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TESTO La stagione dei resistenti

don Angelo Casati  

Domenica che precede il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (23/08/2020)

Vangelo: Mc 12,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,13-17

13Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 14Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». 15Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». 16Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.

Nelle parole che oggi abbiamo ascoltato mi è sembrato di percepire sotterraneo, ma nemmeno tanto, un appello. Un appello alla resistenza. A resistere. E subito alla memoria del cuore mi si accendono storie di resistenti, storie da non dimenticare. Storia di resistenti è quella evocata dal libro dei Maccabei, Io non vorrei entrare nelle questioni storiografiche che riguardano il libro, vorrei affidarmi al testo. Secondo il nostro testo siamo in presenza di un disegno egemonico da parte del re Antioco Epifane. Un disegno, come appare dalle parole del racconto, di omologazione totale, assoluta, senza eccezioni.

Ascoltiamo: "Il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re. Allora molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero nel deserto, per stabilirvisi con i loro figli, le loro mogli e il bestiame, perché si erano inaspriti i mali sopra di loro". Sterminati. A fronte di un disegno che imponeva un pensiero unico, che cancellava le diversità, nasce la ribellione. Da parte di chi? E' scritto: da parte di coloro che "ricercavano la giustizia e il diritto". Se cerchi la giustizia e il diritto ti accadrà di dissociarti da disegni che possono venire anche dall'alto.

I resistenti - è pure scritto - scesero nel deserto. Forse qualcuno di voi avrà pensato ai resistenti che salirono sui monti. Uomini e donne che cercavano la giustizia e il diritto, pronti a lottare per difendere giustizia e diritto. Ribelli per amore. Per amore della libertà. Oggi forse non è tempo di cercare rifugi nel deserto o sui monti, ma l'urgenza di essere resistenti agli attentati alla libertà delle persone non è venuta meno. A volte si pretende da noi una adesione acritica a norme e assetti che sembrano avere come loro unica legittimazione il fatto che si è sempre fatto così, si è sempre pensato così, ci si è sempre comportati così. Per dire la vigilanza che ci viene chiesta, vorrei ricordare oggi le parole e la testimonianza di un prete amico, morto due anni fa, novantaseienne, uomo della resistenza, don Giovanni Barbareschi, a ventitre anni arrestato, picchiato, torturato a san Vittore.

In una sua intervista diceva: "Beato colui che sa resistere", anche se il resistere oggi è più difficile perché non siamo di fronte a mitra puntati, ma siamo coinvolti in un clima di subdola persuasione, di fascinosa imposizione mediatica, che è come una mano rivestita di un guanto di velluto, ma che ugualmente tende a toglierti la libertà". Ebbene le donne e gli uomini liberi - voi lo sapete - fanno paura, fanno paura i pensanti. La libertà fa paura a chi sogna un potere assoluto: meglio avere vassalli obbedienti, accoliti del nulla, esecutori plaudenti; meglio una massa pilotabile e acclamante che un popolo maturo di pensanti e resistenti.

Mi chiedo, se di fronte a tanta sfrontatezza, insieme a un sussulto interiore, non si debbano costruire cenacoli di resistenti e se la fede non dovrebbe essere fonte chiara e pulsante di libertà e resistenza. Questo appello a non cadere schiavi è risuonato oggi nelle parole della lettera agli Efesini, che scrive. "La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove".

Vengo al brano di vangelo dove mi incanta ancora una volta la libertà di Gesù. Lui ancora una volta sotto assedio. E ci sono tutti, avete sentito: i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani mandarono dal Signore Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità". Pur di metterlo alla prova, fanno una premessa che suona quasi come un riconoscimento di chi è Gesù, uomo libero. Senza condizionamenti.

Gli dicono - sono costretti ad ammetterlo -: "Tu sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità". Poi la domanda: "È lecito o no pagare il tributo a Cesare?". Immagino che anche voi abbiate intravvisto nella risposta di Gesù ancora una volta una rivendicazione di libertà. Una libertà da difendere in modo assoluto, senza "se" e senza "ma". Gesù risponde: "Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio". A Cesare date il tributo: ne ha diritto se la sua azione ha come orizzonte il bene comune, la costruzione di una società serena, rispettosa della dignità di ciascuno, solidale, dove onorati sono la giustizia e i diritti.

Ma quello che è di Dio non lo vendere, non le vendere mai a nessuno: a nessuno puoi vendere l'anima, a nessuno puoi vendere l'immagine di Dio scritta a caratteri indelebili dentro di te. Come a dire che la fede in Dio ci fa liberi. O non è fede. Se siamo schiavi vuol dire che abbiamo messo al posto di Dio altri. La tua libertà è segno, racconta che tu dai a Dio, e solo a lui, ciò che è di Dio. Voi capite allora perché quando Don Barbareschi - ritorno a lui - era invitato nelle scuole a dare la sua testimonianza, alla domanda delle ragazze e dei ragazzi quale fosse nella vita la cosa più importante, lui andava alla lavagna e scriveva la parola "libertà".

Negli ultimi anni della sua lunga vita, in un suo intervento presso l'Ambrosianeum, disse: "Ricordatevi che l'importanza nella vita non è data da ciò che fai, ma da ciò che sei, l'importante è essere una persona. Se domandate a me prete se voglio diventare santo, vi dico che non mi interessa molto, voglio diventare un uomo libero. Se i due termini coincidono, allora mi va bene, ma alla parola "santo" hanno dato troppo un tono ecclesiastico, non la rifiuto ma preferisco dire che voglio essere un uomo libero".

Educare alla libertà: abbiamo educato a tante cose, non sarà che abbiamo trascurato di educare alla libertà?

 

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