e la sorgente della luce. Anche nella Parola proposta in questa domenica Isaia afferma che “non il sole e la luna, ma il Signore sarà per te luce eterna”. Il Signore è la luce, la nostra luce.

“Il Signore sarà per te luce eterna”
Isaia si stava rivolgendo al popolo di Israele che si trovava in esilio a Babilonia, avendo nel cuore una grande nostalgia per la città santa di Gerusalemme ch'era stata distrutta. Nel desiderio di poterla rivedere ricostruita ancora più bella. In questo contesto Isaia usa parole cariche di promessa e di consolazione: “Tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte. Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna. Il tuo Dio sarò il tuo splendore”. Anche il periodo doloroso e confuso di pandemia che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo, ci ha come esiliati dalle città fiorenti e belle nelle quali ci sembrava di vivere spensierati e sereni. Ormai ci sentiamo come tutti sospesi rispetto alla frenesia delle nostre attività, alla capacità di intrattenere relazioni di lavoro intenso e produttivo. Persino i nostri affetti e il bisogno di evasione si è fatto più smorto e calcolato. Come un uragano imprevisto la pandemia ci ha sorpresi e conquistati, soggiogati, rendendoci talvolta deboli e incerti nell'emettere una reazione capace di speranza e il rischio di tornare a un passato non più riproponibile o di sognare un futuro artificiale e debole è quotidianamente in agguato. Così le parole di Isaia diventano una profezia di speranza per tutti. E, mentre ci invita a guardare alla luce, alla fonte di ogni luminosità, riprendono corpo e colore anche le nostre realtà riflesse, le opere del Signore e le nostre, perché anche: “il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà perché il Signore sarà per te luce eterna”.

“Saranno finiti i giorni del lutto”
E la parola di speranza di Isaia nei confronti del popolo in esilio diventa più precise quando, nell'orizzonte consolante del Signore nostra luce, “luce eterna” che non tramonta, profetizza che, nella speranza di una ricostruzione, finiranno i giorni del lutto: “saranno finiti i giorni del lutto”. Abbiamo trascorso tutti giorni rinchiusi nelle nostre case, mentre i media sfornavano continuamente cifre di morti negli ospedali, nelle case per anziani e anche nelle nostre case. Tutto così veloce e incolore, senza la minima possibilità di una preghiera, di una sosta, di poterci fermare davanti alla morte. Senza un conforto, senza la possibilità di poter elaborare la morte così come anche la tradizione cristiana ci aveva abituati. E anche ora che quei giorni così sospesi sembrano essere passati per noi, a livello internazionale, in tante altre grandi nazioni del mondo, l'epidemia continua a mietere vittime. Dove potrà parare la profezia di Isaia che, promettendo un sussulto di vita a Israele, sembra voler parlare anche ai nostri giorni? Giorni destinati a finire con quale esito a riguardo della morte? Che conti abbiamo fatto con questa realtà che ancora, dopo i giorni della pandemia, continuerà a starci accanto? Isaia non ci sta affatto dicendo che non moriremo, ma che anche la morte, nella luce eterna di Dio, avrà fine e in questo senso “saranno finiti i giorni del lutto”. In quelle parole già è possibile intravedere la verità ultima che in Gesù, morto e risorto, ha trovato compimento, realizzazione. A partire da lui e in Lui vera e possibile anche per ciascuno di noi.

“Beato il popolo che ti sa acclamare”
E il salmo responsoriale, ritornando sullo stesso tema, più volte ci ha fatto ripetere questo ritornello: “Beato il popolo che cammina alla luce del tuo volto”. Viene così proclamata la beatitudine di un popolo che è beato in quanto ritorna ad acclamare al Signore. A invocarLo, a richiedere il dono della Sua salvezza. C'è bisogno che nelle nostre chiese si riaffermi la verità del Vangelo di Gesù, accogliendo in pienezza il fatto che a noi è data la grazia di credere in un Dio che ama la vita. Come ci ha ripetuto ancora una volta Gesù nel Vangelo: “in verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”. C'è come un'urgenza, un bisogno di andare all'essenziale delle cose che più contano, andando oltre i numeri e le statistiche che ci angosciano con tutte le loro improbabili previsioni e i calcoli affaticati di una rinascita nei nostri affari che stenta a mostrarsi come realmente disponibile. L'essenzialità di un popolo, di uno stato, di una nazione - starei per dire anche di una chiesa - che, confusa nel suo ordinario andamento tradizionale, precedente alla stessa pandemia, si lasci avvolgere dalla beatitudine propria di chi si decide ad acclamare Dio come suo Signore. Senza voltarsi indietro, senza vergogna e false timidezze. Il nostro mondo sta aspettando che qualcuno si desti a ripetere ad alta voce le lodi del Signore, più che la declamazione delle nostre debolezze delle nostre miserie senza fine. Così rinasce la speranza.

 

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