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TESTO Tra matrimoni e funerali...

don Luciano Sanvito

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (26/02/2006)

Vangelo: Mc 2,18-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 2,18-22

18I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da lui e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno. 21Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore.

22E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».

Quali sono le cause di questa immane tragedia che è la disgregazione del senso del matrimonio e della famiglia?
Qual'è la vera difficoltà del rapporto tra gli sposi?

Perché c'è tanta incomprensione tra l'uno e l'altro tra di noi?
Perché ogni credo e ogni ideale sta patendo una crisi oggi?

Perché questa mancanza di valori?

Chissà quante risposte potremmo dare...

Ma andiamo soltanto a sottolineare quello che ci viene dal vangelo: c'è sempre, in ogni caso, una pratica, un modo di fare, un 'habitus' che ci impediscono di essere coscienti di chi abbiamo accanto, di fronte, vicino.

L' 'habitus' con cui rivestiamo l'altro è diventato più importante dell'altro.

Possiamo ironicamente, senza alcuna critica, trovare riscontro in questo partecipando a un matrimonio (religioso o civile) e a un funerale.

Ci accorgeremo - nel caso del matrimonio - che là dove la realtà più preziosa viene celebrata e ufficializzata come nuova vita insieme, rivestita di quest' 'habitus' esteriore, divenga mortale e spenga l'attenzione alle persone in sè, alla festa interiore (che più diminuisce, più esplode a dismisura e irrispettosa in quella esteriore).

Là, invece, dove si attesta la morte - nel caso del funerale - e dove quest' 'habitus' ha meno valore nel far risaltare la vita, attestando la morte, raccoglie più intensamente e vitalmente coloro che partecipano a un evento mortale, dove la persona non c'è più, ma dove il suo cuore è vibrante di energia.

Potremmo quasi dire che nella partecipazione all'evento, nel primo caso il matrimonio è un po' un funerale, e nel secondo caso il funerale è vissuto con l'intensità energetica di una matrimonio, salvando le diversità esteriori.

Non prima la pratica, mai: prima la persona, l'altro che mi sta dinnanzi.

Altrimenti, ogni pratica diventa abitudine, abito che mi fa distinguere solo esteriormente l'altro.

E quando qualcosa non va - per continuare l'immagine evangelica della stoffa - invece di rinnovarmi nel rapporto, riprendo pezzi di abito vecchio e inizio a rattoppare, e tutto si scuce, e si strappa, e si grida, e ci si dà la colpa l'un altro, e ci si barrica sempre più dietro questa realtà della pratica esteriore.

Anche in ogni credo, in ogni pratica religiosa o sociale o umana, avviene lo stesso: rinnoviamo a parole noi stessi, proponendo o proponendoci come ' vino nuovò; ma gli 'otri' non li rinnoviamo mai: noi siamo sempre quelli, nella struttura religiosa, partitica/politica in ogni campo, e restiamo sempre di quella idea, noi, anche se il proclama sembra nuovo.

E allora i vecchi otri si spaccano e tutto va perduto...

Un consiglio, dunque: immaginiamoci di partecipare al nostro funerale: come ci sentiamo e come si sentono gli altri: li sentiremo forse più presenti ogni volta che li incontreremo.

 

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