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TESTO Pane di vita sei...

padre Gian Franco Scarpitta  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/08/2020)

Vangelo: Mt 14,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Vino e latte nell'Antico Testamento simboleggiano l'abbondanza e la prosperità economica e insieme anche la gioia e l'esultanza che in questa prosperità si vivono. Tale è l'intimità con Dio e, in senso più vasto, la salvezza: un incontro gioioso paragonabile a un banchetto di nozze nel quale la tavola è imbandita di succulente vivande e il vino è elemento esaltante di elevatezza verso il divino. Intrattenere rapporti con Dio comporta sempre benefici al presente e al futuro e le grasse vivande e i vini succulenti sono espressione del cibo di cui essenzialmente abbiamo bisogno: Dio stesso. In effetti, al di la' di ogni metafora, i testi biblici invitano a trarre nutrimento direttamente dal Signore considerando Questi come alimento pertinente di salvezza e di vita soprattutto quando i simboli sono allusivi ad acqua, vino e latte, espressioni di necessità primaria e di abbondanza, i quali lasciano intendere che Dio soddisfa l'una e l'altra. Cibiamoci insomma di Dio, vale a dire assimiliamolo, appropriamocene, soddisfiamoci con lui senza riserve, soprattutto immedesimiamoci in lui facendone elemento basilare della nostra vita e da lui trarremo in effetti la vita stessa.

La comunione con Dio non deve mai essere abbandonata, la fiducia in lui va costantemente rinnovata e vissuta con perseveranza e forza d'animo e sarà proprio questa a portare frutti di gioia e di salvezza perenne.

Nutrirsi di Dio equivale però a “mangiare” la sua Parola, che anche nelle scorse Domeniche si è rivelata efficace e sempre apportatrice di benefici, e non torna al suo Fautore senza avere operato ciò per cui Questi l'aveva mandata e sotto questa immagine viene associata “alla pioggia e alla neve” sempre dal profeta Isaia. La Parola di Dio è essa stessa nostro alimento associata all'acqua ma ancora di più al pane. Episodi di provvidenziale intervento divino per il suo popolo mettono in ballo infatti il pane, descritto come alimento di primaria importanza che viene garantito da Dio tante volte miracolosamente come a proposito della manna dal cielo o del pane che Dio manda agli Israeliti giorno per giorno mentre camminano nel deserto. Come nel caso di Elia, scoraggiato e depresso sotto un albero di ginepro, che viene rifocillato da Dio attraverso un alimento (il pane) che lo sospinge a camminare per altri quaranta giorni e quaranta notti.

Il pane è quindi alimento materiale che Dio non fa mancare e per ciò stesso viene associato alla Parola, che Dio neppure fa mancare al suo popolo e a tutti noi, che ne abbiamo bisogno come di un alimento vitale. Mangiare di Dio e della sua Parola vuol dire assumere l'Uno e l'Altra come si assumerebbe un cibo indispensabile per la vita, riconoscere con umiltà che nulla possiamo senza di lui (Gv 15, 8) a meno di non voler tentare progetti inconcludenti, vani e illusori e comunque non trovare mai vera soddisfazione piena se non in Dio. Alimentarsi di lui vuol dire convincersi della sua necessità, fare esperienza diretta della propria insufficienza e limitatezza, considerare che le nostre lacune possono colmarsi non senza il riferimento costante a lui. Di conseguenza vuol dire vivere di lui con radicalità, non anteponendolo a nessun altro valore, ma anzi riqualificando qualsiasi valore alla luce della sua Rivelazione. Di conseguenza significa far trasparire la nostra familiarità con il Signore attraverso atteggiamenti edificanti e concrete opere che facciano trasparire fede, speranza e carità. Far risaltare il suo primato nell'amore verso il prossimo esternato senza riserve, all'occorrenza anche con eroismo e decisione. Mangiare di Dio e della sua Parola vuol dire fare di Dio il criterio della nostra vita e solo questo può infondere sicurezza, fiducia nella prova e speranza nel dolore e nello sconforto. Solo in Dio risposa l'anima mia (Sal 61, 2 - 4) e solo nella sua Parola posso trovare consistenza e coraggio. E soprattutto tutto posso conseguire perseverando e vincendo ogni lotta, superando ogni sorta di prova e valicando trionfante qualsiasi ostacolo, perché “Tutto posso in Colui che mi da la forza” (Fil 4, 13).

Solo vivere radicalmente di Dio e della su Parola potrà allontanare ulteriormente l'insidia che ci sta tormentando ormai da parecchi mesi e che anche adesso, sia pure nella forma meno assillante, destabilizza la nostra sicurezza. La sua Parola infatti soltanto questa può ingenerare in noi la necessaria umiltà indispensabile atta a farci riconoscere la validità di determinati sacrifici e rinunce, l'osservanza di disposizioni irrinunciabili a scongiurare il pericolo presente.

Ma qual è la Parola divina per eccellenza se non il Verbo che, preesistente prima di tutti i secoli, si è fatto carne per diventare il nostro “pane vivo disceso dal Cielo”(Gv 6, 51)? E' Gesù, Figlio di Dio, sua Parola esistente sin dall'eternità che fattasi carne è venuta da abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14) a qualificarsi alimento di vita e farmaco di immortalità, pane mangiando del quale non si avrà più fame. Nel brano evangelico che ci viene proposto avviene che Gesù soddisfa non soltanto la necessità neurogenerativa di tutti coloro che pendono dalle sue labbra, ma anche la “fame” altrettanto struggente di Parola e riferimento di vita. Non per niente la turba si nutre di tanto pane dopo aver ascoltato la sua Parola: l'uno è necessario quanto l'altra.

Le metafore a cui Gesù fa ricorso sono differenti per proporsi a noi come via, verità e vita e per invitaci a vivere di lui come di un alimento irrinunciabile, ma quello che si racchiude nel pane non è solamente un concetto metaforico, poiché il pane vivo disceso dal cielo oltre che essere assunto come fatto vitale irrinunciabile e oltre che essere incarnato come elemento vitale indispensabile, è anche alimento concreto, di cui dover davvero mangiare. Gesù cioè ci invita a mangiare propriamente la sua carne e a bere il suo sangue (Gv 6, 58) per avere la vita in quel particolare Sacramento nel quale vuole essere presente Egli stesso corpo, sangue, anima e divinità, nel quale si dona e si offre risolutamente, chiamato Eucarestia. Nella famosa Cena al piano superiore della casa appositamente ammannita a Gerusalemme, Gesù incarica gli apostoli di renderlo presente in perpetuo nel fenomeno dell'anamnesi con la quale ogni volta, in forza dello Spirito Santo, ogni forma di pane presente sulla mensa diventerà il suo vero Corpo: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo”. “Questo è calice della nuova alleanza”. Presenziare egli stesso nelle sembianze dell'alimento più importante della nostra vita è un ulteriore incoraggiamento a che noi assumiamo davvero Dio e la sua Parola con radicalità per accentuare tutti i vantaggi sopra esposti. Mangiare concretamente di Gesù nel Sacramento è garanzia che davvero lo assumiamo come Referente unico della vita per la nostra stessa vita e il dono che gli fa di sé nel pane avrà sempre la sua efficacia per il nostro sostentamento costante.

 

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