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TESTO Commento su Matteo 15,21-28

fr. Massimo Rossi  

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/08/2020)

Vangelo: Mt 15,21-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». 24Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». 25Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Ieri abbiamo celebrato la fede di Maria Assunta; oggi celebriamo la fede di un'altra donna, questa volta straniera, la quale, come Maria, colpisce il Signore e lo mette con le spalle al muro...

Il figlio di Davide non sa resistere di fronte a una fede di quel calibro, e compie il miracolo. Come Maria, da suo figlio, anche la Cananea viene chiamata “donna”: un termine non spregiativo, al contrario, un'attestazione di stima per il sesso forte, per una personalità dotata di coraggio, nel far valere il proprio amore per la figlia malata e per Colui che, solo, la può guarire.

Ecco che cosa accade quando lasciamo che sia la fede a muovere i sentimenti, i pensieri, le azioni.

Tanto il Vangelo, come anche la prima lettura annunciano che la salvezza non è il privilegio di un popolo, ma è la vocazione di e per tutta l'umanità.

Oggi non fa più così impressione il concetto di salvezza universale - o forse ancora sì... -; ma nell'antico Israele, lo straniero era tenuto prudentemente e gelosamente ai margini del popolo eletto; lontano dai favori di Dio. Israele si sentiva, appunto, il popolo eletto da Dio, non solo come primizia della salvezza, ma come destinatario unico ed esclusivo della salvezza.

Mi ritorna in mente la (tristemente) famosa affermazione dogmatica del cattolicesimo preconciliare: “extra Ecclesia nulla salus!”, fuori dalla Chiesa non c'è salvezza! a cui faceva seguito l'altra affermazione programmatica: “Compelle intrare!”, obbligateli a entrare!...

Questa era la nostra fede; e in base a questa fede, la Chiesa missionaria cristianizzò (a forza) popoli di ogni razza e colore, da quando Colombo scoprì le Americhe, fino all'alba del Vaticano II.

Nessun popolo, nessuna cultura, nessuna fede possono illudersi di essere immuni dalla sindrome che potremmo definire (sindrome) da privilegio identitario. La storia delle religioni, ma anche le guerre che insanguinarono il mondo fino a meno di un secolo fa, attestano la convinzione dei vincitori che Dio benedicesse il loro popolo, la loro razza, la loro fede, contro tutto e contro tutti.

La Grecia classica diede vita al grande fenomeno dell'ellenizzazione di Europa, Asia e Nord Africa. Poi fu la volta di Roma; cui seguì il millennio del Sacro romano Impero. Ma già nel VII sec. era apparsa all'orizzonte una nuova superpotenza religiosa e politica chiamata Islam: battaglia dopo battaglia, vittoria dopo vittoria, al grido “Allah è grande!”, le truppe Ottomane invasero il nostro continente, cingendo d'assedio Vienna, ultimo baluardo strategico dell'Europa cristiana.

Sul finire del secondo millennio, l'avanzata del nazismo avrebbe minacciato il mondo intero, terrorizzando le coscienze con quelle tremende parole: “Gott mit uns!”, Dio è con noi!

Sono fatti che abbiamo imparato sui banchi di scuola, ma anche dai racconti dei nostri genitori.

Certo, le ferite restano e la memoria attende ancora di essere guarita.

La nostra speranza è che la guarigione non cancelli del tutto il ricordo.

La fede cristiana ci insegna che il perdono è direttamente proporzionale alla memoria dell'offesa ricevuta. Perdonare, dunque, non significa dimenticare; al contrario: il perdono si nutre di memoria! Noi perdoniamo il male ricevuto proprio perché ce lo ricordiamo!

E lo dovremo sempre e ancora perdonare, proprio perché sempre e ancora lo ricorderemo. La memoria è la garanzia - forse l'unica - che la nostra mente si mantiene lucida. Quando (la memoria) comincia a perdere dati... è un brutto segno!

Il cammino del perdono non finirà mai! Fino a quando ci sarà fede sulla terra, l'opera del perdono resterà all'O.d.G. della Chiesa e dei cristiani.

Eccoci al Vangelo: Gesù è un israelita tutto d'un pezzo, pertanto obbedisce alla Legge di Mosè, ma prima ancora (obbedisce alla) volontà del Padre suo e annuncia la salvezza, cominciando dal suo popolo, da Gerusalemme.

Questa scelta è del tutto in linea con il cuore di Dio che predilige gli ultimi, i deboli, gli emarginati, coloro che non contano nulla,...

La Palestina contava ben poco, nella considerazione di Roma - diciamolo pure: rappresentava un peso, un costo, una continua fonte di grattacapi, per la Città Eterna -; nella geografia dell'Impero, Israele era la periferia, l'ultimo avamposto romano; una Provincia povera di risorse naturali, vessata dalle tasse prescritte dal culto ebraico,...

Potete intuire che per un funzionario della Capitale, ricevere l'incarico di governatore di quelle steppe desolate e...dimenticate da Dio, non era certo una promozione prestigiosa. In verità, sembra che Ponzio Pilato, noto per la sua indole brutale e poco diplomatica, fosse stato allontanato da Roma - come si dice: “promoveatur ut amoveatur” - perché inviso al Senato romano e allo stesso Imperatore.

Per gli Israeliti, allo strapotere del partito sacerdotale, si aggiungeva quello del rappresentante imperiale; e poi le imposte, le legioni militari sempre in assetto di guerra; e quella assurda, criminale idolatria tributata a Cesare, in tutto e per tutto equiparato a un Dio.

“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili!”.

Dio ascoltò il grido dei prigionieri, come aveva ascoltato la casa di Giuseppe, nei giorni della schiavitù in Egitto; Dio mandò suo Figlio, proprio là, in Palestina; sapete come la chiama, Isaia, nelle sue profezie, la Palestina? “vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele” (41,14ss). Rendo l'idea?

Conclusa la missione di Cristo, gli Apostoli l'avrebbero continuata “fino ai confini della terra”.

Tornando al dialogo tra il Signore e la donna cananea, ove è chiaro che i soggetti sono su posizioni diametralmente opposte, chiediamoci: perché, tra i tanti incontri fatti da Gesù, Matteo inserisce nel suo Vangelo proprio questo, che presenterebbe un Messia di parte?

Dalla lettura degli Atti degli Apostoli, apprendiamo che in seno alla Chiesa dei primordi, era scoppiata una polemica tra Paolo, il quale spingeva per un annuncio senza confini, e Pietro, convinto che fosse invece opportuno rivolgersi ai circoncisi.

Conosciamo l'esito di quella discussione: Paolo divenne l'apostolo dei pagani, e Pietro continuò a predicare ai cristiani convertiti dal giudaismo.

Ma, allora, sto incontro tra Gesù e la Cananea, è vero, o inventato?
In verità, il problema è secondario.

Ciò che conta è cogliere le disposizioni d'animo dei due interlocutori: in particolare, la fede della donna, una fede disposta a tutto, una fede che si accontenta anche delle briciole.

Perché ciò che per il padrone della tavola è solo una briciola, per chi la riceve con cuore umile e riconoscente, (quella briciola) è il tesoro nel campo, è la perla preziosa,... è il regno dei cieli.

 

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